Oro rosso: fragole, pomodori, molestie e sfruttamento nel Mediterraneo

Que­sta vio­len­za mor­ti­fe­ra e mor­ta­le è espres­sio­ne diret­ta, pro­dot­to socia­le e orga­ni­co del rap­por­to di clas­se tra uomi­ni e don­ne.” (Pao­la Tablet)

Palos de la Fron­te­ra è un pic­co­lo cen­tro di cir­ca otto­mi­la abi­tan­ti del­la regio­ne spa­gno­la dell’Andalusia, situa­to vici­no all’incrocio dei fiu­mi Tin­to e Odiel. Ad appe­na 15 chi­lo­me­tri da Huel­va, capo­luo­go del­la regio­ne, ospi­ta due gran­di sta­tue, che ricor­da­no a impe­ri­tu­ra memo­ria l’identità e la sto­ria del­la cit­tà: sul­la riva dei due fiu­mi si erge per tren­ta­set­te metri ver­so l’alto la figu­ra inte­ra di Cri­sto­fo­ro Colom­bo, che da lì par­tì qual­che seco­lo fa con le tre caravelle.

Al cen­tro del­la roton­da di Palos de la Fron­te­ra, inve­ce, risal­ta una enor­me fra­go­la di mat­ton­ci­ni ros­si e luccicanti.

La “fra­go­la totem”, ci spie­ga Ste­fa­nia Pran­di nel suo repor­ta­ge, ricor­da ai visi­ta­to­ri che la regio­ne di Huel­va vive gra­zie alla col­ti­va­zio­ne del­le fra­go­le e dei frut­ti ros­si, cui sono dedi­ca­ti cir­ca die­ci­mi­la etta­ri impie­ga­ti nel­la pro­du­zio­ne di cir­ca tre­cen­to­mi­la ton­nel­la­te di frut­ta che, sot­to varia for­ma, ven­go­no espor­ta­te ogni anno in Ita­lia, Ger­ma­nia, Inghil­ter­ra e Svizzera.

Dell’Oro Ros­so si vive, ma non si par­la. Per­ché alle spal­le di que­sta mas­sic­cia pro­du­zio­ne che arric­chi­sce l’economia del ter­ri­to­rio, si nascon­de, come un mor­bo laten­te, il lavo­ro di miglia­ia di don­ne impie­ga­te nel­la rac­col­ta e nel con­fe­zio­na­men­to del­la frut­ta. Un lavo­ro duro e sot­to­pa­ga­to, pri­vo dei fon­da­men­ta­li dirit­ti e del­le tute­le base. Un lavo­ro affi­da­to alle mani del­le don­ne per­ché paga­te meno degli uomi­ni.

L’inchiesta di Ste­fa­nia Pran­di, pub­bli­ca­ta ad apri­le quest’anno dal­la casa edi­tri­ce Set­te­no­ve (e arri­va­to alla pri­ma ristam­pa già in ago­sto), par­te dal­la Spa­gna e toc­ca altri due pae­si affac­cia­ti al Medi­ter­ra­neo, l’Italia e il Maroc­co, dove die­tro la pro­du­zio­ne di fra­go­le e pomo­do­ri­ni si nascon­do­no sto­rie di sopru­si, vio­len­ze fisi­che, ses­sua­li, ver­ba­li e sfrut­ta­men­to eco­no­mi­co di miglia­ia di don­ne.

Le brac­cian­ti arri­va­no da Maroc­co, Roma­nia, Polo­nia, Bul­ga­ria e in par­te sono anche spa­gno­le e ita­lia­ne. Mol­te sono lavo­ra­tri­ci sta­gio­na­li da nume­ro­si anni, con il loro sti­pen­dio man­ten­go­no mari­ti e figli e del lavo­ro nei cam­pi non pos­so­no fare a meno.

Se cre­de­te che il gior­na­li­smo d’inchiesta non esi­sta più, allo­ra dove­te leg­ge­re que­sto libro: un’inchiesta peri­co­lo­sa e mal­vi­sta, frut­to di due anni di inter­vi­ste sul cam­po e di viag­gi, che ha il meri­to di tira­re a gal­la vite ed espe­rien­ze che altri­men­ti sareb­be­ro rima­ste nel silenzio.

Un’indagine che denun­cia una con­di­zio­ne di sot­to­mis­sio­ne e vio­len­za che dall’alto del nostro minu­sco­lo agio, ci è dif­fi­ci­le anche solo immaginare.

Ste­fa­nia Pran­di ci con­du­ce per mano attra­ver­so barac­che mal­sa­ne, ser­re inqui­na­te dai diser­ban­ti chi­mi­ci agroa­li­men­ta­ri, stan­zo­ni sen­za fine­stre né arma­di dove dor­mo­no le don­ne sui let­ti a castel­lo. Qui, oltre al duro lavo­ro nei cam­pi, accuc­cia­te nel­la rac­col­ta o in pie­di a brac­cia alza­te per oltre otto ore, le don­ne ven­go­no tenu­te sot­to scac­co dai ricat­ti ses­sua­li dei padro­ni del­le serre.

