UNA GIORNATA NELL’ACCOGLIENZA CHE FUNZIONA
Il luogo comune secondo il quale i migranti intascherebbero ogni giorno 35 euro alla faccia degli italiani non è un insulto rivolto solamente a richiedenti asilo e rifugiati, ma è un insulto anche a chi lavora all’inclusione sociale di richiedenti asilo e rifugiati, e a chi lavora bene, in particolare. Come abbiamo avuto modo di ripetere in più occasioni, esiste un sistema, il cui acronimo è SPRAR (Sistema Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati) che funziona molto bene, perché prevede la partecipazione diretta degli enti locali, una rendicontazione assolutamente puntuale delle risorse spese, il rispetto di standard qualitativi, eccetera. Peccato che lo SPRAR accolga solamente il 13% dei rifugiati e dei richiedenti protezione presenti nel sistema di accoglienza italiano, mentre il 78% di questi sia ospitato in strutture emergenziali, i cosiddetti CAS (Centri di Accoglienza Straordinari), che sono gestiti sulla base di bandi prefettizi, non prevedono forme puntuali di rendicontazione e nemmeno standard qualitativi elevati. Ciò non toglie che ci siano CAS gestiti come SPRAR, ma ciò non toglie nemmeno che la maggior parte delle situazioni al limiti della legalità e dell’umano («si fanno più soldi con i migranti che con la droga») ricadano nella fattispecie dei CAS.
Quindi, per capire dove vanno a finire i 35 euro, qualche settimana fa ho scritto alla mia amica Federica, che lavora per una cooperativa che gestisce centri di accoglienza, sia SPRAR che CAS, garantendo uguali standard e servizi in tutte le strutture, e le ho chiesto di poterla osservare per nove ore, dalle 9 di mattina alle 18. Ho visitato, in una sola giornata, quattro strutture, potendo letteralmente ficcare il naso ovunque.
Ci diamo appuntamento in piazza a Fagnano Olona e, bevuto un caffè al volo, entriamo nel primo appartamento della giornata. Si tratta di un CAS, gestito dalla cooperativa insieme alla parrocchia locale, e pensato come esperimento propedeutico all’istituzionalizzazione dell’accoglienza, quindi al passaggio alla rete SPRAR. L’appartamento si colloca all’interno di una tipica corte lombarda, situata di fianco alla Chiesa parrocchiale: saliamo alcuni gradini di una scala esterna mentre Islam apre la porta. Nell’appartamento, di circa 50 metri quadrati, vivono lui e Dolal, entrambi originari del Bangladesh. Federica è assolutamente intransigente: fa un giro della casa e, trovato un panno per terra, li riprende immediatamente, invitandoli a una maggiore attenzione all’ordine e alla pulizia. C’è odore di fritto, e per questo non sono stupito dai bidoni di plastica impilati in cucina, che una volta contenevano olio di semi. «E’ da pochi mesi che sono qui a Fagnano — mi spiega Federica -, anche sesono in Italia da più di un anno». Iniziamo la lezione di italiano (a breve cominceranno le lezioni presso il CPIA) e risulta subito evidente la differente preparazione. «Islam e Dolal sono stati per mesi ospiti di un’altra struttura, ma purtroppo partivano da una situazione di scolarizzazione pregressa, in Bangladesh, totalmente differente, che si manifesta con una maggiore difficoltà di apprendimento di Dolal».
Finita l’ora di lezione ci dirigiamo verso Cassano Magnago, facendo però prima tappa in stazione a Busto Arsizio: «devo comprare gli abbonamenti del treno per i ragazzi che ospitiamo a Oggiona». Loro, mi spiega Federica, già frequentano quotidianamente il CPIA e per questo motivo hanno bisogno di spostarsi in treno.
A Cassano, un altro appartamento, anch’esso di proprietà della Parrocchia, situato all’interno dell’oratorio. Ci abitano in quattro, e tutti e quattro stanno facendo lezione di italiano, in questo caso con un volontario della parrocchia, che si aiuta con testi di grammatica per stranieri, i cui argomenti ricorrenti sono fughe e migrazioni. Il più bravo è un ragazzo maliano: non utilizza più la grammatica. Legge Avvenire, in particolare un articolo sulla situazione mediorientale, e cerchia le parole che non conosce. In cucina, sui fornelli, una pentola con del sugo. Finita la lezione, e ispezionato l’appartamento, Federica accompagna tutti e quattro a fare la spesa. Hanno deciso tempo fa di mettere in comune le risorse destinate al vitto, per realizzare delle piccole economie di scala. Comprano tantissima verdura, poca carne — e di taglio non pregiato -, Coca Cola. Ogni tanto indugiano su alcuni prodotti, ma Federica li richiama all’ordine e li consiglia. Le persone attorno a noi ci guardano con quell’indifferenza che non lo è, con occhi che indugiano una impercettibile frazione di secondo di troppo.
