La ricreazione è finita. Ora possiamo parlare di immigrazione?
Dopo una settimana in cui tutta la scena politica e giornalistica italiana era divenuta esperta di immigrazione e diritto internazionale, si è passati ad altro. Questo non significa certamente che siano finiti gli sbarchi, ma quelli propagandistici sì, almeno per ora. Le acque del Mediterraneo, invece, calme non lo sono mai perché non cessano le motivazioni per cui le persone sono forzate a salire su imbarcazioni di fortuna o sul timone di una petroliera. Qualche settimana fa assistevamo a uno show continuo sulle ONG, Piantedosi e gli sbarchi. In TV non si parlava d’altro: emergenza sbarchi, la stessa emergenza che persiste dal 2015. È da sette anni che siamo in emergenza. Un’emergenza saltuaria che ritorna in momenti particolari: durante le elezioni, quando c’è da approvare la legge di bilancio, o per mostrare il pugno di ferro di chi si appresta a governare.
È il caso però che di immigrazioni e della loro amministrazione si parli a sangue freddo e con una visione chiara. Bisognerebbe anche spendere meno tempo a chiedersi se le persone debbano o meno scendere dalle navi ONG. Ci sono svariate pagine di trattati internazionali e normative europee che danno una chiara risposta: sì, devono scendere. Il tempo perso nel braccio di ferro ha una sola vera conseguenza ed è per chi rimane a bordo, per la sua salute fisica e mentale e forse per dare uno schiaffo al suo sogno di Europa, che poi è anche il nostro: l’Europa dei diritti.
Bisognerebbe invece spendere un po’ più di tempo per chiedersi come si sia arrivati a mettere in discussione il diritto del non respingimento e quello del primo posto sicuro (Place of Safety). Dice Piantedosi che le navi delle ONG sono il primo Place of Safety. Piantedosi chiaramente non è mai salito su una nave ONG con a bordo persone soccorse in mare, altrimenti certe follie non le direbbe, forse.
Le migrazioni prima e le ONG poi sono state oggetto di un intenso processo di securitarizzazione. Ciò vuol dire che la politica migratoria e il dovere di salvare vite in mare sono state spinte nella sfera delle questioni relative alla sicurezza. Si tratta di un costrutto voluto da scelte politiche ben precise, pianificate attraverso una retorica di minaccia e pericolo che ha permesso di canalizzare paure e ansie negli elettori in campagna elettorale, e legittimato poi provvedimenti che eludono i diritti durante il governo. Sia il processo di securitarizzazione che il braccio di ferro con le navi ONG sono stati accompagnati da un’ambigua retorica umanitaria. Piantedosi riferiva in aula che — a causa delle ONG — i migranti mettevano la propria vita in pericolo nel Mediterraneo. Il migrante sembra divenire una sorta di creatura mitologica che è al tempo stesso povera vittima ingenua — la cui vita va protetta nella traversata del mare -, e criminale brutto sporco e cattivo una volta posato il piede sul suolo nazionale. D’altra parte, quanta credibilità avrebbero le parole di misericordia per la vita dei migranti da parte di chi ha stilato i decreti sicurezza con Salvini? Solo su un punto potremmo essere d’accordo con Piantedosi: non spetterebbe alle ONG il compito di salvare vite in mare. È questo un compito dello Stato e dell’Unione europea, che dovrebbero avviare apposite missioni di salvataggio. È uno dei requisiti minimi per potersi chiamare stato di diritto.