Risuo­na­no, tra le pagi­ne del libro, le voci dure e spez­za­te di Kali­ma, Rache­le, Ele­na e mol­te altre.

Gra­zie alla pen­na del­la Pran­di pos­sia­mo ascol­ta­re il rac­con­to di don­ne come Rachi­da che da undi­ci anni par­te dal Maroc­co diret­ta in Spa­gna per la rac­col­ta del­la frut­ta: “È una vita dura, per i capi non con­tia­mo nul­la, non so nem­me­no se ci con­si­de­ra­no uma­ne. Abbia­mo pro­ble­mi di salu­te: pren­dia­mo quat­tro antin­fiam­ma­to­ri al gior­no per­ché altri­men­ti non sop­por­tia­mo il mal di testa. Io a vol­te poi non rie­sco a respi­ra­re per quan­to mi bru­cia la gola. C’è chi ha gli occhi che lacri­ma­no in con­ti­nua­zio­ne. Il pro­ble­ma è che a cau­sa dei trop­pi far­ma­ci, lo sto­ma­co si irri­ta, ci vie­ne l’acidità e ci ser­vo­no altre pasti­glie per far­ce­la pas­sa­re

E anco­ra Petra, che rac­co­glie pomo­do­ri­ni nel­le azien­de agri­co­le di Vit­to­ria, faz­zo­let­to di ter­ra sici­lia­na che negli ulti­mi decen­ni si è arric­chi­to gra­zie anche alle infil­tra­zio­ni mafio­se nel mer­ca­to orto­frut­ti­co­lo. Petra ha tren­ta­set­te anni e una figlia ado­le­scen­te che vive in Roma­nia: “Ho lavo­ra­to in Ita­lia per die­ci anni. Sono sta­ta mole­sta­ta nel pri­mo posto di lavo­ro”. Petra ha avu­to la for­za di ribel­lar­si, ha cam­bia­to lavo­ro, ma è sta­ta ugual­men­te licen­zia­ta: “Ades­so ho un bel bim­bo, ma sono disoc­cu­pa­ta. Non voglio esse­re tri­ste ma per noi non c’è giu­sti­zia”.

Gli abu­si ses­sua­li con cui le don­ne ven­go­no tenu­te in scac­co, i cui cor­pi sono con­si­de­ra­ti pro­prie­tà dei padro­ni e dei respon­sa­bi­li del­le ser­re, emer­go­no dai dati sugli abor­ti: nel­la regio­ne di Palos de la Fron­te­ra ci sono sta­ti cen­tot­tan­ta­cin­que abor­ti nel 2016. Il nume­ro di inter­ru­zio­ni di gra­vi­dan­za aumen­ta in pros­si­mi­tà del­la sta­gio­ne del­la rac­col­ta; il 90% del­le richie­ste pro­vie­ne da don­ne maroc­chi­ne, bul­ga­re e rume­ne.

 

Il tuo lavo­ro ripor­ta a gal­la una con­di­zio­ne ende­mi­ca di sfrut­ta­men­to e di vio­len­za del tut­to som­mer­sa, che rima­ne immu­ta­ta gra­zie ad un con­te­sto di omer­tà e di silenzio.

Come nasce la tua inchie­sta? Qua­li le dif­fi­col­tà nel con­dur­la? E qua­le il meto­do e la dire­zio­ne che ti sei data?

 

Dopo un cor­so di master in Sve­zia, quan­do ero già gior­na­li­sta pro­fes­sio­ni­sta, ho comin­cia­to a occu­par­mi di que­stio­ni di gene­re. In par­ti­co­la­re, a un cer­to pun­to a inte­res­sar­mi è sta­ta la que­stio­ne del­la vio­len­za sul lavo­ro, ter­mi­ne con il qua­le inten­do le mole­stie ses­sua­li ver­ba­li e fisi­che, i ricat­ti, gli stu­pri sul lavo­ro, un tema che in Ita­lia è diven­ta­to di domi­nio pub­bli­co sol­tan­to dopo il movi­men­to del Metoo, arri­va­to dagli Sta­ti Uni­ti dopo lo scan­da­lo del pro­dut­to­re Wein­stein accu­sa­to di abu­si da oltre 40 don­ne del mon­do del cine­ma. Ho deci­so di esplo­ra­re da un pun­to di vista gior­na­li­sti­co e foto­gra­fi­co que­sto insie­me di abu­si a ini­zio del 2016, par­ten­do da una noti­zia che ave­va fat­to scal­po­re, rac­col­ta dal bra­vo col­le­ga Anto­nel­lo Man­ga­no, ma che poi era cadu­ta nel vuo­to e cioè che a Vit­to­ria, in Sici­lia, c’erano oltre 5mila don­ne rome­ne che lavo­ra­va­no alla rac­col­ta dei pomo­do­ri­ni, una par­te del­le qua­li subi­va vio­len­za sul lavo­ro. Dal­le pri­me ricer­che, sem­bra­va trat­tar­si di un vero e pro­prio feno­me­no. Così ho deci­so di anda­re sul posto, ini­zial­men­te per un lavo­ro foto­gra­fi­co, che anco­ra non era sta­to fat­to da nes­su­no, anche se sono sta­ta sco­rag­gia­ta in vario modo, anche da alcu­ne col­le­ghe e da asso­cia­zio­ni. Una vol­ta por­ta­to a casa il mate­ria­le, l’ho pub­bli­ca­to all’estero per­ché in Ita­lia dal­le reda­zio­ni dei prin­ci­pa­li quo­ti­dia­ni non han­no nem­me­no rispo­sto alle email e ho deci­so di veri­fi­ca­re se lo stes­so feno­me­no esi­stes­se in altre zone del Medi­ter­ra­neo. Ho fat­to ricer­che, vin­to dei grant, ho col­la­bo­ra­to con una gior­na­li­sta tede­sca, Pasca­le Muel­ler, con il sito di gior­na­li­smo inve­sti­ga­ti­vo Cor­rec­tiv e Buz­z­Feed e alla fine l’inchiesta è diven­ta­ta inter­na­zio­na­le ed è dura­ta nel com­ples­so oltre due anni.

