Dopo un breve silenzio (che potremmo definire “elettorale”), torniamo a parlare di migrazioni e accoglienza, ripartendo da uno dei più potenti elementi dal punto di vista simbolico, ma anche politico, e cioè i confini, e in particolare la loro gestione, cosa che i governi europei fanno sempre con maggiore attenzione, non limitandosi ai propri. Internazionale di questa settimana riporta, infatti, un articolo di Die Zeit (Germania) che racconta le politiche promosse dalla Germania in nord Africa, dove viene addestrata la polizia di frontiera al fine di elevare gli standard di sorveglianza dei confini, e quindi un maggiore controllo (si legga: il blocco) sui migranti.
Nel 2016 la polizia tedesca ha organizzato oltre sessanta missioni di addestramento in Tunisia, ha inviato materiale, ha ricevuto guardie di frontiera tunisine, sostenute con milioni di euro anche da Francia, Regno Unito e Italia. La Tunisia gode di un’attenzione particolare da parte di Angela Merkel, la quale, settimane fa, disse di voler replicare con questo paese l’accordo vigente tra UE e Turchia. Ovviamente l’accordo deve prevedere una contropartita, pare monetaria, dato che un paese come la Tunisia non dovrebbe avere alcun interesse nel gestire migliaia di potenziali rifugiati. E infatti, scrive Internazionale, «a metà ottobre i capi di stato e di governo dell’Unione europea […] hanno stabilito che i paesi africani che si impegnano a riaccogliere i profughi e a rafforzare la sorveglianza dei loro confini dovrebbero ricevere maggiori aiuti allo sviluppo». La faccenda ha anche un altro risvolto economico, perché la sorveglianza dei confini (soprattutto di confini estesi e assolutamente permeabili) richiede ingenti investimenti, trasformando tutto ciò in «floridi mercati per le aziende che producono quello che qui ancora manca: recinzioni, sistemi radar, sistemi di riconoscimento biometrico per il controllo dei visti». E chissà che discussioni sul controllo delle frontiere non siano state oggetto anche dell’incontro, avvenuto pochi giorni fa, tra Il presidente eritreo, Isaias Afewerki e il presidente egiziano, Abdel Fatah al Sisi, due paesi assolutamente strategici, in quanto paesi di fuga e di transito (e ricordiamo che ad Angela Merkel non dispiacerebbe applicare anche all’Egitto il medesimo accordo di cui sopra). Le agenzie stampa hanno parlato del comune obiettivo di «sviluppare le relazioni tra i due paesi e i rapporti bilaterali, oltre e legare gli sforzi comuni sulle questioni di importanza comune».
Sempre Internazionale (lo trovate in edicola, fino a giovedì) racconta la storia del filo spinato, che va abbastanza di pari passo con la storia dei confini, dato che da quando c’è il filo spinato è molto più semplice tracciarne: «mai prima d’ora aree così ampie del pianeta sono state chiuse. Mai prima d’ora una porzione così grande del globo è stata suddivisa a questi livelli. Oggi Cina e India dominano il mercato mondiale del filo spinato, per un totale di 500mila tonnellate di materiale all’anno. E’ l’equivalente di sette milioni e mezzo di chilometri di filo spinato, abbastanza per fare duecento volte il giro della Terra».
