Se nel futuro dell’Europa non ci sono i cittadini

Siamo ancora alle prese con una miope difesa degli interessi nazionali, a scapito di quella generosità e visione necessarie per promuovere una politica comune diversa in Europa, capace di garantire benessere e crescita sociale e culturale.

A una set­ti­ma­na di distan­za dal voto che ha san­ci­to la vit­to­ria del lea­ve, sono due le que­stio­ni che si pre­sen­ta­no con mag­gior for­za agli occhi dei cit­ta­di­ni euro­pei. Da una par­te, posi­zio­na­men­ti stra­te­gi­ci (spes­so mol­to stru­men­ta­li ed “elet­to­ra­li”) riguar­dan­ti le pro­ce­du­re nego­zia­li che potreb­be­ro por­ta­re alla fuo­riu­sci­ta del Regno Uni­to dall’Unione euro­pea e alla con­se­guen­te rico­stru­zio­ne dei futu­ri rap­por­ti tra le due enti­tà. Dall’altra par­te, anco­ra una vol­ta, la mar­gi­na­li­tà dei cit­ta­di­ni stes­si e, in par­ti­co­la­re, di quan­ti chie­do­no una mag­gio­re ambi­zio­ne per rilan­cia­re le ragio­ni del pro­get­to di inte­gra­zio­ne. I gover­ni nazio­na­li, infat­ti, con­ti­nua­no a muo­ve­re le leve deci­si­ve nel pro­ces­so deci­sio­na­le euro­peo. Il risul­ta­to, reso pla­sti­co dal Con­si­glio euro­peo del 28 e 29 giu­gno, è una mio­pe dife­sa degli inte­res­si nazio­na­li, a sca­pi­to di quel­la gene­ro­si­tà e visio­ne neces­sa­rie per pro­muo­ve­re una poli­ti­ca comu­ne diver­sa in Euro­pa, capa­ce di garan­ti­re benes­se­re e cre­sci­ta socia­le e culturale.

Nel cor­so del­la pri­ma gior­na­ta del­l’ul­ti­mo Con­si­glio euro­peo di Bru­xel­les per il pre­mier bri­tan­ni­co dimis­sio­na­rio David Came­ron, e pri­mo del­la nuo­va era dei “Ven­ti­set­te più uno”, dopo il refe­ren­dum sul­la Bre­xit, le pro­ce­du­re del divor­zio fra il Regno Uni­to e il resto del­l’Ue non sono sta­te for­mal­men­te avvia­te per­ché il Pre­mier David Came­ron, come già annun­cia­to alla vigi­lia, non ha volu­to noti­fi­ca­re l’in­ten­zio­ne di reces­so di Lon­dra dal­l’U­nio­ne, un com­pi­to che ha lascia­to al suo suc­ces­so­re.

La noti­fi­ca è neces­sa­ria per atti­va­re l’Ar­ti­co­lo 50 del Trat­ta­to Ue e dare ini­zio a due nego­zia­ti, con­cet­tual­men­te distin­ti: uno sul­le con­di­zio­ni di usci­ta “ordi­na­ta” dall’Unione euro­pea, che devo­no comun­que con­clu­der­si entro due anni al mas­si­mo, vol­to a defi­ni­re i rap­por­ti pen­den­ti; e l’altro, teso inve­ce a rego­la­men­ta­re i rap­por­ti futu­ri.

È pro­prio que­sto mec­ca­ni­smo a oro­lo­ge­ria che i bri­tan­ni­ci non voglio­no ora met­te­re in moto, pri­ma che vi sia un nuo­vo gover­no con un pia­no pre­ci­so per il futu­ro del Regno Uni­to fuo­ri dall’Unione.