Il repor­ta­ge in tut­to, tra docu­men­ta­zio­ne, ricer­che e inter­vi­ste sul cam­po è dura­to oltre due anni con più di cen­to­tren­ta inter­vi­ste tra sin­da­ca­ti, asso­cia­zio­ni, ricer­ca­tri­ci, lavo­ra­tri­ci. Essen­do un lavo­ro da free­lan­cer, la ricer­ca dei fon­di è sta­ta labo­rio­sa per­ché per ogni zona che ho visi­ta­to ave­vo biso­gno di un bud­get mini­mo per copri­re le spe­se degli spo­sta­men­ti, dell’alloggio, di chi mi ha mes­so in con­tat­to con le lavo­ra­tri­ci e ha tra­dot­to le lin­gue che non cono­sce­vo, come l’arabo. È sta­to dif­fi­ci­le con­dur­re l’inchiesta a cau­sa del­la man­can­za di con­sa­pe­vo­lez­za e dell’omertà dif­fu­sa. Spes­so mi è sta­to con­si­glia­to, o meglio inti­ma­to, di lascia­re per­de­re. La vio­len­za sul lavo­ro, che inclu­de mole­stie ses­sua­li, insul­ti, aggres­sio­ni fisi­che, ricat­ti, fino al vero e pro­prio stu­pro, nei pae­si del Medi­ter­ra­neo sui qua­li mi sono con­cen­tra­ta, per­ché sono tra i prin­ci­pa­li espor­ta­to­ri di ver­du­ra e frut­ta in Euro­pa, è anco­ra tabù. È dif­fi­ci­le da rico­no­sce­re e nomi­na­re per asso­cia­zio­ni e sin­da­ca­ti, non vie­ne con­si­de­ra­ta a dove­re da chi ha il com­pi­to di eser­ci­ta­re la leg­ge e quin­di per le don­ne è dif­fi­ci­lis­si­mo spe­ra­re di ave­re giustizia.

Ci sono sta­ti anche dei momen­ti di ten­sio­ne con minac­ce varie, anche di mor­te, in Spa­gna, nel­la zona di Huel­va, un inse­gui­men­to in Maroc­co per cin­quan­ta chi­lo­me­tri dai guar­dia­ni di un’azienda e un altro intop­po che ha rischia­to di fare sal­ta­re tut­to il lavoro.
In gene­ra­le, comun­que, ho cer­ca­to di cor­re­re un rischio cal­co­la­to e ho sem­pre cer­ca­to di anda­re accom­pa­gna­ta da qual­cu­no che cono­sces­se il ter­ri­to­rio, anche per­ché avrei mes­so a repen­ta­glio le stes­se brac­cian­ti se qual­co­sa fos­se anda­to stor­to. Le lavo­ra­tri­ci vivo­no sot­to scac­co peren­ne: già esse­re viste in com­pa­gnia di una gior­na­li­sta per loro signi­fi­ca cor­re­re il rischio di per­de­re il lavo­ro o peg­gio, di esse­re picchiate.

 

Nono­stan­te ven­ga­no ana­liz­za­ti con­te­sti diver­si geo­gra­fi­ca­men­te (Spa­gna, Ita­lia, Maroc­co), in qua­si tut­ti i casi la scel­ta di uti­liz­za­re mano­do­pe­ra fem­mi­ni­le per i lavo­ri agri­co­li vie­ne moti­va­ta dal­le stes­se paro­le: le don­ne sono con­si­de­ra­te “più deli­ca­te” nel­la rac­col­ta del­la frut­ta, “pre­di­spo­ste gene­ti­ca­men­te”, “pazien­ti”, “più resi­sten­ti degli uomi­ni”; a que­sto si aggiun­ge il fat­to che la mano­do­pe­ra fem­mi­ni­le è sem­pre meno paga­ta e più ricat­ta­bi­le. Cosa ci rac­con­ta que­sto imma­gi­na­rio dei pae­si in cui avvie­ne lo sfrut­ta­men­to e del­le dina­mi­che che inter­cor­ro­no in essi tra uomi­ni e don­ne? Pos­sia­mo dire che se le vio­len­ze da te rac­col­te sono spe­ci­fi­che di alcu­ni ter­ri­to­ri e con­te­sti, la men­ta­li­tà che le ali­men­ta è dif­fu­sa e generalizzata?

