Personalmente ho affrontato questa campagna referendaria unicamente con argomenti di merito, magari sottolineando le deviazioni altrui da questa strada maestra, soprattutto quelle del Sì ma non disdegnando di farlo anche con quelle del No.
Tuttavia in questi giorni c’è una recrudescenza da parte di alcuni sostenitori del Sì a sottolineare la presunta eterogeneità dello schieramento del No, come se fosse una vera e propria coalizione politica (come l’attuale governo, per fare un esempio) e non semplicemente la somma aritmetica dei contrari ad una specifica legge di riforma costituzionale.
Ovvio come si tratti di un argomento consapevolmente strumentale, ma sentirlo ripetere da politici noti e navigati alla lunga dà noia.
Allora se proprio mi volete costringere ad entrare in questo campo, facciamo una piccola eccezione, usciamo per un attimo e consapevolmente dal merito in senso stretto e ragioniamo su un aspetto che invece non è affatto strumentale ma oggettivo.
Perché i limiti di questa riforma costituzionale sono quelli che io ed altri abbiamo sottolineato mille volte, ma esiste un non detto, una presunzione di partenza di cui nessuno parla apertamente ma che di fatto è una certezza, che vorrei provare a spiegare.
Come è noto, il Senato prefigurato dalla riforma sarà composto da 74 consiglieri regionali, 21 sindaci e 5 nominati dal Presidente della Repubblica, così come è altrettanto noto che i senatori saranno eletti dai consigli regionali.
Prevengo l’obiezione, le indicazioni degli elettori ed eventuali leggi elettorali regionali modificate, cioè gli argomenti fantascientifici che vengono usati per convincere gli elettori stessi che potranno vagamente influire su questa elezione, oltre ad essere appunto aria fritta, sono irrilevanti, perché non è affatto previsto che tutti i consigli regionali o comunali vengano sciolti al momento della non auspicabile entrata in vigore della riforma.
Sappiamo invece che il mandato dei consigli regionali, oltre che dei sindaci, rimarrà immutato e che quindi (tra l’altro anche questo potrebbe essere un bel problema) il ricambio dei senatori sarà annuale e a macchia di leopardo.
Ma bisognerà pur cominciare e quindi, senza ahimè le generiche e giuridicamente impalpabili “indicazioni degli elettori”, al momento della prima applicazione della riforma (la legislatura successiva a quella attuale) i senatori sarebbero eletti dai consigli regionali nella composizione del momento.
Se si sciogliessero le camere il giorno dopo il referendum, nella composizione attuale.
Ora, secondo tutte le proiezioni (cito quella de La Stampa che ha anche un bel grafico e i disegnini servono) se il nuovo Senato nascesse il 5 dicembre conterebbe 55 senatori del PD.
Poi ci sarebbero i 5 dei partiti autonomisti alleati del PD e i 5 di NCD UDC, e ciò senza contare i 5 nominati dal Presidente della Repubblica.
Con 55 senatori su 100 il PD avrebbe comunque una solida maggioranza, che aumenterebbe a 65 tenendo conto solo dell’area di governo.
Se poi ci fossero anche solo 2 nomine “giuste”, neanche tutte e 5 (che poi qualcuno di Forza Italia lo si convince sempre), l’attuale schieramento di governo avrebbe almeno 67 senatori su 100 cioè oltre i due terzi del senato (66,6 periodico).
E difficilmente fra quei 55 del PD, scelti dai consiglieri regionali, quindi dal partito, avremmo esponenti di minoranze più o meno bellicose (in realtà assai mansuete).
Quindi cari amici del Sì, quando parlate di Senato e quando parliamo di schieramenti, vorrei foste consapevoli che state chiedendo a me e a tutti gli Italiani di votare PD al Senato nell’unica competizione elettorale (in senso lato, la prima e l’ultima), dove il voto dei cittadini conterà per determinarne la composizione.
Perché questo accadrebbe se vincesse il Sì.
In via automatica si andrebbe a comporre un Senato a maggioranza assoluta PD e a maggioranza di oltre 2/3 di area governativa, cioè a dire, il senato sarebbe saldamente nelle mani dei promotori della riforma (come adesso, peraltro, a proposito di cambiamenti radicali).
E non credo sia casuale, diciamo.
Un Senato, come è noto, il cui voto sarà indispensabile per alcune leggi (per le quali il bicameralismo paritario rimane) e determinante per l’approvazione di altre, oltre che per bazzecole come l’elezione del Presidente della Repubblica.
Ecco, io faccio parte di un altro partito e, prima di tutto, vorrei votare per eleggere il Senato, e poi, se potessi votare, voterei il mio, di partito, non il vostro.
Perciò non stupitevi se insieme ad altri elettori di partiti da me lontanissimi non voterò PD al Senato il 4 dicembre e quindi voterò No a questa riforma, che ogni giorno che passa si dimostra più insensata.