Per la situa­zio­ne di incer­tez­za che crea dal pun­to di vista giu­ri­di­co e poli­ti­co e per le sue con­se­guen­ze eco­no­mi­che siste­mi­che, l’opzione tem­po­reg­gia­tri­ce di Came­ron è sta­ta cri­ti­ca­ta in par­ti­co­la­re dal­la Com­mis­sio­ne euro­pea e dal­l’Eu­ro­par­la­men­to, con la for­ma­le richie­sta al Regno Uni­to di dar segui­to rapi­da­men­te alla volon­tà del popo­lo bri­tan­ni­co. Per alcu­ni, inve­ce, a comin­cia­re dal Pre­si­den­te del Con­si­glio euro­peo Donald Tusk, la scel­ta di Came­ron può inve­ce esse­re con­si­de­ra­ta poli­ti­ca­men­te accet­ta­bi­le, nel­la misu­ra in cui l’indecisione di Lon­dra non si pro­trag­ga oltre la nomi­na del nuo­vo Pri­mo mini­stro.

A tal pro­po­si­to, è emer­so un ulte­rio­re pun­to di incer­tez­za: nono­stan­te il con­gres­so a ini­zio set­tem­bre del Par­ti­to con­ser­va­to­re, è mol­to pro­ba­bi­le (e poli­ti­ca­men­te oppor­tu­no per mol­ti ana­li­sti e poli­ti­ci) che si indi­ca­no anche nuo­ve ele­zio­ni poli­ti­che, visto lo scon­vol­gi­men­to che la vit­to­ria del­la Bre­xit ha pro­vo­ca­to nel Pae­se. Se doves­se pas­sa­re que­sta linea, biso­gne­reb­be aspet­ta­re la fine del­l’an­no per ave­re un nuo­vo Gover­no legit­ti­ma­to dal voto popo­la­re, che dia ini­zio alle pro­ce­du­re di divor­zio dall’UE e ai nego­zia­ti per le rela­zio­ni futu­re con i Ventisette.

Nel frat­tem­po, però, all’orizzonte ci sono sca­den­ze elet­to­ra­li impor­tan­ti: in Olan­da, in Fran­cia e suc­ces­si­va­men­te in Ger­ma­nia. Il rischio di una para­li­si del­l’a­zio­ne poli­ti­ca è dun­que dav­ve­ro con­cre­ta.

D’altra par­te, nel­la gestio­ne di que­sta cri­si ine­di­ta, non è un miste­ro che vi sia uno scon­tro isti­tu­zio­na­le e di approc­cio in cor­so per deci­de­re chi dovrà con­dur­re in pri­ma per­so­na i nego­zia­ti con il Regno Uni­to, se e quan­do final­men­te Lon­dra deci­de­rà di avviar­li. Da una par­te, il Pre­si­den­te del Con­si­glio euro­peo Donald Tusk, fau­to­re del meto­do inter­go­ver­na­ti­vo (che met­te al cen­tro dell’azione poli­ti­ca i Gover­ni) e, dall’altra, il Pre­si­den­te del­la Com­mis­sio­ne Jean-Clau­de Junc­ker, che spin­ge inve­ce per l’affermazione del meto­do comu­ni­ta­rio, in cui final­men­te si fac­cia pre­va­le­re l’interesse di tut­ti e non di pochi. È evi­den­te che ai bri­tan­ni­ci con­ven­ga trat­ta­re diret­ta­men­te con gli Sta­ti mem­bri del­l’UE, e in par­ti­co­la­re con quel­li più influen­ti (a comin­cia­re dal­la Ger­ma­nia) che non con la Com­mis­sio­ne. Di qui gli attac­chi a Junc­ker, di cui da più par­ti si chie­do­no le dimis­sio­ni, come se fos­se sta­to lui a vole­re il disa­stro­so refe­ren­dum britannico.

In atte­sa che si chia­ri­sca­no gli equi­li­bri isti­tu­zio­na­li, ad usci­re net­ta­men­te scon­fit­to da que­sto pri­mo round è il Regno Unito.