 

Secon­do sin­da­ca­li­sti, asso­cia­zio­ni e acca­de­mi­ci a rac­co­glie­re la frut­ta ci sono soprat­tut­to le don­ne per­ché costa­no meno degli uomi­ni, pur svol­gen­do le stes­se man­sio­ni, e non si ribel­la­no per­ché han­no sul­le spal­le il cari­co fami­lia­re; spes­so sono madri sin­gle, divor­zia­te oppu­re han­no mari­ti disoc­cu­pa­ti. Inol­tre, nel­le cul­tu­re alle qua­li mi rife­ri­sco, medi­ter­ra­nee e ses­si­ste, le don­ne ven­go­no cre­sciu­te fin da pic­co­le con l’idea che sia neces­sa­rio ubbi­di­re e sacri­fi­car­si in tut­to e per tut­to per il bene del­la fami­glia. Quan­do si chie­de agli abi­tan­ti del­le zone dove ho rea­liz­za­to l’inchiesta, per­ché ven­go­no scel­te soprat­tut­to le don­ne, in gene­re ci si sen­te rispon­de­re che sono pre­di­spo­ste “per natu­ra” alla rac­col­ta, per­ché sareb­be­ro più deli­ca­te e pazien­ti. Si trat­ta ovvia­men­te di uno ste­reo­ti­po cul­tu­ra­le. Anche gli uomi­ni han­no dita deli­ca­te, pen­sia­mo ai chi­rur­ghi, ad esem­pio, oppu­re agli artisti.

 

Le vio­len­ze di cui sono vit­ti­me le brac­cian­ti ven­go­no taciu­te per la pau­ra di altre vio­len­ze, per il ricat­to eco­no­mi­co che le sostie­ne e anche per la ver­go­gna che sca­tu­ri­sce dal­la denun­cia di un abu­so ses­sua­le. Mol­te don­ne ti han­no rac­con­ta­to di aver taciu­to gli abu­si anche con i mari­ti per pau­ra di non esse­re cre­du­te. Rosa­ria Capoz­zi, respon­sa­bi­le del pro­get­to Aqui­lo­ne di Fog­gia, da te inter­pel­la­ta dice: “È impos­si­bi­le che una don­na che si tro­vi di fron­te ad un uomo deci­so ad abu­sa­re di lei rie­sca vera­men­te a sfug­gir­gli. Biso­gna ave­re fat­to tan­ti cor­si di auto­di­fe­sa e ave­re una gran­de auto­sti­ma per­ché si pos­sa rea­gi­re ad una vio­len­za che non ci si aspet­ta. Non si sa mai qual è il limi­te oltre il qua­le sia oppor­tu­no oppor­si”. Que­sto limi­te di cui par­la, que­sto con­fi­ne che sem­bra esse­re mobi­le e discre­zio­na­le, mi pare emble­ma­ti­co di due con­di­zio­ni: la pri­ma è che la vio­len­za di stu­pro è l’unico abu­so nel qua­le è la vit­ti­ma ad esse­re mes­sa sot­to pro­ces­so. La secon­da è che anco­ra oggi la rela­zio­ne uomo-don­na ruo­ta attor­no alla ses­sua­li­tà, il pote­re maschi­le vie­ne eser­ci­ta­to attra­ver­so il ses­so e l’uomo vie­ne legit­ti­ma­to a con­si­de­ra­re il cor­po del­le don­ne una pro­prie­tà per­so­na­le di cui dispor­re a pia­ci­men­to. Che cosa ne pensi?

 

I dato­ri di lavo­ro, i capo­ra­li, i super­vi­so­ri che com­met­to­no gli abu­si san­no di esse­re impu­ni­ti. Con­si­de­ra­no le lavo­ra­tri­ci loro pro­prie­tà. Per le don­ne è dif­fi­ci­le dire di no per­ché per far­lo han­no biso­gno di ren­der­si con­to subi­to di quel­lo che sta suc­ce­den­do. Pur­trop­po la vio­len­za può arri­va­re alla fine di un’esca­la­tion di fat­ti appa­ren­te­men­te tol­le­ra­bi­li. Inol­tre, biso­gna saper­si difen­de­re e ave­re un’alternativa per salvarsi.

