DEPORTARE TUTTI I MIGRANTI SU UN’ISOLA AFRICANA
«Rastrellare e deportare i migranti su un’isola o sulla costa del nord Africa» sarebbe, secondo il primo ministro ungherese Viktor Orban, il «rimedio a tutti i mali». Questo è il clima della campagna elettorale che porterà, il 2 ottobre, i cittadini ungheresi ad esprimersi su un quesito referendario per accettare o rifiutare il sistema di “relocation” promosso dall’UE. E attenzione: l’Ungheria sarebbe un beneficiario netto del piano, attraverso il ricollocamento di decine di migliaia di migranti dall’Ungheria verso altri paesi UE. Orban tifa perché il piano venga respinto (e così pare anche la maggioranza degli ungheresi) per ribadire il rifiuto di qualsiasi politica migratoria e dell’asilo voluta dall’Unione.
Donald Tusk e Viktor Orban.
A dare manforte a questa impostazione è arrivato Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo, che, al termine del vertice tenutosi a Vienna, ha dichiarato che «politicamente e in pratica, la rotta dei Balcani dell’immigrazione irregolare è chiusa per sempre». Un’affermazione che sembra voler rassicurare Orban e i governi dei paesi balcanici ma che non tiene conto di tre cose:
- Le persone continuano a transitare, seppur in numero inferiore rispetto all’anno scorso, lungo i Balcani, tanto che la Serbia è sempre più preoccupata della pressione che si sta creando ai suoi confini;
- Limitare gli spostamenti lungo la rotta balcanica non significa limitare gli spostamenti: chi scappa cerca e trova sempre altre strade;
- Parlare di immigrazione irregolare finché non esisterà un modo regolare per chiedere asilo (al momento è così, in UE) è una totale mistificazione.
E IL RESTO D’EUROPA?
Il resto d’Europa procede, guidato da Angela Merkel, nella strategia del “migration compact”. La cancelliera ha infatti espressamente dichiarato l’intenzione di replicare l’accordo con la Turchia con altri paesi quali Afghanistan, Pakistan e Egitto. La discussione con l’Egitto, caldeggiata anche da Martin Schulz, è quella allo stadio più avanzato: a fine agosto il governo egiziano aveva parlato di 5 milioni di profughi pronti a partire e ora Al Sisi vorrebbe incassare un miliardo di euro dall’UE e un prestito da 12 miliardi di dollari da parte del FMI (così ha scritto Repubblica) per la loro “gestione” (si legga: sigillare la frontiera).
Fortunatamente non tutti i rappresentanti politici europei la pensano così. E’ il caso di Elly Schlein, eurodeputata di Possibile che, intervenendo al summit su migranti e rifugiati dell’ONU a New York, ha individuato chiaramente il problema proponendo «vie sicure e legali sia per i migranti che per i rifugiati (e chiunque lavori sul campo sa che è una distinzione davvero difficile da fare, spesso usata per garantire diritti ad alcuni e discriminare altri). Se non ci interessiamo di come le persone possono esercitare il loro diritto di fare richiesta di protezione internazionale e accettiamo il rischio che muoiano nel tentativo di raggiungere le nostre coste, allora dovremmo giungere alla conclusione che il diritto di asilo in Europa è inesigibile». L’intervento completo è disponibile qui.
CHE SUCCEDE A CALAIS?
In Francia siamo in piena campagna elettorale. Dopo la visita di Nicolas Sarkozy di settimana scorsa, anche Francois Hollande si è recato al campo che attualmente si stima contenga tra le 7mila e le 10mila persone. Hollande ha dichiarato che si impegnerà per smantellare completamente e definitivamente il campo, operazione per la quale ha chiesto la collaborazione del Regno Unito, il cui governo ha risposto picche, ribadendo il solo impegno al controllo della frontiera. Ciò di cui nessuno parla èil futuro delle persone che attualmente risiedono nel campo. Nel frattempo è cominciata la costruzione del muro e, con essa, i primi scontri tra migranti e polizia.