  • Lo Sta­to mem­bro che inten­de rece­de­re non par­te­ci­pa alle deli­be­ra­zio­ni e alle deci­sio­ni del Con­si­glio euro­peo e del Con­si­glio dell’Unione euro­pea che lo riguar­da­no (ma tali dispo­si­zio­ni non si appli­ca­no né al Par­la­men­to euro­peo né alla Com­mis­sio­ne). Al di là degli aspet­ti pro­pria­men­te pro­ce­du­ra­li, però, in mol­ti ora si chie­do­no se sia poli­ti­ca­men­te oppor­tu­no che un Pae­se poten­zial­men­te in usci­ta con­ti­nui a con­cor­re­re con il suo peso isti­tu­zio­na­le deci­si­vo (in Con­si­glio il Regno Uni­to “con­ta” quan­to la Ger­ma­nia, la Fran­cia e l’Italia; e all’Europarlamento, con 73 depu­ta­ti, rap­pre­sen­ta la ter­za dele­ga­zio­ne più nume­ro­sa) a pro­ces­si poli­ti­ci e legi­sla­ti­vi di medio e lun­go perio­do. In que­sto sen­so, la Bre­xit ha già pro­dot­to i pri­mi effet­ti. Jona­than Hill, Com­mis­sa­rio euro­peo con dele­ga ai Ser­vi­zi finan­zia­ri, si è dimes­so lascian­do le sue dele­ghe, su deci­sio­ne del Pre­si­den­te del­la Com­mis­sio­ne euro­pea Jean-Clau­de Junc­ker, al Vice Pre­si­den­te respon­sa­bi­le per l’Euro Val­dis Dom­bro­v­skis; e Ian Dun­can, euro­de­pu­ta­to scoz­ze­se del Grup­po dei Con­ser­va­to­ri e Rifor­mi­sti euro­pei (ECR), rela­to­re per la rifor­ma dell’ETS, ha rimes­so l’incarico al Pre­si­den­te del­la Com­mis­sio­ne par­la­men­ta­re ENVI.
  • In vir­tù del­le dispo­si­zio­ni tran­si­to­rie e fina­li, con­te­nu­te nell’accordo sigla­to al Con­si­glio euro­peo di feb­bra­io tra l’Unione euro­pea e il Regno Uni­to, tut­ti gli impe­gni pre­si dagli Sta­ti mem­bri per veni­re incon­tro alle richie­ste di Lon­dra pri­ma del refe­ren­dum non pos­so­no più entra­re in vigo­re. Que­sto signi­fi­ca sostan­zial­men­te ritor­na­re ad uno sta­tus quo ante, che cer­ta­men­te nes­su­no a Lon­dra auspi­ca­va, soprat­tut­to in rela­zio­ne alla sezio­ne C sul­la Sovra­ni­tà e a quel­la D sul­le pre­sta­zio­ni di sicu­rez­za socia­le e libe­ra circolazione.

Nel cor­so del­la secon­da gior­na­ta del Con­si­glio, i lea­der si sono riu­ni­ti per la pri­ma vol­ta in un for­ma­to a 27 infor­ma­le, per discu­te­re le impli­ca­zio­ni poli­ti­che e pra­ti­che del­la Bre­xit e avvia­re un dibat­ti­to sul futu­ro del­l’U­nio­ne euro­pea. L’esito di tale con­fron­to è una dichia­ra­zio­ne comu­ne, i cui pun­ti fon­da­men­ta­li sono:

  • non ci potrà esse­re alcun nego­zia­to dell’UE con il Regno Uni­to pri­ma che abbia avu­to luo­go la noti­fi­ca del ricor­so all’articolo 50 del Trat­ta­to, ma si auspi­ca che tale noti­fi­ca ven­ga con­se­gna­ta il più rapi­da­men­te pos­si­bi­le: tut­ti d’accordo sul­la neces­si­tà di usci­re da que­sta fase di incer­tez­za. Come emer­so nel­la riu­nio­ne del 28, però, accen­ti e let­tu­re diver­se cir­ca il signi­fi­ca­to dell’espressione “il più rapi­da­men­te pos­si­bi­le”;
  • qual­sia­si accor­do con­clu­so con il Regno Uni­to in quan­to pae­se ter­zo dovrà basar­si su una com­bi­na­zio­ne equi­li­bra­ta di dirit­ti e obbli­ghi. Per ave­re acces­so al mer­ca­to uni­co è neces­sa­rio accet­ta­re tut­te e quat­tro le liber­tà: si trat­ta di un pas­sag­gio chia­ve, che smen­ti­sce le vel­lei­tà di Came­ron e Fara­ge cir­ca la pos­si­bi­li­tà di un’adesione ai van­tag­gi del mer­ca­to uni­co sen­za i rispet­ti­vi oneri;
  • al Con­si­glio euro­peo infor­ma­le, che si ter­rà a Bra­ti­sla­va in set­tem­bre, si apri­rà for­mal­men­te una rifles­sio­ne poli­ti­ca per impri­me­re slan­cio a ulte­rio­ri rifor­me, in linea con l’agenda stra­te­gi­ca, e allo svi­lup­po del­l’UE con 27 Sta­ti mem­bri: il refe­ren­dum bri­tan­ni­co ha il meri­to di aver reso non più rin­via­bi­le un cam­bio di rot­ta, affin­ché l’intero pro­get­to di inte­gra­zio­ne non si disgreghi.

Tut­to bene? Non pro­prio, per­ché la dire­zio­ne poli­ti­ca trac­cia­ta non sem­bra esse­re quel­la auspi­ca­bi­le. Nel testo del­la Dichia­ra­zio­ne, infat­ti, in fili­gra­na emer­ge la chiu­su­ra ver­so un per­cor­so con­di­vi­so e par­te­ci­pa­to per il rilan­cio del pro­get­to di inte­gra­zio­ne, con un paio di sber­le alla Com­mis­sio­ne di rara violenza:

  • i lea­der avo­ca­no a sé for­mal­men­te il nego­zia­to trat­tan­do Par­la­men­to euro­peo e Com­mis­sio­ne come orpel­li acces­so­ri e solo per­ché pre­vi­sto dai Trattati;
  • (peg­gio) avo­ca­no a sé, e basta, la rifles­sio­ne su come rilan­cia­re il pro­get­to euro­peo, affer­man­do che solo la loro lea­der­ship può riu­sci­re nel­l’in­ten­to.

Una scel­ta para­dos­sa­le: Lon­dra chie­de di usci­re dall’Unione euro­pea in con­tra­sto con un pre­sun­to ecces­si­vo ricor­so al meto­do comu­ni­ta­rio e la rispo­sta dei cosid­det­ti lea­der euro­pei, ora che la pro­spet­ti­va di un’uscita del Regno Uni­to diven­ta rea­le, è una rispo­sta tutt’altro che comu­ni­ta­ria ma più inter­go­ver­na­ti­va. Insom­ma, come se Cor­byn vin­ces­se il con­gres­so del Labour Par­ty per il fal­li­men­to del­le poli­ti­che blai­ria­ne e il suo par­ti­to, alla pri­ma occa­sio­ne uti­le, lo sfi­du­cias­se per ten­ta­re di ripro­por­le come ricet­ta per usci­re dal­la cri­si. Oops, è appe­na successo!

AIUTACI a scrivere altri articoli come quello che hai appena letto con una donazione e con il 2x1000 nella dichiarazione dei redditi aggiungendo il codice S36 nell'apposito riquadro dedicato ai partiti politici.

Se ancora non la ricevi, puoi registrarti alla nostra newsletter.
Partecipa anche tu!