Que­sta situa­zio­ne è dif­fu­sa ed è il risul­ta­to del­la cul­tu­ra ses­si­sta e del siste­ma pena­liz­zan­te nei con­fron­ti del­le don­ne. Tra le cau­se di que­sta situa­zio­ne ci sono fat­to­ri socio­cul­tu­ra­li e un mer­ca­to del lavo­ro dere­go­la­riz­za­to, dove non ci sono dirit­ti per i più debo­li, ma vige la leg­ge del più for­te. In Ita­lia decen­ni di con­qui­ste sul lavo­ro sono sta­te spaz­za­te via in pochi anni e a pagar­ne le con­se­guen­ze sono le donne.
Non cre­do che la solu­zio­ne sia un atteg­gia­men­to secu­ri­ta­rio o giu­sti­zia­li­sta, ma è un dato di fat­to che quan­do una don­na subi­sce vio­len­za e denun­cia non vie­ne cre­du­ta per­ché c’è un atteg­gia­men­to di scet­ti­ci­smo gene­ra­le che par­te dal­le for­ze dell’ordine e con­ti­nua nei tri­bu­na­li, pas­san­do dagli avvo­ca­ti stes­si, e per­ché è rite­nu­ta col­pe­vo­le di non esse­re in gra­do di pro­dur­re pro­ve abba­stan­za solide.

 

Quan­do si par­la di migra­zio­ni o di sfrut­ta­men­to del lavo­ro, se le vit­ti­me sono don­ne, la vio­len­za sem­bra esse­re al qua­dra­to. Vi è sem­pre un abu­so mag­gio­re, spe­ci­fi­co, che ha al cen­tro il cor­po fem­mi­ni­le e che le col­pi­sce non solo in qua­li­tà di migran­ti o di lavo­ra­tri­ci, ma di don­ne. Quan­to è impor­tan­te la len­te di gene­re in inchie­ste come la tua?

 

È fon­da­men­ta­le per­ché una pre­pa­ra­zio­ne con una pro­spet­ti­va di gene­re per­met­te di ana­liz­za­re la real­tà da più ango­la­zio­ni. Il mio approc­cio è sta­to di gene­re e inter­se­zio­na­le, con­si­de­ra cioè le diver­se com­po­nen­ti del­la subor­di­na­zio­ne lavo­ra­ti­va e del­la vio­len­za sessuo-economica.

 

Le don­ne del­la Casa del­le mosche del­la regio­ne spa­gno­la di Huel­va che hai incon­tra­to, sol­le­va­no un pun­to impor­tan­te, che sol­le­ci­ta tut­te e tut­ti noi: “Vor­rem­mo dire a chi com­pra, di met­ter­si anche solo per un atti­mo nei nostri pan­ni”. Quan­to influi­sce la con­sa­pe­vo­lez­za del­le scel­te dei sin­go­li (in qua­li­tà di con­su­ma­to­ri, ma non solo) nel­le vicen­de di sfrut­ta­men­to come quel­la che tu racconti?

 

Quan­do par­lia­mo di vio­len­za sul lavo­ro non par­lia­mo di cibo bio­lo­gi­co. Per capi­re se un pro­dot­to o meno è frut­to di vio­len­za, biso­gne­reb­be che ci fos­se­ro inchie­ste giu­di­zia­rie ad hoc, col­lo­qui con le lavo­ra­tri­ci rea­liz­za­ti in un cli­ma di fidu­cia e garan­zia, un cam­bio del­la cul­tu­ra di fon­do. Anche se i con­su­ma­to­ri sono con­sa­pe­vo­li, se non si met­te in moto un mec­ca­ni­smo di cam­bio di siste­ma, non cre­do che pos­sa cam­bia­re molto.

 

L’indagine che hai con­dot­to coin­vol­ge que­stio­ni e pia­ni diver­si: le migra­zio­ni, lo sfrut­ta­men­to del lavo­ro, l’inquinamento ambien­ta­le e il depau­pe­ra­men­to del ter­ri­to­rio lega­to alla gran­de pro­du­zio­ne indu­stria­le, le que­stio­ni di gene­re. Non esse­re in gra­do di intrec­cia­re que­sti pia­ni, ini­bi­sce spes­so la nostra com­pren­sio­ne di una socie­tà com­ples­sa e stra­ti­fi­ca­ta. E impe­di­sce, mi pare, un’azione con­cre­ta in gra­do di denun­cia­re e sman­tel­la­re que­ste sac­che di sopru­si. Dal­la tua inchie­sta emer­ge anche un pre­oc­cu­pan­te silen­zio di que­gli atto­ri, asso­cia­zio­ni e sin­da­ca­ti ad esem­pio, lega­ti ai ter­ri­to­ri, che avreb­be­ro il com­pi­to di accom­pa­gna­re le vit­ti­me nei dif­fi­ci­li per­cor­si di denun­cia. Qua­li i respon­sa­bi­li e le respon­sa­bi­li­tà del­la socie­tà civi­le per il cri­stal­liz­zar­si di una con­di­zio­ne di sfrut­ta­men­to e vio­len­za che, come rac­con­ti per il caso ita­lia­no, è strut­tu­ra­le e ha radi­ci storiche?