[ACQUISTA NESSUN PAESE E’ UN’ISOLA]
MA UN’ALTERNATIVA C’E’
E se abbiamo parlato più volte dei canali umanitari come di una soluzione per evitare traversate della morte nelle mani di criminali, esiste anche un’alternativa al rimpatrio forzato, e si chiama rimpatrio volontario. Stiamo parlando sicuramente di un argomento molto delicato, dato che il confine tra “forzato” e “volontario” può essere davvero molto labile e violabile facilmente, però esistono comunque buone esperienze, che danno vita alle cosiddette “migrazioni circolari”, secondo le quali un migrante al quale venga proposto di tornare in patria con un bagaglio di competenze professionalizzanti potrebbe considerare non fallito il proprio progetto migratorio (che verosimilmente consisteva nel trovarsi un lavoro in Europa e inviare rimesse), spendendo nella propria terra d’origine quanto ha appreso in Europa. Lavoce.info ha provato a fare qualche conto: «dal 2000 al 2015 i paesieuropei (28 membri Ue più Norvegia, Svizzera e Islanda) hanno speso complessivamente 11,3 miliardi di euro per il rimpatrio dei migranti irregolari e 1,6 miliardi per rafforzare i controlli alle frontiere: spese di trasporto, mezzi navali per il pattugliamento delle coste, strumenti di visione notturna e addestramento uomini. Mediamente, ogni espulsione costa circa 4mila euro. Una cifra simile viene pagata dai migranti ai trafficanti, quantificabile per lo stesso periodo in 15,7 miliardi, senza contare i costi sociali e l’altissimo rischio dei viaggi». A fronte di questo enorme flusso di risorse, i rimpatri volontari sono stati solamente 3.700 dal 2009 al 2015. Investire in politiche serie di rimpatrio volontario potrebbe sicuramente essere un’alternativa valida al rafforzamento dei confini e ai rimpatri forzati.
A proposito di canali umanitari, ne vedremo attivato presto un altro, sempre in via sperimentale, sempre con il contributo di organizzazioni terze, e cioè Comunità di Sant’Egidio, Migrantes e Caritas. Sulla base del protocollo già sottoscritto con il governo e inerente al Libano, verrà sottoscritto un nuovo protocollo per l’Etiopia, con l’obiettivo di portare in maniera legale e sicura in Europa almeno 500 persone.
MUST READ
“Quello che mi ha colpito di più è che aveva cucito all’interno del maglione un piccolo sacchetto”, racconta Cattaneo mentre si sposta un riccio biondo dalla fronte e fa una pausa per prendere fiato. “Io sono abituata a fare autopsie per i tribunali e ho pensato subito che si trattasse di droga o di qualcosa di prezioso. E invece era un sacchetto di plastica con dentro una manciata di terra”, L’Italia fa scuola nell’identificazione dei migranti morti nel Mediterraneo, di Annalisa Camilli.
GOOD NEWS
«Accoglienza e formazione lavorativa, binomio che può funzionare. Quello che è avvenuto in un campo alle porte di Cavenago Brianza, a nord-est di Milano, lo conferma: 30 richiedenti asilo, in attesa di sapere se la loro domanda venisse accolta o meno, hanno prima recuperato poi coltivato a ortaggi in agricoltura biologica un terreno incolto, accompagnati dagli enti gestori del percorso di accoglienza – riuniti in una rete territoriale, Rti Bonvena – dalla Scuola agraria del vicino Parco di Monza e da altri soggetti del privato sociale locale, come la cooperativa sociale Il Cedro, che si occupa di giardinaggio», Benvenuti a Cavenago, dove i richiedenti asilo danno nuova vita ai campi incolti, di Daniele Biella.
L’amministrazione comunale di Roma ha speso la propria parola promettendo che «accoglierà decine di persone che al momento sono costrette a dormire all’addiaccio». Roma fa un primo passo verso l’accoglienza dei migranti, di Annalisa Camilli.
BAD NEWS
Che la chiusura dei confini non sia la soluzione ma che, anzi, rischi di aggravare la condizione di quelle persone che i confini vogliono superarli (e spesso parliamo di persone del tutto indifese sottoposte a ricatti inaccettabili), è risaputo. E’ risaputo che la chiusura dei confini faccia delle vittime e che le faccia, purtroppo, anche nel nostro paese. Sono morte cercando di salire su un treno al Brennero, due settimane fa, un minorenne eritreo e una giovane donna di cui non si conosce la nazionalità.
La campagna di presentazione di Nessun paese è un’isola ha ripreso a macinare chilometri. Tutti i libri sono stati inviati, e se ieri sono stato a Lonate Pozzolo per spiegare come l’accoglienza può essere un fattore positivo per tutti, settimana prossima sarò a Fagnano Olona (Varese), per la precisione mercoledì 14 dicembre, alle 21.
Per qualsiasi cosa (comprese tappe della campagna), l’indirizzo al quale scrivere è nessunpaeseeunisola@gmail.com.
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A presto,
stefano