Il tema della cosiddetta “tampon tax” non è nuovo, ma negli ultimi mesi il dibattito che lo riguarda ha preso una nuova piega. Naturalmente, stiamo parlando del contesto italiano, perché altrove la discussione è stata affrontata negli ultimi anni e in molti Stati si è già legiferato in accordo. Attiviste e attivisti, artisti, associazioni, cittadini, movimenti, figure istituzionali di ogni livello hanno preso la parola, nelle piazze, su internet, nelle aule parlamentari.
La campagna americana “Period Equity” ha girato uno spot che ha come protagonista Amber Rose, che pubblicizza un astuccio porta-assorbente tempestato di diamanti, “perché dove altro terresti qualcosa che 36 Stati tassano come un prodotto di lusso?”.
Sulla stessa idea — l’assurdità di considerare gli assorbenti e in generale i prodotti legati al ciclo mestruale un lusso — si basa un altro video, prodotto da Luxuriously Taxable.
Ed esistono moltissime variazioni sul tema, su ogni tipo di media e piattaforma.
Ma non c’è nulla di davvero divertente, al di là dell’espediente comico — o, quantomeno, ironico — in quello che sta dietro a questa classificazione assurda e offensiva. Perché il rovescio della medaglia dei “beni di lusso” è quella che in inglese si chiama “period poverty”, la povertà legata alle spese connesse al ciclo mestruale. I dati presentati nel 2018 da un osservatorio del Regno Unito dicono che il 40% delle ragazze tra i 14 e i 21 anni che sono state oggetto dello studio hanno avuto difficoltà ad acquistare degli adeguati prodotti per il ciclo mestruale. Ricordiamo che i dati del Censis per il 2017 dicono che 12 milioni di italiani hanno rinunciato alle cure mediche per motivi economici, prima di stupirci per queste percentuali. In molte aree del mondo, il ciclo mestruale per donne e ragazze è un momento di vero e proprio rischio per la loro incolumità, oltre che un fattore di incertezza per il loro futuro: l’assenza o la difficoltà a usare in sicurezza i bagni durante il ciclo è in molti luoghi causa di abbandono scolastico e di rinuncia al lavoro — e una seria minaccia per l’integrità fisica.
Cosa succede nel mondo
Nel gennaio 2016, Barack Obama, intervistato da Ingrid Nilsen, risponde così alla domanda della giovane youtuber:
Devo dirti che non ho idea del perché gli Stati continuino a tassare questi prodotti come prodotti di lusso. Sospetto che la ragione sia che quando queste tasse sono state approvate erano gli uomini a fare le leggi. […]
E questa questione ne solleva una più ampia, cioè come fare ad assicurarci che tutti abbiano un’assistenza sanitaria adeguata, cure preventive, e le donne in particolare abbiano l’assistenza sanitaria di cui hanno bisogno.
Il Canada ha detto basta alla tampon tax nel luglio del 2015 e Irene Mathyssen, membro della Camera dei Comuni, ha dichiarato che sono state determinanti le decine di migliaia di firme raccolte da una petizione su change.org.
In India, nel 2017, è stata introdotta una tassa del 12% sui prodotti per l’igiene, che ha scatenato una contro campagna così efficace da farla ritirare nell’estate del 2018.
L’Australia nel 2018 è passata dal 10% alla completa abolizione della tassa.
Al momento l’Inghilterra applica una tassa al 5%, ma sta cercando di arrivare alla cancellazione totale. Per dirla con la campagna lanciata dall’attivista Laura Coryton: “Stop taxing periods, period”.
La Spagna ha già determinato che passerà dal 10% al 4% nel 2019.
La Francia è passata dal 20% al 5.5% nel 2015, il Belgio dal 21% al 6% nel 2018.
Meanwhile in Italia…
Nel 2016 Possibile ha presentato una proposta di legge sul tema. Il problema è economico, perché «l’aliquota dell’IVA al 22% influisce notevolmente sul prezzo al consumo di quei beni “di prima necessità” che a oggi non rientrano nelle tabelle dell’aliquota agevolata al 4% o 10%, come ad esempio tutti i prodotti igienici o sanitari destinati alle donne: assorbenti igienici, tamponi, coppe e spugne mestruali». Ma va valutato «anche sotto un profilo sociale per il distorto messaggio che si comunica applicando l’IVA a un bene che è considerato di “lusso” – nonostante il ciclo mestruale delle donne sia inevitabile – e quindi classificare gli assorbenti femminili come “non essenziali” è inconcepibile, poiché non sono le donne ad aver scelto di avere il ciclo mestruale ogni mese. La questione dell’igiene femminile è anche una questione di politica sociale e sanitaria, ogni Governo deve riconoscerne l’importanza».