 

In Puglia c’è una par­te del­la socie­tà civi­le, anche se pic­co­la, che vor­reb­be un cam­bia­men­to e che rea­gi­sce, e anche in Sici­lia ci sono per­so­ne come Don Benia­mi­no Sac­co che da anni denun­cia gli abu­si, nono­stan­te le cri­ti­che. Inol­tre, è sta­ta appro­va­ta la leg­ge anti-capo­ra­la­to che dal pun­to di vista for­ma­le for­ni­sce uno stru­men­to impor­tan­te per la puni­bi­li­tà di capo­ra­li e pro­prie­ta­ri che com­pio­no i cri­mi­ni. Cer­ta­men­te tut­to que­sto non è anco­ra abba­stan­za, come ho potu­to con­sta­ta­re di per­so­na. A fre­na­re le spin­te di cam­bia­men­to, ci sono fat­to­ri socio­cul­tu­ra­li e un mer­ca­to del lavo­ro dere­go­la­riz­za­to, dove non ci sono dirit­ti per i più debo­li, ma vige la leg­ge del più for­te. In Ita­lia decen­ni di con­qui­ste sul lavo­ro sono sta­te spaz­za­te via in pochi anni. Nel­lo spe­ci­fi­co, c’è la pau­ra del­le don­ne di denun­cia­re, la respon­sa­bi­li­tà del­le isti­tu­zio­ni che non fan­no con­trol­li, non favo­ri­sco­no le denun­ce e anzi, spes­so non cre­do­no alle lavo­ra­tri­ci, i pro­ces­si fati­co­si, lun­ghi, e costo­si, la pre­ca­rie­tà e la pover­tà. Se si ha biso­gno di lavo­ra­re per­ché que­sta è l’unica fon­te di red­di­to, non ci si può per­met­te­re di per­de­re il posto con il rischio di resta­re disoc­cu­pa­te chis­sà per quan­to tem­po, maga­ri anni per­ché si vie­ne bol­la­te come “ribel­li”.

 

In un’intervista pre­ce­den­te, sol­le­ci­ta­ta sul tema del fem­mi­ni­smo ita­lia­no, hai det­to: “Pur­trop­po par­te dei fem­mi­ni­smi ita­lia­ni ha deci­so che ci sono bat­ta­glie più impor­tan­ti di quel­la del lavo­ro e que­sta secon­do me è una col­pa”. Pen­so anche al recen­te movi­men­to #metoo e ti chie­do qual è la dire­zio­ne che il fem­mi­ni­smo dovreb­be imboc­ca­re rispet­to ai temi che sollevi?

 

Rispon­do con una doman­da: come è pos­si­bi­le per chi si dice fem­mi­ni­sta pre­scin­de­re dall’idea che l’indipendenza di una don­na sia lega­ta alla sua pos­si­bi­li­tà di pro­cu­rar­si un reddito?
Negli Sta­ti Uni­ti gra­zie al movi­men­to #metoo si sono costi­tui­te asso­cia­zio­ni che, con un fon­do per le vit­ti­me, difen­do­no le don­ne nel­le cau­se di vio­len­za sul lavo­ro. Le lavo­ra­tri­ci fan­no richie­ste pre­ci­se alle azien­de, fan­no pro­te­ste, fan­no nomi, inten­ta­no cau­se. Que­sta sareb­be una dire­zio­ne ope­ra­ti­va da pren­de­re, al di là di mol­te paro­le e dei dibat­ti­ti ste­ri­li su quan­to sul­la cac­cia alle stre­ghe e simi­li. Se guar­dia­mo i dati del­la vio­len­za sul lavo­ro in Ita­lia sono spa­ven­to­si, e si trat­ta sol­tan­to di stime.

 

Spe­cie sul tema del­le migra­zio­ni, la nar­ra­zio­ne che vie­ne pro­dot­ta sull’argomento è qua­si del tut­to uni­vo­ca. La voce di chi rac­con­ta è sem­pre la nostra, di bian­chi e occi­den­ta­li, e la sto­ria che ne esce è sem­pre appiat­ti­ta, gene­ra­liz­za­ta; una sto­ria dove le espe­rien­ze dei/delle singoli/e sfu­ma­no davan­ti ai nume­ri e alle macro vicen­de. In que­sta nar­ra­zio­ne si per­do­no gli indi­vi­dui, si smar­ri­sce la diver­si­tà, la spe­ci­fi­ci­tà del­la voce dei pro­ta­go­ni­sti. Ripor­to una par­te di un inter­ven­to di Chi­ma­man­da Ngo­zi Adi­chie, autri­ce nige­ria­na, sui peri­co­li del­la sto­ria unica:

 

