Il Parlamento europeo ha adottato la propria posizione sulla proposta di direttiva che mira a rafforzare l’applicazione del principio della parità retributiva di genere attraverso la trasparenza delle retribuzioni. Nella stessa sede, i deputati hanno deciso di dare avvio ai negoziati interistituzionali, quindi l’ultima tappa prima dell’adozione finale della direttiva, che dovrà poi essere recepita a livello nazionale comportando degli adeguamenti delle normative italiane (inclusa la recente legge 162/21).
Ci si aspetterebbe quindi che il tema venisse affrontato nel dibattito pubblico, considerato che fra l’altro il divario salariale è una delle priorità trasversali del PNRR italiano, che mira a “realizzare una piena parità di accesso economica e sociale della donna mettendo la parità di genere come criterio di valutazione di tutti i progetti (gender mainstreaming)”. E che la direttiva europea per alcuni aspetti pone degli obiettivi più ambiziosi rispetto a quelli della legge 162/21.
Cosa prevede la direttiva e quali sono i punti chiave dei negoziati tra Parlamento e Consiglio?
La posizione del Parlamento si spinge più lontano rispetto alla proposta della Commissione europea.
Per quanto riguarda il campo di applicazione delle nuove regole, il Parlamento propone di allargare l’obbligo di rendere pubblicamente disponibili le informazioni sul divario retributivo tra lavoratori di sesso femminile e di sesso maschile, ai datori di lavoro di organizzazioni con almeno 50 lavoratori, anziché con 250 lavoratori come nella proposta della Commissione e sostenuto dal Consiglio.
Nella proposta della Commissione, qualora in un’azienda emerga una disparità della retribuzione media tra lavoratori di sesso femminile e di sesso maschile pari ad almeno il 5 % tra lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore, il datore di lavoro è tenuto ad effettuare una valutazione delle retribuzioni, a giustificare le differenze di retribuzione (comprese quelle inferiori alla soglia stabilita), e a porre rimedio alla situazione. Nel testo adottato dal Parlamento, l’obbligo di effettuare la valutazione delle retribuzioni scatterebbe già di fronte ad un divario del 2,5%.
I lavoratori potranno accedere alle informazioni necessarie per valutare se a pari lavoro, siano retribuiti in modo discriminatorio o meno rispetto ai lavoratori della stessa azienda. Inoltre i datori di lavoro, avranno l’obbligo di indicare il livello retributivo iniziale, già nell’avviso di posto vacante o comunque prima del colloquio di lavoro, in modo tale che i candidati dispongano di tutte le informazioni per negoziare in modo equilibrato ed equo la propria retribuzione sin dall’inizio.
Infine, si rafforza il trasferimento dell’onere della prova a carico del datore di lavoro: nei casi in cui si può ragionevolmente presumere che vi sia stata discriminazione, spetterà al datore di lavoro di provare l’insussistenza della violazione del principio di parità retributiva. Cio’ dovrebbe agevolare il lavoratore nell’esercizio del proprio diritto alla parità retributiva, e allo stesso tempo fornire un ulteriore incentivo per i datori di lavoro a rispettare gli obblighi in materia di trasparenza.
Riuscirà la nuova direttiva europea a far progredire le normative nazionali verso una maggiore parità retributiva?
Se rispetto alla media UE del divario di remunerazione oraria tra uomo e donna è del 13%, l’Italia risulta tra i paesi più virtuosi con un divario del 4,2% (dati Eurostat, marzo 2022), è ben noto che prendendo in considerazione i fattori di svantaggio delle donne nel mercato del lavoro, il nostro paese si piazza tra i peggiori paesi europei: basso tasso di occupazione (in Italia lavora meno di una donna su due), alta percentuale di contratti part time (49,8%), mancata possibilità di carriera (solo il 28% dei manager sono donna), e tanto altro. Soprattutto, se guardiamo al settore privato il divario retributivo in Italia arriva fino al 16,5%.
Per questo restiamo convinti che sia importante tenere alta l’attenzione sulle discriminazioni che persistono nella nostra società e alimentare il dibattito pubblico sulle politiche e legislazioni rivolte a combatterle, in particolare laddove i principi sanciti dalla costituzione (art. 37) e dai trattati europei (art.157 TFUE) vengono calpestati. Proprio in quest’ottica, con Possibile portiamo avanti la proposta di legge di iniziativa popolare per introdurre un salario minimo in Italia, dove le donne e soprattutto le più giovani, sono tra i soggetti maggiormente esposti al rischio di lavorare in povertà. La proposta si può firmare nei banchetti in giro per l’Italia oppure online tramite spid: https://bit.ly/salariominimofirma .