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER

Congresso 2024: regolamento congressuale

Il con­gres­so 2024 di Pos­si­bi­le si apre oggi 5 apri­le: dif­fon­dia­mo in alle­ga­to il rego­la­men­to con­gres­sua­le ela­bo­ra­to dal Comi­ta­to Organizzativo.

Il salario. Minimo, indispensabile. Una proposta di legge possibile.

Già nel 2018 Pos­si­bi­le ha pre­sen­ta­to una pro­po­sta di leg­ge sul sala­rio mini­mo. In quel­la pro­po­sta, l’introduzione di un sala­rio mini­mo lega­le, che rico­no­sces­se ai mini­mi tabel­la­ri un valo­re lega­le erga omnes quan­do que­sti fos­se­ro al di sopra del­la soglia sta­bi­li­ta, for­ni­va una inno­va­ti­va inter­pre­ta­zio­ne del­lo stru­men­to, sino a quel tem­po bloc­ca­to dal timo­re di ero­de­re pote­re con­trat­tua­le ai sin­da­ca­ti. Il testo del 2018 è sta­to riscrit­to e miglio­ra­to in alcu­ni dispo­si­ti­vi ed è pron­to per diven­ta­re una pro­po­sta di leg­ge di ini­zia­ti­va popolare.

500.000 firme per la cannabis: la politica si è piantata? Noi siamo per piantarla e mobilitarci.

500.000 fir­me per toglie­re risor­se e giro d’affari alle mafie, per garan­ti­re la qua­li­tà e la sicu­rez­za di cosa vie­ne ven­du­to e con­su­ma­to, per met­te­re la paro­la fine a una cri­mi­na­liz­za­zio­ne e a un proi­bi­zio­ni­smo che non han­no por­ta­to a nes­sun risul­ta­to. La can­na­bis non è una que­stio­ne secon­da­ria o risi­bi­le, ma un tema serio che riguar­da milio­ni di italiani.

Possibile per il Referendum sulla Cannabis

La can­na­bis riguar­da 5 milio­ni di con­su­ma­to­ri, secon­do alcu­ni addi­rit­tu­ra 6, mol­ti dei qua­li sono con­su­ma­to­ri di lun­go cor­so che ne fan­no un uso mol­to con­sa­pe­vo­le, non peri­co­lo­so per la società.
Pre­pa­ra­te lo SPID! Sarà una cam­pa­gna bre­vis­si­ma, dif­fi­ci­le, per cui ser­vi­rà tut­to il vostro aiu­to. Ma si può fare. Ed è giu­sto provarci.

Corridoi umanitari per chi fugge dall’Afghanistan, senza perdere tempo o fare propaganda

La prio­ri­tà deve esse­re met­te­re al sicu­ro le per­so­ne e non può esse­re mes­sa in discus­sio­ne da rim­pal­li tra pae­si euro­pei. Il dirit­to d’asilo è un dirit­to che in nes­sun caso può esse­re sot­to­po­sto a “vin­co­li quan­ti­ta­ti­vi”. Ser­vo­no cor­ri­doi uma­ni­ta­ri, e cioè vie d’accesso sicu­re, lega­li, tra­spa­ren­ti attra­ver­so cui eva­cua­re più per­so­ne possibili. 

I padroni dicono di no a tutto. E per questo scioperiamo.

La stra­te­gia del capi­ta­li­smo è quel­la di ato­miz­za­re le riven­di­ca­zio­ni, met­ter­ci gli uni con­tro gli altri, indi­vi­dua­re un nemi­co invi­si­bi­le su cui svia­re l’attenzione, sosti­tui­re la lot­ta col­let­ti­va con tan­te lot­te indi­vi­dua­li che, pro­prio per que­sto, sono più debo­li e più faci­li da met­te­re a tacere.
Ma la gran­de par­te­ci­pa­zio­ne allo scio­pe­ro del 13 dicem­bre dimo­stra che la dimen­sio­ne col­let­ti­va del­la nostra lot­ta, del­le nostre riven­di­ca­zio­ni, non è perduta.