L’inserimento del riconoscimento dell’identità alias nei nuovi CCNL del comparto Pubblica Amministrazione è un fatto politico importante perché conferma quanto in questi anni abbiamo sempre detto con Possibile: l’alias è uno strumento transitorio che migliora la qualità della vita delle persone trans* e che può essere applicato in ogni ambito della vita quotidiana.
Allo stesso modo, però, ci troviamo a condividere pienamente la lettera delle associazioni Gruppo Trans, ACET — associazione per l’etica e la cultura transgenere, CEST — Centro Salute Trans e Gender Variant, Sat-Pink Verona Padova Rovigo, Spot Maurice, T‑GENUS che hanno rilevato la criticità effettiva che questo passaggio sia accompagnato dalla richiesta di un’adeguata documentazione medica. È un approccio che affonda le proprie radici ancora in una visione medicalizzata dell’esperienza trans* che, invece, tenendo conto di quanto previsto dai manuali diagnostici internazionali, non è più un disturbo o una patologia ma una variante dell’identità sessuale. In questo senso condividiamo pienamente che si parli di affermazione di genere più che di transizione e che si superi il concetto stesso di disforia con quello di incongruenza, proprio come viene presentato dall’ultima edizione dell’ICD dell’OMS.
Il tema della depatologizzazione dell’esperienza trans* deve essere un faro nell’approccio a queste questioni specialmente se, come in questo caso, non si sta affrontando il superamento della legge 164/82 sulla rettifica anagrafica ma si inserisce uno strumento il cui fine è solo quello di colmare una situazione di forte discriminazione che le persone trans* vivono in quel periodo in cui non hanno ancora ottenuto dei documenti in linea con la propria identità.
In questi anni abbiamo sempre auspicato che le buone pratiche già accolte da diverse Università, associazioni sportive, e recentemente anche in esperienze legate al trasporto pubblico, si traducessero in effetto domino che permettesse l’istituzione dell’alias in maniera uniforme. Lo abbiamo fatto come Possibile anche promuovendo un’azione amministrativa a tappeto nei Comuni con la presentazione di una mozione che inserisce l’identità alias per tutt* i/le dipendent* e che è già stata depositata a Firenze e, prossimamente, anche a Cagliari, Milano, Roma e Bologna dove stiamo lavorando con consiglier* che si sono res* disponibil* a parlarne. L’intento è semplice: far capire che se questo strumento funziona in tutti questi ambiti allora può essere esteso in ogni settore della vita lavorativa e pubblica tanto più che rappresenta un “espediente” che non ha valore legale e nessun costo per la sua attivazione. È solo una questione di volontà politica, buon senso e civiltà nei confronti della persone trans*.
Tutto questo, però, come già detto, va portato avanti liberando le soggettività trans* dalla necessità che terzi ne attestino la “validità” dell’identità. L’adeguata documentazione medica si traduce, infatti, proprio in questo: limita la portata del principio di autodeterminazione legandola ad un’attestazione che determina ancora una situazione patologica dell’esperienza trans* che va superata in ottica dei liberazione dei corpi e delle identità.
Resta il fatto che l’inserimento dell’alias nel CCNL firmato da tutte le sigle sindacali apre, finalmente, il vaso di Pandora sull’enorme questione su persone trans* e lavoro e determina un fatto politico importante: l’alias esiste e può essere uno strumento universale. Chiaramente, però, questo non può essere l’obiettivo finale ma solo il grimaldello con cui iniziare a scardinare un sistema. Dobbiamo necessariamente superare la 164/82 con una nuova legge capace di proporre un nuovo modello di autodeterminazione e rettifica anagrafica capace di raccogliere i miglior indirizzi già presenti in altre legislazioni europee e mondiali.
E in questo senso la depatologizzazione è un passaggio obbligato e non più rinviabile.