Non abbiamo nulla (tantomeno di personale) contro il presidente del Partito Democratico, ma siccome continua a “picchiare” sullo stesso tasto — quello del rimprovero ai dissidenti, con tanto di velate minacce di espulsioni -, forse è il caso di fare un riepilogo delle puntate precedenti, sul voto di fiducia, sulla democrazia nel Partito, sul lavoro e sui rapporti con il sindacato.
E’ il 15 novembre 2011, siamo alla vigilia della nascita del Governo Monti. In un’intervista al Fatto Quotidiano Orfini dichiara:
Nominare Ichino ministro sarebbe, per il PD, una vera e propria provocazione che avrebbe un solo, unico, fine: far saltare il Governo Monti.
Mi scusi Orfini, ma Ichino non è un senatore eletto con il PD?
Sì, ma la sua è una posizione largamente minoritaria. […] Il tema oggi non è la riforma del lavoro, ma la messa in sicurezza del Paese.
Come?
Di certo non con la ricetta Ichino, che per dare qualche tutela in più ad alcuni, le toglie ad altri. Il punto è allargare le tutele per tutti.
Febbraio 2012, in un’intervista al Fatto Quotidiano (5 febbraio) si dichiara preoccupato da quello che farà Monti: «Spero che ritorni quello di una volta, quando ha detto che l’articolo 18 non si tocca». «Per il PD non si tocca?» — chiede il giornalista. «No, la nostra posizione è chiara. La proposta di Ichino è stata archiviata per sempre. La linea, venuta fuori dal forum di lavoro di Fassina, è quella di contratti di apprendistato rafforzato a diritti crescenti. Ma al di là degli aspetti tecnici, c’è soprattutto un punto politico. Non è pensabile che una riforma del lavoro si faccia senza il consenso delle parti sociali. Altrimenti il governo rischia di trovarsi contro le piazze piene».
Nel febbraio 2012, nel mezzo del Governo Monti, difendeva la scelta di manifestare insieme alla FIOM, nel momento in cui le parole di Marchionne riguardo agli investimenti in Italia iniziavano a svelarsi per quel che erano. Lo faceva con queste parole:
Si finirà a fianco di esponenti della sinistra radicale, gli stessi che hanno fatto cadere il governo Prodi, si dice. Sarà senz’altro così, ma che c’entra? Appoggiamo un governo assieme a Sacconi e Gasparri, per le ragioni che tutti conosciamo e condividiamo, e adesso, proprio chi non esita a sostenere la necessità di prolungare il più possibile un simile esperimento, persino oltre il voto, trova imbarazzante la compagnia di qualche metalmeccanico Fiom o di qualche esponente della sinistra radicale in una semplice manifestazione sindacale?
Non credo che un dirigente del Pd dovrebbe provare imbarazzo a stare vicino a metalmeccanici che difendono il proprio lavoro e i propri diritti solo perché qualche estremista passa di li.
Intervistato durante la manifestazione commenta la decisione di Guglielmo Epifani di non essere presente sottolineando:
«E’ presente una delegazione del PD: ci sono io, Cofferati, Civati, Raciti, diversi parlamentari. Credo sia importante che il PD si anche qui: in un momento così difficile per i lavoratori bisogna tenere un filo di rapporto con questo mondo. […] Non credo che i partiti debbano mettere il cappello su queste manifestazioni sindacali, ma ascoltare le proposte e farne tesoro nella loro elaborazione politica».
24 febbraio 2012. Intervista a Il Manifesto:
Alcuni parlamentari già annunciano il sì alla riforma del mercato del lavoro.
La riforma non c’è ma c’è già chi dice sì. Curiosa idea di mandato parlamentare a scatola chiusa.
C’è chi dice: così si torna all’Unione, quando i ministri facevano cortei contro il proprio governo.
