La ricerca di un messaggio chiaro e comprensibile a tutti è la vera sfida della politica contemporanea. Abbiamo bisogno di parole che riescano a rappresentarti, a dire quello che sei, quello che fai e dove vuoi andare. Parole che diventano sineddoche. Parti per il tutto. Sono le parole a definire la nostra azione politica. Non solo perché sono importanti, come diceva quel tale. Ma anche perché è attraverso le parole che riusciamo a costruire il mondo in cui vogliamo vivere. Per questo costruire un nuovo vocabolario è fondamentale. Ed era l’aspetto forse più interessante ed innovativo della prima Leopolda, quello che ne catturava in pieno lo spirito (quello della Prossima Italia, quello della nostra Italia Possibile).
Le parole nuove. Nuove soprattutto nel modo, nell’uso e nel significato. Perché è facile usare le parole e renderle vuote, renderle vacue e usarle solo perché sono di moda, perché suonano bene, perché ci consolano. Non si tratta di trovare lo slogan giusto — perché da parole vuote derivano azioni vuote — ma di costruire un nuovo significato. Le politica deve essere il laboratorio delle parole possibili perché non si facciano tanto parole nuove (per quanto Andrea Bajani, nel suo La scuola non serve a niente ci dica che dall’invenzione di parole nuove spesso nascano nuovi modi di raccontare la realtà), quanto una raccolta che definisca il nostro percorso. E non si parla, qui, solo di politica, perché non esistono compartimenti stagni e tutto è dialogante e interconnesso. Perché è facile usale parole di tendenza che però non servono a niente, così come è facile usare parole storiche che ci consolano perché ci fanno sentire a casa salvo poi sorprire che quella casa non è poi quel porto sicuro dove pensavamo di essere. Soprattutto perché le parole storiche, se usate senza una prospettiva futura, sono disinnescate, sono innocue, sono inutile. Dobbiamo mettere in discussione anche questo. Il rifugio, la consolazione.
Un nuovo vocabolario per la sinistra nasce anche dal fatto che non possiamo più usare sinistra come antidoto contro i mali del mondo. Anche sinistra, se usata come placebo, diventa una parola inutile o, ancora peggio, disinnescata. Sappiamo di essere di sinistra perché facciamo cose di sinistra, non perché diciamo di essere di sinistra (sono cose diverse). Ma è proprio re-innescando il senso delle parole storiche — come sinistra, appunto — che possiamo ricostruire quel nuovo vocabolario che diventa la nostra nuova agenda e segna il nostro nuovo percorso. Perché le parole possono essere usate in modo strumentale e mistificatorio, lo diceva Stefano Bartezzaghi nel suo intervento al Politicamp di Livorno. E allora tutto diventa uguale a tutto perché perde il suo senso. E noi, in questa fase politica che si va riconfigurando, bisogno di parole che abbiamo un senso. Vero. Anche nuovo, ma autentico. Ma soprattutto, abbiamo bisogno di un senso.