SVIZZERA / ITALIA
Il confine tra Svizzera e Italia si fa sempre più caldo. Il campo istituzionale è stato aperto e si è riempito molto velocemente. Diversi migranti, soprattutto Oromo,hanno preferito non entrarvi: alcuni tentano di passare clandestinamente, altri pare siano tornati a Milano, probabilmente alla ricerca di nuovi valichi alpini. Alla questione dei respingimenti di migranti alla frontiera si sono aggiunti due ulteriori elementi di preoccupazione.
La denuncia di Lilesa, atleta di etnia Oromo, ai giochi olimpici.
Il primo, è l’esito del referendum sul mercato del lavoro che ha sancito il principio secondo il quale devono venire “prima gli svizzeri” degli italiani. Al riguardo vi segnalo uno studio — valido per ogni confine e per ogni paese — secondo il quale dall’analisi di «27 indagini scientifiche condotte tra il 1982 e il 2013, che hanno analizzato gli effetti dell’immigrazione sullo stipendio degli autoctoni, la maggioranza assegna all’aumento del numero dei migranti un’incidenza media che oscilla tra ‑0,1 e 1». Effetti perciò prossimi allo zero, o di poco positivi.
Il secondo elemento di preoccupazione riguarda i rapporti tra Svizzera e Eritrea. Il Corriere del Ticino scrive, infatti, che sono già stati rimpatriati 70 cittadini eritrei, 18 dei quali minorenni: «la situazione di certi Eritrei che rientrano volontariamente nel loro Paese sembra essere migliorata; funzionari della SEM si sono recati nuovamente in Eritrea in febbraio/marzo e secondo una nuova valutazione coloro che rientrano di loro piena volontà non incorrono più in pene detentive fino a cinque anni di carcere. […] Questi cambiamenti corrisponderebbero a nuove direttive emanate in Eritrea, che perònon sono pubblicate e quindi non vi è la sicurezza del diritto». Si tratta di rimpatri volontari, ma rimane sempre un enorme quesito sulle relazioni che si stanno instaurando con una dittatura in cui non vi è certezza del diritto, appunto.
ITALIA
L’immigrazione e l’accoglienza hanno occupato una buona dose del dibattito pubblico nostrano nell’ultima settimana. Cerchiamo di ricapitolare per punti le questioni aperte:
- Gli operatori dell’accoglienza lamentano ritardi nei pagamenti da parte dello Stato che hanno raggiunto ormai i sei mesi. Alfano ha confermato che mancano all’appello circa 600 milioni di euro, già stanziati ma non ancora trasferiti dal ministero del Tesoro al ministero dell’Interno. Mancherebbero inoltre 200 milioni ereditati dal 2015.
- I dati raccolti da DEMOS per Repubblica descrivono una realtà in cui una larghissima fetta di italiani vorrebbe ripristinare i controlli alla frontiera (48%), o perlomeno in circostanze particolari (35%). Sono gli stessi italiani che hanno timore dei migranti e scarsa fiducia nell’Unione europea.
- I ministri Orlando e Alfano sono tornati a sostenere la necessità di eliminare l’appello nei processi che riguardano il riconoscimento del diritto d’asilo. Una discriminazione evidentissima e indegna. E anche inutile, come spiegato qui.
- Le organizzazioni del Tavolo nazionale asilo hanno denunciano le violazioni del diritto e le «conseguenze nefaste degli accordi ‘segreti’ firmati con i Paesi africani» dal Governo italiano in materia di immigrazione, a partire dal recente accordo con il Sudan. Gli accordi, finalizzati al rimpatrio forzato, sarebbero stati firmati con «i governi di Sudan, Gambia, Egitto, Nigeria, Tunisia» senza il consenso del Parlamento e verso Paesi «altamente insicuri e Stati dittatoriali», «in violazione del principio di non refoulement, che vieta di rimpatriare chi fugge da situazioni dove è in pericolo di vita». La strategia del “migration compact”, in pratica.
- Un comunicato del centro Baobab di Roma ha denunciato l’impossibilità per i propri ospiti di effettuare domanda d’asilo presso la Questura di Roma, per ragioni di ordine burocratico. Ci sono i margini perché si configuri una violazione del diritto e così il caso è stato portato in Parlamento con un’interrogazione a firma Civati.
