La folla immancabilmente segue l’andazzo. Sono sempre i pochi che aprono la strada al progresso.
Gustave Flaubert, Bouvard e Pécuchet, 1881 (postumo e incompiuto)
Continuo a credere che il referendum di ottobre sulle riforme costituzionali sia la più importante occasione politica di questi ultimi stanchi anni di politica bloccata. Un’occasione politica nel senso più pieno e politico (appunto) del termine, fuori da qualsiasi infantile giochetto del “o con Renzi o contro Renzi” che lo stesso PD ha pensato bene di innescare per corrompere la discussione. L’occasione di riflettere, discutere, dibattere e approfondire la Costituzione (e il pensiero della Costituzione che vorremmo e della sua evoluta applicazione) scinde di netto chi pensa ad un impegno ultrapolitico rispetto agli impolitici così alla moda in questi ultimi anni. Dico impolitici perché con l’abuso del termine “populismo” ancora una volta abbiamo accettato di rimanere superficiali con il terrore di non essere capiti e alla fine abbiamo fatto un piacere ai populisti, per questo strano meccanismo di banalizzazione scambiata per semplicità a causa dell’ignoranza.
Al netto degli insipienti, dei manipolatori e degli opportunisti discutere della declinazione dei poteri del Parlamento, dell’esecutivo e delle modalità di rappresentanza è il più sostanzioso nodo in cui potersi impegnare: non si tratta di un referendum, no, non solo, qui siamo di fronte all’enunciazione del proprio manifesto. Ed è un bene per il Paese costringersi a elaborare contenuti oltre agli slogan. Credo che da qui a ottobre ci sia l’occasione di un’attività ricostituente casa per casa e per questo anch’io ho deciso di metterci la faccia, di impegnarmi in prima persona.
Servono “comitati referendari”? Sì certo. Ma se per comitati referendari intendiamo sintesi di consapevolezza, informazioni, visioni politiche, impegno costante e ingegno attivo allora ognuno si faccia comitato referendario. Decidiamo che questo referendum sia l’apertura estiva della palestra della democrazia e partecipiamoci senza riserve. Ognuno secondo le proprie possibilità e la propria scelta, si prenda la responsabilità di svolgere un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società (è l’articolo 4 della Costituzione, appunto).
Ci sono decisioni e leggi che non consentono di galleggiare nelle vie intermedie, ci sono dei momenti in cui non ci è consentito restare a guardare: i cittadini inattivi sono inutili alla democrazia. E qui non si tratta nemmeno di impoverirsi con le baruffe tra correnti: il momento ci chiede di essere presenti perché il cambiamento non è intrinsecamente positivo per forza: il feticcio del cambiamento è l’ambiente in cui si sono consumati, negli ultimi anni, i più grossolani errori, le peggiori smussature dei diritti e la più feroce banalizzazione del dibattito.
È una battaglia profumata e bellissima, questo referendum, non lasciamocela scappare.