[vc_row][vc_column][vc_column_text]Da quando abbiamo iniziato a proporre, assieme ad altri, di costruire un progetto di ampio respiro e visione per le elezioni europee, sembra passato un secolo. In tante e tanti non ci siamo risparmiati, cercando di trovare chiavi per superare steccati e diffidenze fresche e antiche, leaderismi, prese di posizione ideologiche e deliri da fantapolitica…
Chiavi che risiedessero nei contenuti, nelle urgenze epocali su cui servono epocali convergenze, nella scelta delle figure più autorevoli per rappresentare le istanze più importanti, nella capacità delle donne di fare squadra, di tenere assieme, di concentrarsi sull’obiettivo. La storia recente è nota.
Eppure tutte le emergenze restano lì. Il collasso climatico in primis, che non farà altro che peggiorare tutto il disastro in cui siamo finiti, dall’incattivimento della società, alle incredibili diseguaglianze che non fanno altro che crescere, passando per la perdita di democrazia e diritti civili per tutti, fino all’insalubrità crescente dei nostri territori, dell’acqua, dell’aria che respiriamo almeno 15 volte al minuto.
Sono 5 anni e 2 mesi che ho deciso di impegnarmi in politica da ecologista e sono 4 anni che partecipo con passione alla costruzione di un partito che si chiama Possibile.
Un partito nato da persone che sono scese dal carro impazzito di un PD mai così “vincitore” (avendo intuito che le scelte dissennate avrebbero portato allo schianto), Pippo Civati in testa, da persone che non avevano mai fatto politica fino a quel momento e da persone che, come me, non avrebbero mai aderito ad un progetto che non mettesse radicalmente al centro l’ecologia, con la sua lucidissima capacità di prevedere (prima) e interpretare (poi) tutti i fallimenti delle politiche e dello sviluppo degli ultimi decenni, con la sua capacità di costruire una strategia salvifica e concreta per uscirne.
I confini di Possibile non sono mai stati nazionali, perché è sempre stata fortissima la consapevolezza che le battaglie che dobbiamo affrontare i confini non li conoscono e non li riconoscono (dai cambiamenti climatici allo stra-potere delle multinazionali, ridicolo pensare di potersi salvare da soli).
Fin dalla prima volta che ho preso parola in pubblico, ho raccontato quel che vedevo io: Possibile radicato nei Verdi Europei, il partito internazionale immaginato in primis da Alex Langer, che in moltissimi Paesi sta ribaltando i tavoli e modificando agende e equilibri politici, tenendo alta la bandiera dell’Europa dei Popoli, della solidarietà, dell’accoglienza, dei diritti, dell’ecologia al centro.
I Verdi Europei hanno dimostrato negli anni di essere coesi come gruppo, hanno ottenuto risultati tangibili, le loro proposte radicali su efficienza energetica, rinnovabili, economia circolare, agricoltura, allevamento, benessere animale, lotta ai pesticidi e agli OGM, sulla necessità di conversione dell’industria e dei sistemi di produzione, come sui diritti, su un rafforzamento delle istituzioni europee, sull’accoglienza, contro l’austerità, su contrasto ad evasione ed elusione fiscale, sul commercio giusto, su una diversa concezione della mobilità, dei trasporti, di strutture e infrastrutture li hanno resi coerenti, credibili e promotori di politiche efficaci, per un cambiamento vero dello stato di cose presente, anche per la capacità di stringere alleanze e provocare convergenze parlamentari.
Le loro proposte camminano tanto in Europa quanto nei diversi Paesi sulle gambe di persone come Judith Sargentini, Ernest Urtasun, Ska Keller, Claude Turmes, Bas Eickhout, Marie Toussaint e tante altre persone e politici fantastici (che se non avete mai sentito vi consiglio di cercare).
Il mio sogno era condiviso da molti, ma mai effettivamente esperito. In alcuni momenti ho vissuto con disagio questa dicotomia, ma ho sempre creduto che valga più un passo fatto da tutta una collettività (o una comunità, come a molti di noi piace chiamarla), per quanto ci possa volere più tempo e più energia, che un balzo fatto da soli.
