[vc_row][vc_column][vc_column_text]Con circa un anno di tempo prima delle prossime elezioni europee, viene da chiedersi cosa sarà delle proposte del nascituro governo nell’Europa che verrà, e se l’Europa politica che verrà le troverà più o meno digeribili e se sarà più o meno simile a quella che è uscita dalla elezioni italiane con l’affermazione di Lega e M5s. Paradossalmente, però, nessuna di quelle due versioni dell’Europa avrebbe motivi per guardare con maggiore simpatia il governo Di Maio — Salvini.
Nel caso si confermassero più o meno gli schemi attuali, ovvero un centrodestra merkeliano che a seconda della latitudine flirta coi populisti — come Berlusconi con Salvini — o con con il centrosinistra — come in Germania e come è successo in Italia con le larghe intese dal 2001 a oggi, proseguiranno le politiche di rigore e austerità, anzi probabilmente si appesantiranno e si aprirà un conflitto perenne tra Italia e istituzioni europee, e tra Italia e mercati subito dopo, mettendo in grave difficoltà non tanto il nostro Governo, ma proprio noi come cittadini di questo sventurato Paese. I nostri risparmi saranno a rischio, i nostri stipendi pure, imprese chiuderanno, addio consumi, addio quel poco di benessere che ci rimane. E fin qui niente di nuovo.
Ma, per assurdo, se anche in tutta Europa soffiassero fortissimi i venti del populismo di destra, fino alla non augurabile affermazione di forze à la Salvini, o se preferite à la Orban, per Salvini stesso non sarebbe affatto una buona notizia. Il nazionalismo, infatti, ha questo di non trascurabile: il nazionalismo stesso, il protezionismo. La mancanza di un’idea di fondo che contempli non dico la solidarietà — non esageriamo — ma anche solo il progetto di costruire qualcosa di più grande, se non di più giusto, di ciò che sta dentro i propri confini nazionali.
Venendo ai dettagli, perché mai un Salvini tedesco dovrebbe permettere al Salvini italiano di sforare il deficit, sapendo che a pagarne le conseguenze sarebbe anche la Germania? Perché mai un’Europa — dio non voglia, ripetiamo — a trazione xenofoba dovrebbe permettere a Salvini di ridiscutere le quote di distribuzione dei migranti verso gli stati membri, sapendo che così dovrebbero farne entrare di più nel proprio Paese? Se l’Europa fosse governata dagli xenofobi metterebbe il filo spinato intorno alle Alpi e risponderebbe all’Italia che i migranti sono problemi suoi.
Il ritorno dell’interesse nazionale è quindi un tema di gran moda anche a sinistra, di questi tempi, e torna comodo come argomento contro la globalizzazione quale causa delle crescenti disuguaglianze. Ma, come inizia a sospettare persino Donald Trump, è benefico finché non svanisce l’illusione che possa essere unilaterale: e nel medio periodo non lo è nemmeno per gli Stati Uniti, con tutta la loro forza economica e geopolitica, figuriamoci per noi. Sono politiche attraenti finché si è convinti di poterle usare solo sugli “altri”, possibilmente più deboli, verso l’esterno, senza conseguenze, lo sono molto meno quando qualcuno restituisce il favore. Come succede per i dazi: sono molto popolari quando li si vogliono imporre ai prodotti importati per renderli meno competitivi, non lo sono più quando si ha bisogno di vendere i propri all’estero, e arrivati nei porti di mezzo mondo si scopre che saranno appesantiti di gabelle fino a risultare invendibili. A meno che — nel 2018 — non si creda nell’autarchia, nel caso basterebbe ricordare che l’Italia non produce nemmeno abbastanza olive da soddisfare la domanda interna di extravergine, figuriamoci il resto.
[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]