È impos­si­bi­le par­la­re del­la sto­ria sin­go­la sen­za par­la­re del pote­re. C’è una paro­la, una paro­la Igbo, alla qua­le pen­so ogni vol­ta che riflet­to sul­le strut­tu­re di pote­re del mon­do: la paro­la è nka­li. È un sostan­ti­vo che si può tra­dur­re mol­to libe­ra­men­te come “esse­re più gran­de di altro”. Come i nostri mon­di poli­ti­ci ed eco­no­mi­ci, anche le sto­rie sono defi­ni­te dal prin­ci­pio nka­li. Come sono rac­con­ta­te, chi le rac­con­ta, quan­do ven­go­no rac­con­ta­te e quan­te se ne rac­con­ta­no. Tut­to que­sto dipen­de dal pote­re. Il pote­re è la pos­si­bi­li­tà non solo di rac­con­ta­re la sto­ria di un’altra per­so­na, ma di ren­der­la la sto­ria fina­le di quel­la per­so­na. Il poe­ta pale­sti­ne­se Mou­rid Bar­ghou­ti scri­ve che se si vuo­le espro­pria­re un popo­lo, il modo più sem­pli­ce per far­lo è di rac­con­ta­re la sua sto­ria, e di comin­cia­re quel­la sto­ria con “in secon­do luogo”

 

 

Quan­to sono impor­tan­ti, oggi, le inchie­ste come quel­la che hai con­dot­to tu, dove è la paro­la del­le vit­ti­me quel­la che emer­ge, dove sono loro a rac­con­ta­re diret­ta­men­te la loro sto­ria? Come pos­sia­mo dare evi­den­za a que­ste voci?

 

L’impostazione del­la mia inchie­sta vie­ne da anni di stu­dio del­le que­stio­ni di gene­re con approc­cio inter­se­zio­na­le, affian­ca­to ad anni di gavet­ta gior­na­li­sti­ca: un per­cor­so con­ti­nuo, che pos­so sol­tan­to cer­ca­re di miglio­ra­re, gior­no dopo gior­no. Pro­ba­bil­men­te sareb­be uti­le che, in gene­ra­le, si stu­dias­se di più pri­ma di approc­ciar­si a cer­te tema­ti­che e alle vite del­le altre e degli altri, al di là del mez­zo scel­to (scrit­tu­ra, foto o video). Lo stu­dio ser­ve anche per svi­lup­pa­re umil­tà e cau­te­la, per dar­si un codi­ce eti­co, per far­si con­ti­nua­men­te doman­de. Le più impor­tan­ti sono: chi mi auto­riz­za a rac­con­ta­re que­sta sto­ria? Che pun­to di vista sto usan­do? Sto par­lan­do per le altre?

In mol­tis­si­mi lavo­ri gior­na­li­sti­ci e foto­gra­fi­ci che leg­go e vedo, sia­mo dav­ve­ro anco­ra lon­ta­ni da un approc­cio di que­sto tipo. Anzi, ades­so le sto­rie di “don­ne” e di gene­re “tira­no” alla gran­de, quin­di in mol­ti si but­ta­no, sen­za ave­re svi­lup­pa­to gli stru­men­ti, con un’arroganza e un male gaze che ren­do­no il tut­to par­ti­co­lar­men­te grot­te­sco e inutile.

 


 

Ste­fa­nia Pran­di è gior­na­li­sta e foto­gra­fa, ha rea­liz­za­to repor­ta­ge in Ita­lia, Euro­pa, Afri­ca e Suda­me­ri­ca. Si occu­pa di que­stio­ni di gene­re, lavo­ro, dirit­ti uma­ni, socie­tà e ambien­te. Ha lavo­ra­to per Elle, Azio­ne, Radio­te­le­vi­sio­ne sviz­ze­ra, Vice, El País, Open Socie­ty Foun­da­tions, Il Fat­to Quo­ti­dia­no onli­ne, Al Jazee­ra. Nel 2016 e nel 2017 ha rice­vu­to i rico­no­sci­men­ti The Pol­li­na­tion Pro­ject Grant e Vol­kart Stif­tung Grant.

Con Oro Ros­so ha vin­to nel 2018 il Pre­mio Di pub­bli­co domi­nio; in Ger­ma­nia si è aggiu­di­ca­ta il Pre­mio Otto Bren­ner Pre­is ed è sta­ta tra le fina­li­ste del­l’au­stria­co Medien Lowin (sezio­ne argen­to). Al momen­to è tra le nomi­na­te per il pre­mio Repor­ter Pre­is, sezio­ne inchieste.

Biblio­gra­fia di appro­fon­di­men­to sug­ge­ri­ta dall’autrice

  • Le dita taglia­te, Pao­la Tabet, Ediesse
  • Migra­tion and Agri­col­tu­re, Ales­san­dra Cor­ra­do, Car­los de Castro, Dome­ni­co Per­rot­ta, Routledge
  • King Kong Girl, Vir­gi­nie Despen­tes, Einaudi
  • Femi­ni­st Research in theo­ry and prac­ti­ce, Gay­le Lether­by, Open Uni­ver­si­ty Press
  • Femi­ni­st Metho­do­lo­gy, Chal­len­ges and Choi­ces, Caro­li­ne Rama­za­no­glu, Janet Hol­land, Sage
  • Sexual Harass­ment of Wor­king Women, Catha­ri­ne A MacKinnon,Yale Uni­ver­si­ty Press
  • https://www.nytimes.com/2018/03/19/books/review/metoo-workplace-sexual-harassment-catharine-mackinnon.html
  • C’è del mar­cio nel piat­to: come difen­der­si dai dra­ghi del Made in Ita­ly che avve­le­na­no la tavo­la, Gian Car­lo Casel­li, Ste­fa­no Masi­ni, Piemme
  • Ghet­to Ita­lia, Yvan Sagnet e Leo­nar­do Pal­mi­sa­no, Fandango