Possibile è un partito politico. Non è una associazione, non è un circolo di amici, non è un comitato di quartiere. Al di là delle scelte personali, in una situazione difficile come questa, dopo aver tentato tutto il tentabile come abbiamo fatto, un partito politico deve fare una scelta politica. E prendersene la responsabilità.
Ho sostenuto la scelta verde con forza e determinazione, in coerenza con la mia storia e con la mia esperienza ma, sopratutto, perché per me la “sinistra 4.0” non può che essere questa cosa qui. Se è vero, come ci dicono gli scienziati di tutto il mondo, e come ora ripetono i ragazzi di tutto il mondo, che abbiamo 11 anni per fermare il cambiamento climatico, non possiamo avere più nessun tentennamento. Nessuno.
Ci vuole coraggio, ci vogliono scelte radicali e solide subito. Senza sconti, senza mediazioni, senza dilettantismo.
Ci vogliono le migliori menti in Europa e nel mondo, quelle che da anni, con coerenza, costruiscono la strada perché giustizia ambientale, climatica e sociale non siano mai più separate. La nostra è una scelta verso una visione del mondo forte e chiara. Non è contro qualcuno, è per il bene di tutti.
Da più parti mi si chiede di rispondere alle accuse e ai colpi più o meno bassi già volati in questi giorni. Ma io non voglio farlo. Non voglio entrare nel gioco che ha contribuito a rendere inagibili il dialogo e il confronto in questi anni e in questi mesi. Non voglio alimentare quelle stesse modalità che ci hanno portato fino a qui. Mentre sappiamo benissimo in tanti che dietro le responsabilità più alte, ci sono persone che sarebbero disponibili da subito a lavorare assieme, fianco a fianco. Non voglio spezzare le reti costruite dalla stima e l’autorevolezza degli interlocutori, in tante battaglie fatte assieme, in tanti confronti e in tante discussioni, anche nel dissenso, fatte sempre con rispetto e con la curiosità di capire il punto di vista altrui.
Mi dispiace, non ci sto. Le reti me le tengo strette, e continuo a combattere perché prima o poi prevalgano.
Intanto, però, ci sono milioni di cittadine e cittadini che non potrebbero mai affidarsi un PD senz’anima egemonizzato da Calenda e Minniti, che non potrebbero mai sentirsi rappresentati dalla totale incoerenza e inefficacia dei 5S, per i quali la stella dell’ambiente è diventato un buco nero, che tremano all’idea di lasciare il campo all’odio e al vincismo dei fascioleghisti.
A chi pone la lecita domanda sul perché della scelta tra Sinistra e Verdi, direi che dalla sinistra europea (perché di elezioni europee stiamo parlando, sarebbe bene tenerlo sempre presente) ci dividono innanzitutto la determinazione nel cambiare l’Europa dall’interno, la volontà di rafforzarne le istituzioni e, purtroppo, anche la coesione e focalizzazione del gruppo sui temi ambientali (non è tema prioritario nelle rappresentanze di tutti i Paesi).
In ogni caso, però, dovremo fare alleanza su tantissime questioni, come è stato fatto molto spesso in questi anni in parlamento EU, cercando sintesi tra forze democratiche e progressiste, sinistra e Verdi, in grado di creare vere maggioranze parlamentari. Quanto potrà mai essere utile spararsi addosso ora?
A chi mi fa presente, infine, che il campo ecologista politico in Italia non è paragonabile a quello degli altri Paesi, rispondo che se in Italia non si è riusciti a provocare il cambiamento necessario, forse è il caso di convergere in massa su questo campo e di potenziarlo, anche trasformandolo con nuove energie: per tutti quelli che sono preoccupati per il proprio presente, per il proprio futuro e per il futuro delle giovani generazioni, messo a rischio da un nemico immensamente più grande di tutte le nostre piccolezze messe assieme.
Come dice Mercalli: non c’è più tempo.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]