Pubblicato in Gazzetta il decreto che contiene le misure sulla gestione dei casi di positività nelle scuole che innalza le soglie per chiudere le classe in caso di positività, specialmente nelle scuole frequentate dai più piccoli.
Se l’intento di limitare i casi di chiusura delle scuole è condivisibile, non lo è affatto il metodo scelto.
D’ora in poi, infatti, oltre un certo numero di positivi (4 alla primaria e 2 nelle secondarie) finiranno a casa gli studenti e le studentesse privi del green pass rafforzato, mentre gli altri potranno continuare a frequentare la scuola.
Secondo il ministro Bianchi, la ratio che ha mosso il provvedimento è la necessità della scuola in presenza e la volontà del governo di “indicare la strada” verso la vaccinazione.
Una punizione quindi, non certo l’esigenza di tutelare i fragili o garantire una maggiore sicurezza nelle scuole, altrimenti non si spiegherebbe perché la soglia per finire in DDI (Didattica Digitale Integrata) sia di tre studenti nelle scuole secondarie e ben cinque nelle scuole primarie, nelle scuole dell’infanzia e nei nidi, dove i vaccinati non ci sono (per ragioni di età) o sono ancora in numero ridotto e dove, fino al compimento dei 6 anni, non sono previsti dispositivi di protezione né il distanziamento.
Sicurezza inesistente per bambini, bambine e docenti, quindi, fino alle scuole secondarie, dove per finire in DDI bastano 2 casi, nonostante ci si trovi nella fascia d’età in cui la vaccinazione ha percentuali più alte: qual è il criterio scientifico che ha portato a questa decisione?
Dalla scuola primaria, poi, si pone in atto una inaccettabile e ingiusta discriminazione ai danni di minori che subiscono le scelte dei propri genitori (e a volte anche solo di uno, come nel caso di genitori separati), vedendosi negata la possibilità di frequentare la scuola.
Il risultato è, alla fine, la negazione della piena fruizione del diritto allo studio per tutti quanti, sia quelli in classe sia quelli a casa.
Come abbiamo detto tante volte la DDI non è scuola: si tratta una forma di contatto, breve e limitato, pensato per mantenere una relazione con insegnanti e compagni in caso di positività. Ma come si è sperimentato tante volte, se c’è un gruppo in presenza e un gruppo a casa, gli insegnanti sono costretti a una didattica ibrida che non consente le metodologie utilizzate in DAD (cioè quando tutta la classe è a casa) e quel che ne esce è di solito un grande pasticcio che non serve a nessuno.
Riteniamo che il Governo debba e possa trovare altri modi per sostenere la campagna vaccinale che non comportino alcuna discriminazione nella frequenza scolastica per studenti e studentesse sulla base delle scelte dei genitori. La ragionevolezza, la proporzionalità e l’inclusione sono principi che la scuola deve far propri, soprattutto in un’età che impone ai discenti l’accettazione delle regole.
Ci auguriamo un repentino ripensamento per una misura che riteniamo sbagliata e molto grave: rivedere questa regola discriminatoria sarebbe un grande insegnamento per i nostri ragazzi e le nostre ragazze, la strada giusta per una scuola davvero equa, accogliente e inclusiva.
Avremmo voluto che il Governo affiancasse alla soluzione del vaccino, importantissima, anche altre iniziative strutturali per rispondere a una emergenza educativa, oltre che sanitaria, che dura ormai da 2 anni: ridurre il numero di alunni per classe, potenziare organici e trasporti, areare adeguatamente le aule scolastiche con impianti di ventilazione meccanica controllata, stanziare fondi adeguati per il sostegno psicologico di studenti e personale.
Ma tutto questo dovrà, ancora una volta, aspettare tempi migliori.
Comitato Scuola di Possibile