AIUTACI a scrivere altri articoli come quello che hai appena letto con una donazione e con il 2x1000 nella dichiarazione dei redditi aggiungendo il codice S36 nell'apposito riquadro dedicato ai partiti politici.

Se ancora non la ricevi, puoi registrarti alla nostra newsletter.
Partecipa anche tu!

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER

Congresso 2024: regolamento congressuale

Il con­gres­so 2024 di Pos­si­bi­le si apre oggi 5 apri­le: dif­fon­dia­mo in alle­ga­to il rego­la­men­to con­gres­sua­le ela­bo­ra­to dal Comi­ta­to Organizzativo.

Il salario. Minimo, indispensabile. Una proposta di legge possibile.

Già nel 2018 Pos­si­bi­le ha pre­sen­ta­to una pro­po­sta di leg­ge sul sala­rio mini­mo. In quel­la pro­po­sta, l’introduzione di un sala­rio mini­mo lega­le, che rico­no­sces­se ai mini­mi tabel­la­ri un valo­re lega­le erga omnes quan­do que­sti fos­se­ro al di sopra del­la soglia sta­bi­li­ta, for­ni­va una inno­va­ti­va inter­pre­ta­zio­ne del­lo stru­men­to, sino a quel tem­po bloc­ca­to dal timo­re di ero­de­re pote­re con­trat­tua­le ai sin­da­ca­ti. Il testo del 2018 è sta­to riscrit­to e miglio­ra­to in alcu­ni dispo­si­ti­vi ed è pron­to per diven­ta­re una pro­po­sta di leg­ge di ini­zia­ti­va popolare.

500.000 firme per la cannabis: la politica si è piantata? Noi siamo per piantarla e mobilitarci.

500.000 fir­me per toglie­re risor­se e giro d’affari alle mafie, per garan­ti­re la qua­li­tà e la sicu­rez­za di cosa vie­ne ven­du­to e con­su­ma­to, per met­te­re la paro­la fine a una cri­mi­na­liz­za­zio­ne e a un proi­bi­zio­ni­smo che non han­no por­ta­to a nes­sun risul­ta­to. La can­na­bis non è una que­stio­ne secon­da­ria o risi­bi­le, ma un tema serio che riguar­da milio­ni di italiani.

Possibile per il Referendum sulla Cannabis

La can­na­bis riguar­da 5 milio­ni di con­su­ma­to­ri, secon­do alcu­ni addi­rit­tu­ra 6, mol­ti dei qua­li sono con­su­ma­to­ri di lun­go cor­so che ne fan­no un uso mol­to con­sa­pe­vo­le, non peri­co­lo­so per la società.
Pre­pa­ra­te lo SPID! Sarà una cam­pa­gna bre­vis­si­ma, dif­fi­ci­le, per cui ser­vi­rà tut­to il vostro aiu­to. Ma si può fare. Ed è giu­sto provarci.

Corridoi umanitari per chi fugge dall’Afghanistan, senza perdere tempo o fare propaganda

La prio­ri­tà deve esse­re met­te­re al sicu­ro le per­so­ne e non può esse­re mes­sa in discus­sio­ne da rim­pal­li tra pae­si euro­pei. Il dirit­to d’asilo è un dirit­to che in nes­sun caso può esse­re sot­to­po­sto a “vin­co­li quan­ti­ta­ti­vi”. Ser­vo­no cor­ri­doi uma­ni­ta­ri, e cioè vie d’accesso sicu­re, lega­li, tra­spa­ren­ti attra­ver­so cui eva­cua­re più per­so­ne possibili. 

L’indipendenza delle persone con disabilità passa (anche) dall’indipendenza economica

È la Gior­na­ta Inter­na­zio­na­le del­le Per­so­ne con Disa­bi­li­tà, e anco­ra una vol­ta riba­dia­mo quan­to sia urgen­te e neces­sa­rio un cam­bia­men­to socia­le e cul­tu­ra­le per la pie­na indi­pen­den­za di tut­te e tut­ti. C’è tan­to da fare, dal­la revi­sio­ne del­le pen­sio­ni di inva­li­di­tà a un pia­no per l’eliminazione del­le bar­rie­re archi­tet­to­ni­che, pas­san­do per il tabù — da abbat­te­re al più pre­sto — sull’assistenza ses­sua­le. Una for­ma fon­da­men­ta­le di auto­no­mia è quel­la economica.