È communis opinio, non da ora per la verità, e non più solo tra “dotti”, che l’Unione Europea soffra di un profondo deficit democratico. Il quale continua ad alimentare quei populismi e qualunquismi euroscettici che, resi via via più acuti dalla crisi economica, riducono le basi del consenso necessario al compimento dell’architettura sovranazionale in direzione repubblicano-democratica.
Incompiutezza, debolezza d’Europa: che fare per uscire da questo circolo vizioso?
Un parlamento (ri)costituente. Molto dipenderà da come i democratici riusciranno ad interpretare la campagna per il rinnovo del Parlamento europeo.
Un’occasione per immettere energie nuove atte ad imprimere una svolta facendone organismo dotato di potere (ri)costituente, nucleo di una Convenzione europea – da varare durante lo stesso semestre di presidenza italiana del Consiglio dell’Unione — che avrebbe il compito di elaborare quella costituzione federale che darebbe vita, nel seno dell’“Eurozona”, al sogno che fu di Giuseppe Mazzini, Carlo Cattaneo, Altiero Spinelli e tanti altri pensatori e patrioti che lottarono per la libertà e l’emancipazione di tutti e di ciascuno: gli Stati Uniti d’Europa.
I quali non vanno però ridotti a slogan vuoto (usato a piacimento da qualsiasi forza politica), bensì rivendicati quali utopia concreta, frutto di un preciso percorso istituzionale che solo la lotta politica potrà offrire, se intrecciato alla creazione di nuove opportunità per il popolo dei cittadini, spostando al livello continentale il nodo del reperimento delle risorse necessarie a cambiare il “modo di produzione” nel senso dello sviluppo sostenibile e della green economy “di scala”.
Per costruire l’Europa sociale, che è anche federale. Saremo allora in prima fila con le forze sociali e i movimenti che promuovono le ICE – le Iniziative dei cittadini europei, strumento previsto dall’art. 11 del Trattato di Lisbona, entrato in vigore dall’aprile 2012. Tutte occasioni per attivare un’inedita mobilitazione paneuropea su campagne precise, utili ad innescare processi partecipativi che progressivamente contribuiscano a superare il deficit democratico europeo.
Come l’ICE per un New Deal d’Europa ovvero, più esattamente, per un piano europeo straordinario di sviluppo sostenibile per la piena occupazione il cui obiettivo è quello di prefigurare l’Europa sociale alternativa a quella distante dei “tecnocrati”, attraverso l’istituzione di una tassa sulle transazioni finanziaria e una carbon tax. Un milione di firme da raccogliere in almeno sette paesi dell’Unione, congiuntamente e parallelamente a quelle per l’acqua pubblica, la libertà d’informazione o il reddito minimo europeo.
Realizzare tutto questo, lo sappiamo, è possibile solo in presenza di un governo europeo basato su una struttura istituzionale federale, che racchiuda in sé le “quattro unioni” (bancaria, di bilancio, economica e politica), dotata di risorse proprie finanziate direttamente da cittadini e privati (EuroUnionBond e ProjectBond) e di un vero governo- risultato della “politicizzazione” della Commissione- legittimato e controllato dal Parlamento Europeo.
E con un connesso sistema di partiti europei, che porti al superamento di quel certo tono di “democazia consociativa” che ha prevalso sinora a Bruxelles e Strasburgo. Attraverso una lotta politica giocata finalmente principalmente sullo scenario continentale, capace di sfidare i poteri economici internazionali che condizionano le vite di milioni di persone al livello nazionale e locale.
La leva internazionale del cambiamento. A questo proposito diciamo a scanso di equivoci che il Partito Democratico deve sciogliere una volta per tutte ogni riserva: entrare a pieno titolo nel Partito Socialista Europeo, la casa principale del progressismo europeo, quella più affine alle sue più profonde radici storiche.
Che non è però l’unica: con la cultura ecologista espressa dai Verdi europei da una parte, e le istanze radical-riformatrici della Sinistra europea dall’altra, si devono porre da subito, prima e durante la campagna per le elezioni del Parlamento europeo le premesse di una inedita coalizione forte ed ampia, in dialogo con i movimenti, capace di incidere sui processi politici, così da allargare l’orizzonte del cambiamento oltre il gruppo parlamentare dell’”Alleanza dei Socialisti e Democratici”.
Sarebbe l’inizio di un percorso comune che potrà portare passo dopo passo in un futuro prossimo alla creazione di un rinnovato soggetto politico progressista unificato continentale capace di ottenere un consenso maggioritario a livello europeo e nei singoli paesi dell’Unione, per attuare indirizzi condivisi di economia di scala, e governo e riforma della società. In coerenza con l’allargamento dell’Internazionale socialista ad altre culture politiche democratiche, così come sancito globalmente dalla Progressive Alliance.
Cominciamo a creare dei circoli, dei luoghi di confronto ed elaborazione politica comune, nelle principali città universitarie europee, che raccolgano e mettano a confronto studenti lavoratori e cittadini sulle politiche da attuare al livello continentale.
Proponiamo un candidato unico alla Presidenza della Commissione Europea, che rappresenti non solo i socialisti ma l’intero arco progressista.
Sarà così che avvieremo la creazione di quel necessario sistema dei partiti europei, concepiti in quanto “unitari e federali” – non più mere “confederazioni” di partiti nazionali – capaci di stringere alleanze tra loro e in grado così di proporre politiche efficaci ad ogni livello.
Solo così avremo ricostruito quella leva internazionale del cambiamento, all’altezza dei tempi, capace di portare a compimento progressivamente il “sogno di una cosa”.