A parte quelle di chi era già impegnato nella stessa battaglia, le reazioni non sono state particolarmente incoraggianti, coprendo uno spettro che va dalla presa in giro sui social all’aggressività infastidita nel vedere al centro del dibattito pubblico un argomento che evidentemente suscita ancora un forte imbarazzo culturale: le mestruazioni — un tabù, di cui non si parla, al massimo si sussurra, la cui “gestione” ha qualcosa di mistico ed esoterico, invece di essere considerato come una semplice questione fisiologica.
Cancellare la tampon tax, equiparando la tassazione dei prodotti sanitari femminili a quella dei generi di prima necessità, è una delle occasioni perse dalla scorsa legislatura. Con il vantaggio che la proposta di legge permette di non ripartire da zero con l’inizio della nuova: incalzata dall’argomento su facebook, Paola Taverna dichiara che è già stato depositato un disegno di legge al riguardo.
Con l’apertura dei lavori sulla Legge di bilancio, Luca Pastorino ha presentato un emendamento che riprendeva la proposta di legge del 2016.
Lo stesso M5s ha proposto un emendamento per introdurre l’IVA agevolata su prodotti igienico-sanitari (“prodotti per la protezione dell’igiene femminile, dei neonati, dei disabili, degli anziani”), poi ritirato. Un altro emendamento, sempre per la “riduzione dell’aliquota IVA sui prodotti di protezione per l’igiene intima femminile” è stato depositato a prima firma di Stefania Prestigiacomo. Per finire, anche Francesco Boccia ha presentato un emendamento per includere tra i beni tassati al 5% “latte in polvere e liquido per neonati, prodotti alimentari per l’infanzia, pannolini, assorbenti”.
Oggi quindi l’interesse sembra essere trasversale agli schieramenti — come succede altrove, per esempio in California, dove la proposta di legge del 2017 è stata scritta a quattro mani dalla democratica Christina Garcia e dalla repubblicana Ling Ling Chang — tanto che stupisce che non si sia potuto ancora trovare il modo di raggiungere l’obiettivo, né nella scorsa legislatura (in cui tra l’altro erano già presenti sia Taverna, sia Prestigiacomo, sia Boccia), né in questa.
Anche in Italia sono state lanciate delle petizioni, una delle quali sta raggiungendo le 150.000 firme, con la richiesta “che gli assorbenti vengano considerati per quello che sono, beni essenziali, e tassati di conseguenza. Applicate sui prodotti sanitari femminili (assorbenti, tamponi, coppe e spugne mestruali) l’aliquota IVA minima del 4%, equiparandoli ai prodotti essenziali”. L’altra, più recente, lanciata dall’Associazione Onde Rosa, ha raggiunto 50.000 firme, con la stessa richiesta: “Chiediamo che la Tampon Tax sia abbassata al 4% e che quindi gli assorbenti vengano considerati beni di prima necessità”.
La rivista online Stormi ha aperto le pubblicazioni l’8 marzo 2018 con una graphic story di Sara Pavan intitolata Tamp(on t)ax.
Sempre nel 2018 è stato tradotto da Einaudi il libro di Elise Thiébaut “Questo è il mio sangue. Manifesto contro il tabù delle mestruazioni”. Il discorso pubblico si allarga, si moltiplicano gli articoli che ne parlano.
Che tutto questo — il dibattito, la trasversalità, la consapevolezza — sia abbastanza per trasformare le risatine e l’imbarazzo in un impegno che liberi metà della popolazione da una tassa onerosa e ingiusta, un passo verso quella #parispesa e parità di salario che sono l’obiettivo a cui tendere, che il 2019 sia l’anno in cui l’Italia, finalmente, metterà fine alla tampon tax, è uno degli auguri di fine anno che ci sentiamo di fare a tutte e a tutti.