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Riavvolgo un po’ i fili tornando sui Balcani, dove sono stato nel mese di agosto, per cercare di fare il punto sulla rotta che nel 2015 ha scombussolato l’Europa, scuotendola dalle fondamenta. Dietro all’apparente calma garantita dall’accordo tra Unione europea e Turchia si nasconde una situazione molto meno tranquilla, sia dal punto di vista umanitario che dal punto di vista della gestione dei confini.
BALCANI: QUANTO FIDARSI DELLA TURCHIA?
Per quanto riguarda la situazione umanitaria, si stima che in Serbia siano presenti almeno 4mila migranti (ma c’è chi parla di molti, molti di più) che – ovviamente – non richiedono asilo lì, perché vogliono raggiungere l’Unione europea. Di conseguenza si ritrovano in larga parte abbandonati a loro stessi, vivendo nelle strade di Belgrado o in campi informali (e per informali intendiamo: tende da campeggio piantate su un prato) al confine.
Per quanto riguarda la gestione dei confini, invece, emerge sempre con maggiore evidenza la preoccupazione dei governi balcanici rispetto alla tenuta dell’accordo UE – Turchia. La Croazia ha spostato numerose forze di polizia ai confini. I ministri degli Interni di Serbia e Ungheria si sono incontrati per discutere del rafforzamento dei controlli alla frontiera, mentre Orban annunciava l’edificazione di un nuovo muro, così come aveva annunciato qualche giorno prima l’Austria. E anche la Slovenia ha messo la propria polizia in stato d’allerta. Insomma, se dovessero scommettere sulla tenuta dell’accordo, i governi dei paesi balcanici scommetterebbero contro. L’aspetto divertente (si fa per dire) è che il governo italiano sta cercando di replicare lo stesso schema con la Libia, tanto che nei giorni scorsi è stato siglato un primo accordo che prevede «urgenti misure anche per ridurre il rischio di nuove tragedie umanitarie». La Libia, lo ricordiamo, è un paese istituzionalmente al collasso che nel recentissimo passato (così come nel presente) ha dimostrato che la propria idea di gestione dei flussi migratori significa prigioni, maltrattamenti, violenze, stupri. In tutto questo, un ragazzo afghano di venti anni è stato ucciso con un colpo di fucile appena dopo aver passato il confine serbo, proveniendo dalla Bulgaria. Le circostanze sono ancora da chiarire. Al momento pare che a sparare sia stato un cacciatore che, insieme a dei compagni, pensava di aver individuato dei cinghiali.
GRECIA: CRISI UMANITARIA INFINITA
Spostiamoci più a sud. In Grecia si stima siano presenti 50mila rifugiati. Le condizioni in cui vivono sono disastrose. «Igiene scarsa per non dire totalmente assente, zanzare, acqua sporca stagnante, topi e serpenti, e in alcuni campi, come quello di Sindos Frakapò, un odore voltastomaco proveniente dal depuratore situato accanto, a nemmeno duecento metri di distanza, Tende di fortuna che la gente ormai chiama “casa”, perché dopo così tante settimane e mesi che ci stanno dentro alcuni hanno perso la speranza di raggiungere i loro famigliari altrove. E si sentono in una prigione a porte aperte o in una “fossa comune volontaria”, come l’ha chiamata un signore siriano di Ghouta». Queste parole sono parte di un report a cura di “Speranza – Hope for Children”, e le stesse cose le racconta un lungo reportage di The Guardian, che titola “Prigionieri dell’Europa”. Eggià, perché il processo di “relocation” (cioè il trasferimento di rifugiati soprattutto da Grecia, Italia e Ungheria verso altri paesi UE) voluto dall’Unione europea è in realtà bloccato su numeri ridicoli. Si parla attualmente di circa 4mila ricollocati su 160mila.
