La Consulta — con la sentenza 35 del 2017 — ha bocciato l’attribuzione del premio di maggioranza a seguito del ballottaggio tra le (sole) due liste più votate che avessero ottenuto al primo turno meno del 40%, perché in questo modo avrebbe consentito di ottenere il 55% dei seggi anche a una forza politica dal consenso molto limitato, con evidente sovrarappresentazione della stessa, riproducendo i medesimi limiti del porcellum.
Ha salvato, invece, l’attribuzione del premio alla lista più votata che abbia ottenuto almeno il 40% dei voti, in quanto «tale soglia non appare in sé manifestamente irragionevole», nel bilanciare i principi di rappresentatività e di uguaglianza del voto con quelli della stabilità di governo e rapidità del procedimento decisionale. In proposito la Consulta dà anche conto che questa soglia è stata più volte innalzata durante i lavori parlamentari.
Ora, tra le varie ipotesi che circolano e su cui si è concentrata l’indagine conoscitiva della Commissione affari costituzionali c’è quella di abbassamento della soglia per accedere al premio di maggioranza. Come abbiamo detto anche in sede di audizione, ciò che queste Camere, elette con una legge elettorale incostituzionale e autrici di una legge elettorale (per la sola Camera) incostituzionale, devono in ogni modo evitare è l’approvazione di un’altra legge elettorale incostituzionale.
Dalle sentenze numero 1 del 2014 e 35 del 2017 emerge come il sistema proporzionale con premio di maggioranza, sconosciuto agli altri ordinamenti ma singolarmente attraente per il legislatore italiano (al di là del poco raccomandabile precedente della legge Acerbo, in epoca monarchica, esso è stato previsto nella legge-truffa, nella legge Calderoli e nell’Italicum), sia rischioso perché contiene, in sostanza, in sé una contraddizione tra la finalità del proporzionale – che è sulla di assicurare rappresentanza – e l’obiettivo della stabilità di governo, che su di esso viene artificialmente innestato attraverso il premio. Ciò – secondo la Consulta – non porta necessariamente all’incostituzionalità (e non lo fa, infatti, allorquando si attribuisca un premio di circa il 15% a chi riporti una percentuale di consensi del 40%) ma soltanto ove non vi sia una “eccessiva sovra rappresentazione” che la Consulta si ritiene competente a scrutinare secondo il canone della ragionevolezza. Quindi abbassare la soglia, che – lo ribadiamo – la Corte ha giudicato «non manifestamente irragionevole», espone certamente al rischio di incostituzionalità, un abbassamento potendo far somigliare sempre di più il nuovo Italicum al vecchio Porcellum (che la soglia non aveva). Dubbi fa sorgere anche l’ipotizzato (da alcuni) abbassamento della soglia unito a un abbassamento del premio, ad esempio portato fino al 52% per chi avesse ottenuto il 37% dei consensi (una sorta di soglia-febbre). Infatti, a parte il fatto che non serve Pitagora per comprendere che il premio sarebbe comunque proporzionalmente maggiore rispetto ai consensi effettivamente ottenuti, questo getterebbe dubbi sulla necessità, quindi, di un aumento maggiore negli altri casi: se, in sostanza il 52% viene ritenuto idoneo ad assicurare la stabilità di governo, perché in altri casi arrivare anche al 55%?
La sintesi di tutto questo peraltro è una sola: il legislatore e chi lo consiglia dovrebbero astenersi da ulteriori pasticci, che i sistemi “a premi” fanno facilmente emergere, e scegliere sistemi lineari e coerenti, che può derivare anche da una equilibrata combinazione di maggioritario e di proporzionale, come avveniva con il Mattarellum o come avviene secondo il sistema tedesco.