Andiamo ad Oggiona, dai ragazzi che frequentano il CPIA per i quali abbiamo acquistato gli abbonamenti del treno, e che sono alla ricerca di un primo impiego. Provengono dall’Africa nera, parlano il francese. Uno di loro pesa gli spaghetti da buttare nell’acqua bollente, un altro lavora, aiutato da Federica, alla stesura del proprio curriculum, mentre un terzo è seduto sul divano, con lo sguardo assente: «Non preoccuparti Seiba, stiamo già organizzando il ricorso, faremo tutto il possibile», cerca di rassicurarlo — senza illuderlo — Federica, rispetto al rigetto della domanda di asilo che ha ricevuto pochi giorni fa.
E’ l’una passata da un pezzo, e ci dirigiamo verso Varese, dove la cooperativa per cui lavora Federica gestisce un’altra struttura, che ospita più persone, e dove trova spazio anche un piccolo ufficio. Anche in questo caso Federica si accerta che tutto sia in ordine. La cucina è uno spazio comune, gestito in autonomia dagli ospiti, e sulle pareti sono appesi i turni della corvée. Non tutti i ragazzi sono all’interno della struttura, ma col passare del tempo si affacciano all’ufficio, raccontando a Federica come procedono le cose, cosa hanno fatto durante la giornata, chiedendo consigli sui percorsi formativi. Uno di loro, molto giovane, non è sicuro di voler fare l’esame per la licenza media, ma di voler investire più tempo nella ricerca di lavoro. Un altro vuole sostenere l’esame di lingua per un livello che Federica non ritiene adeguato, e così via. Nel frattempo Federica comincia il lavoro che le tocca fare ogni volta che passa in ufficio, e cioè rendicontare tramite un software dedicato tutte le spese sostenute durante la giornata strettamente legate all’accoglienza, dagli abbonamenti del treno a uno sciroppo per la tosse.
Il bilancio delle otto ore lavorative è di fatto questo: tre appartamenti e una struttura più ampia visitata, lezioni di italiano, sostegno nella ricerca del lavoro, acquisti vari e conseguente rendicontazione. Il tutto seguendo un approccio che non è solamente rigoroso, ma che tende alla completa inclusione del rifugiato o richiedente asilo, non solamente formativa o professionale, ma passando anche da aspetti della quotidianità quali fare la spesa, cucinare, tenere la casa in ordine. Ed ecco spiegato dove vanno a finire i 35 euro — tutti rendicontati! — quando vengono spesi bene.
IL PUNTO SUL 2016
Nel 2016 sono arrivate via mare in Europa 361mila persone. Nel 2015 erano state un milione e 15mila. Nel 2014, 216mila.
In Italia ne sono arrivate 180mila (nel 2015, 153mila, nel 2014, 169mila), in Grecia 173mila.
Nel 2016 sono morti nel Mediterraneo 5.022 migranti. Nel 2015 ne morirono 3.771. Il 2016 è l’anno con più morti.
Le prime dieci nazionalità per numero di arrivi rappresentano il 76% del totale degli arrivi. Le prime cinque nazionalità: Siria (23%), Afghanistan (12%), Nigeria (10%), Iraq (8%), Eritrea (6%).
NEWS IN BREVE
Negli scorsi giorni si è sviluppato un dibattito irreale sulla necessità di espellere tutti gli irregolari. Ne ho scritto diffusamente, cercando di spiegare una soluzione alternativa più realistica e più umana, rispondendo a Beppe Grillo, così come a Debora Serracchiani, e facendo notare che sulla questione dei migranti molto spesso le posizioni di maggioranza e minoranze coincidono (in peggio). Tra l’altro, nel 2013 la Camera si era già espressa contro questa strategia, con particolare riferimento alla disumanità dei CIE.
Sono cominciati, nel frattempo, i rimpatri dai paesi europei all’Afghanistan. Il NY Times ha intercettato tre rimpatriati, che raccontano come la loro vita in Afghanistan non esista più, dato che ne stavano costruendo un’altra in Germania.
Il primo di gennaio 800 migranti hanno cercato di scavalcare l’alta recenzione che separa il Marocco dall’enclave spagnola di Ceuta.
La storia dell’imprenditore canadese che, con 1,5 milioni di dollari, ha portato 58 famiglie siriane in Canada, garantendo loro una nuova vita.
MUST WATCH
Storia di una pallottola, il webdoc a cura di Emergency.
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