QUI ITALIA / QUI SVIZZERA
C’è un altro confine da tenere d’occhio: il nostro. Alla frontiera tra Como e Chiasso la situazione non migliora. Le tende sono ancora tutte lì, nel parco che si trova all’esterno alla stazione di Como San Giovanni. Si contano circa 300/400 persone, in maggioranza provenienti dal Corno d’Africa, che cambiano con buona frequenza. Nelle scorse ore hanno organizzato uno sciopero della fame. Stanno lì per tentare di passare la frontiera e recarsi verso nord. Vengono però respinti con regolarità verso l’Italia e pare che le autorità italiane abbiano cominciato a deportare i respinti verso il sud Italia, in particolare verso l’hotspot di Taranto, e non si capisce con quale scopo, se non quello di dissuaderli dal superare il confine verso la Svizzera. Internazionale ha descritto benissimo la situazione. Il dato che più mi ha colpito riguarda i minori: in circa 40 giorni sono stati operati 602 respingimenti di minori, per un totale di 454 minori respinti (alcuni più volte, evidentemente). Ci sono stati giorni in cui sono stati operati fino a 40 respingimenti: è evidente che non tutte le singole storie possono essere state valutate caso per caso, data la tempistica. L’Associazione Studi Giuridici per l’Immigrazione sostiene si tratti di respingimenti collettivi, vietati dal diritto internazionale: qui una breve clip audio in cui intervisto Anna Brambilla dell’ASGI. Oltre ad Anna Brambilla, troverete anche la testimonianza di Lisa Bosia, deputata del Gran Consiglio del Ticino per il Partito Socialista e da sempre impegnata nel campo dei diritti e dei migranti. Poche ore dopo averla incontrata è stata arrestata, accusata di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, dato che avrebbe cercato di far passare la frontiera ad alcuni minori. Ora è stata rilasciata. Il dilemma etico che sta alla base di queste azioni sta interrogando su più fronti la comunità elvetica: il teologo svizzero Pierre Bühler ha recentemente redatto un manifesto sul cosiddetto “asilo ecclesiastico” e in un’intervista arriva a sostenere che «non si tratta di eludere tutte le leggi, ma di protestare — in situazioni estreme — contro decisioni disumane dello stato e affermare che ci sono valori più importanti dell’applicazione pura e dura della legge. Esprimere questo monito fa parte dei compiti di chi è testimone dell’evangelo. Per dirla con parole care alla tradizione riformata, “fa parte della mansione profetica di vigilanza della chiesa”».
Nel frattempo, procedono le discussioni tra ANCI e Ministero dell’Interno per un piano di accoglienza che preveda la distribuzione di 2,5/3 richiedenti asilo o rifugiati ogni mille abitanti. Uno dei pilastri del piano sarà costituito da misure per facilitare la partecipazione dei comuni (sempre su base volontaria) alla rete SPRAR.
MA PORTI SOLO CATTIVE NOTIZIE?
Beh, ma una buona notizia vorrai pur darcela? E così sia. Uno degli argomenti più dibattuti nelle ultime settimane è di sicuro quello dell’accoglienza in famiglia: persone che aprono le proprie case per ospitare rifugiati. Ne ha parlato The Independent, raccontando la storia di Amr Arafa, cittadino egiziano di 34 anni che risiede negli Stati Uniti dal 2005 dove si è trasferito per studiare, che ha aperto il proprio appartamento a rifugiati e vittime di violenza domestica e che ha infine pensato che la stessa cosa potessero farla anche altre persone. E così ha fondato “Emergency BnB”, un sito web che mette in contatto persone bisognose temporaneamente di un tetto e persone disposte a offrirlo, questo tetto. Ha parlato di accoglienza in famiglia anche la CNN sul suo sito con un lunghissimo reportage che racconta di numerosi casi di accoglienza in famiglia che, oltre a parlare di rifugiati, offre un bellissimo spaccato su come la famiglia stessa stia cambiando.
CALAIS
Must read della settimana: “La giungla eterna dei migranti di Calais”, di Libération, tradotto da Internazionale.
La prima edizione della newsletter è stata lunghetta, ma d’altra parte avevamo molto da recuperare.
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