LE CITTA’ ACCOGLIENTI
Vi ricordate la lettera dei sindaci di New York, Londra e Parigi con la quale aprivano le proprie città ai rifugiati? Ecco, non sono soli. Bue Rübner Hansen, ricercatrice dell’Università di Aarhus (Danimarca) si sta interrogando sul potere e quindi sul ruolo che possono giocare le città nell’accoglienza, indipendentemente dalle politiche nazionali. «La maggior parte dei governi europei non sono all’altezza di queste responsabilità — dichiara -. In questa situazione è significativo che diverse città — e non solo quelle che hanno a che fare con le persone quando arrivano — siano bendisposte nell’accogliere persone che i propri governi. Una ragione è che molte città europee sono profondamente multiculturali. Sono il luogo dove trova spazio un cosmopolitismo “di base”, opposto all’astratto cosmopolitismo delle élite europee: persone che lavorano insieme e condividono lo stesso quartiere. Persone che hanno un interesse immediato nel creare situazioni di convivenza nelle proprie città». Ma sono dei casi isolati? Non proprio, se pensiamo che alle scorse elezioni amministrative movimenti che proponevano percorsi civici nati dal basso hanno vinto a «Barcellona, Madrid, Saragozza, Valencia, Santiago, La Coruna e Cadice, e tra queste ci sono quattro delle cinque città più grandi di Spagna. Questo evidenzia le potenzialità del municipalismo». L’esempio spagnolo non è l’unico. Qui, ad esempio, si spiega come altre città — dagli Stati Uniti alla Nuova Zelanda, all’Olanda — abbiano gestito l’accoglienza con ampi spazi di autonomia. (Piccolo spazio pubblicità: accenniamo a questa cosa anche in “Nessun Paese è un’isola”, nel contributo di Elly Schlein e del sottoscritto).
A Milano, invece, l’assessore Majorino fa seguito alla lettera di Sala e dice che ci sono troppi richiedenti asilo. Sono 3.680. 1.700 di questi sarebbero di troppo. Facendo un rapido conto, si scopre però che 3.680 sono lo 0,27% della popolazione milanese, una quota sostanzialmente in linea con quanto più volte ha dichiarato dal governo (i numeri variano da 0,15% a 0,3%).
GOOD NEWS
La Stampa racconta una bellissima storia. Un signore senza lavoro nè casa è partito da Torino alla volta di Camini, un piccolo borgo della Locride (ne parliamo in “Nessun Paese è un’isola”!) che sta seguendo l’esempio di Riace. Ha chiesto ospitalità e l’ha trovata.
Su Avvenire di qualche giorno fa ha trovato spazio una proposta interessantissima: investire nell’accoglienza in famiglia dei minori stranieri non accompagnati, quale strumento principale di accoglienza dei minori, per permettere loro di ricostruire un guscio famigliare e affettivo.
BAD NEWS
Come avrete certamente letto, settimana scorsa è naufragato un barcone al largo dell’Egitto. Il bilancio è salito a 178 morti.
MUST READ
Da Politico.com: perché lo speechwriter di Robert Kennedy voterà Trump (per questioni legate alla politica estera).
Da Internazionale: come le lobby europee influenzano le politiche migratorie.
Come ogni settimana, valgono le stesse raccomandazioni: per smontare la retorica dei cattivi (sì: cattivi) c’è bisogno che ciascuno di noi si faccia portavoce di una corretta informazione. Perciò, inoltra la mail a un amico e invitalo a iscriversi alla newsletter, qui: https://goo.gl/forms/
“Nessun Paese è un’isola” è prossimo alla stampa, ma nel frattempo non stiamo con le mani in mano. Qui un resoconto della riuscitissima iniziativa a Varese di settimana scorsa, mentre qui l’evento in programma venerdì 30 a Elmas, Cagliari.
Altre presentazioni sono in cantiere. Per qualsiasi cosa scrivimi, mi raccomando.
stefano