Questa è una sciocchezza. Nessuno lavora contro il governo. Io vado al corteo FIOM principalmente perché in questo momento chi ha una tessera FIOM viene discriminato. Si chiama rappresaglia, è una vergogna. Ed è sconcertante il silenzio su questo proprio da parte di chi ci dice di non andare al corteo. Anziché della partecipazione a un corteo, discutiamo se davvero un pezzo del PD ritiene accettabili queste rappresaglie. E poi c’è dello strabismo in questa polemica.
Chi sono gli strabici?
Quelli che giudicano normale sostenere il governo accanto a Cicchitto e Gasparri, e poi hanno paura di farsi vedere in piazza con i lavoratori.
22 Aprile 2013. Il tema sono le larghe intese PD — PDL e il voto di fiducia. Orfini è lapidario: «il voto di fiducia e’ un voto di coscienza, non c’e’ disciplina di partito… se sono contrario voto contro».
Dichiarazioni che suscitano la risposta di Dario Franceschini, Anna Finocchiaro e Rosy Bindi: «chi non vota la fiducia è fuori».
Risale a quei giorni anche questa dichiarazione: «io un governo presieduto da Giuliano Amato non lo posso votare, né tanto meno posso pensare di votare un governo con vice premier Angelino Alfano»
Maggio 2013. All’orizzonte il Congresso del Partito Democratico. Rispondendo a una domanda sulla possibilità di appoggiare Chiamparino, Orfini parla del mondo del lavoro:
«Chiamparino sbaglia, la sua è una lettura errata della crisi, una ricetta superata: non serve più flessibilità, ma meno precarietà».
Nel gennaio 2014 si parla di democrazia all’interno del PD. In un’intervista a Avvenire, Orfini dichiara:
Renzi ha sbagliato con Cuperlo?
Credo non abbia ancora chiato che fare il segretario del PD significa anche farsi carico di tenere insieme una comunità, ascoltando che non la pensa come lui. Penso che con Cuperlo e Fassina ci siano state cadute di stile, a prescindere dal merito delle questioni.
Nell’ottobre 2014 cambia tutto. Nel mezzo della discussione e delle votazioni sul Jobs Act e in vista della mobilitazione della CGIL del 25 ottobre, dichiara l’opposto di quanto sostenuto nei mesi precedenti:
Il 25 ottobre la Cgil scende in piazza e molti esponenti del Pd vi andranno. Riceveranno anatemi? «Sarò in Cina, ma non ci sarei andato. Chi vuole, ci vada, scelta legittima. Io farei fatica a votare, dal lunedì al venerdì, provvedimenti del governo e, al sabato, andare in piazza per manifestare contro il governo. Nel passato abbiamo visto casi non felicissimi di ministri che manifestavano contro il governo (Prodi, ndr) di cui facevano parte. Faccio fatica a comprendere il senso di simili scelte». Lei, però, andò in piazza con la Fiom ai tempi del governo Monti… «Sì, ma allora, la Fiom manifestava contro la Fiat, non contro il governo».
E sulla questione della disciplina di partito invoca un regolamento scritto:
«Serve un codice di comportamento, scritto, che orienti i gruppi parlamentari. Su voti politici come una fiducia bisogna rispettare le decisioni del partito […] Non si può usare il proprio partito per battaglie personali e a proprio piacimento. Il voto di fiducia è un voto politico per eccellenza, non si potrà più trasgredirvi». Il parlamentare, però, è eletto senza vincolo di mandato. Non potrà votare secondo coscienza? «Bisogna stabilire regole di comportamento valide per tutti. Quando alcuni dei nostri senatori votarono contro la riforma del Senato e del Titolo V, nessuno pensò a prendere provvedimenti. In quel caso, come nei casi che riguardano voti di coscienza, il diritto al dissenso va sempre garantito. Ma faccio io una domanda a Civati. Che cos’è un partito? Quali sono i limiti accettabili del dissenso? Non votare una o più fiducie al governo di cui il tuo segretario è premier è una forzatura evidente».