Il Parlamento europeo approva il CETA: perché ho votato contro

Il CETA è complessivamente figlio di una stagione passata e di un modello vecchio, di liberalizzazione degli scambi, che ha contribuito a produrre gravi storture nel commercio globale ed ha avuto conseguenze disastrose in termini di aumento delle diseguaglianze.

Oggi al Par­la­men­to euro­peo si è vota­to sul CETA, l’Accor­do eco­no­mi­co e com­mer­cia­le glo­ba­le tra Unio­ne euro­pea e Cana­da, che è pas­sa­to con 408 voti a favo­re, 33 asten­sio­ni e 254 con­tra­ri.

Dopo aver riflet­tu­to e stu­dia­to a lun­go, ho vota­to con­tro all’accordo.

Anzi­tut­to è bene pre­ci­sa­re che il Par­la­men­to ave­va sola­men­te la pos­si­bi­li­tà di appro­va­re o riget­ta­re in bloc­co l’accordo, sen­za poter emen­da­re quan­to nego­zia­to tra il Gover­no cana­de­se e la Com­mis­sio­ne europea. 

Il giu­di­zio com­ples­si­vo su un accor­do così este­so, senz’altro il più arti­co­la­to mai nego­zia­to dall’UE, è reso anco­ra più dif­fi­ci­le dal­la gran­de diver­gen­za di ana­li­si sui suoi poten­zia­li effet­ti. Vi sono ana­li­si che lo rac­con­ta­no come un accor­do van­tag­gio­so per l’UE, con la pos­si­bi­li­tà di crea­re nuo­vi posti di lavo­ro e oppor­tu­ni­tà per le pic­co­le e medie impre­se euro­pee, ed altre che arri­va­no a con­clu­sio­ni dia­me­tral­men­te oppo­ste, di per­di­ta con­si­sten­te di posti di lavo­ro in diver­si set­to­ri, di rischio con­cre­to di far acce­de­re al mer­ca­to euro­peo pro­dot­ti e ser­vi­zi che non rispet­ta­no gli stan­dard di tute­la ambien­ta­le, del­la salu­te e del lavo­ro che abbia­mo con­qui­sta­to con decen­ni di bat­ta­glie e che riten­go esse­re uno dei risul­ta­ti più pre­zio­si dell’UE ed in par­ti­co­la­re del Par­la­men­to europeo.

Il CETA, ad un’attenta let­tu­ra, è com­ples­si­va­men­te figlio di una sta­gio­ne pas­sa­ta (come nota anche Piket­ty) e di un model­lo vec­chio, di libe­ra­liz­za­zio­ne degli scam­bi, che ha con­tri­bui­to a pro­dur­re gra­vi stor­tu­re nel com­mer­cio glo­ba­le ed ha avu­to con­se­guen­ze disa­stro­se in ter­mi­ni di aumen­to del­le dise­gua­glian­ze. Da un pun­to di vista occu­pa­zio­na­le e di cre­sci­ta, per­si­no le sti­me del­la Com­mis­sio­ne sono del tut­to con­te­nu­te. E’ quin­di legit­ti­mo pen­sa­re che l’accordo sia sta­to det­ta­to più da ragio­ni geo­po­li­ti­che — peral­tro usa­te spes­so come argo­men­to dai favo­re­vo­li — che dai suoi pre­sun­ti effet­ti bene­fi­ci per l’economia euro­pea, ed in par­ti­co­la­re dal ten­ta­ti­vo di fis­sa­re stan­dard glo­ba­li. Ma come ci attrez­ze­reb­be, il CETA, anche da que­sto pun­to di vista? In modo del tut­to insuf­fi­cien­te, con qual­che con­ten­ti­no come un capi­to­lo sul­lo svi­lup­po soste­ni­bi­le che non è nem­me­no vin­co­lan­te, con un rife­ri­men­to al “dirit­to di rego­la­men­ta­re” degli Sta­ti dai con­tor­ni trop­po vaghi, e con meri impe­gni del Cana­da a sot­to­scri­ve­re le con­ven­zio­ni ILO a tute­la del lavo­ro. Ma se l’intento fos­se quel­lo di con­di­zio­na­re futu­ri accor­di con part­ner “più distan­ti da noi”, come la Cina, che sen­so ha sigla­re un accor­do in cui non c’è nul­la sul­la tute­la del lavo­ro, e nul­la sul­la fisca­li­tà e le misu­re sem­pre più neces­sa­rie di con­tra­sto all’evasione ed elu­sio­ne fiscale? 

Dire NO al CETA non ci ren­de simi­li a Trump, non ci ren­de né pro­te­zio­ni­sti né iso­la­zio­ni­sti, per­ché la dif­fe­ren­za sta nel­la rispo­sta che si vuo­le dare davan­ti ad un’analisi cri­ti­ca degli effet­ti del­la glo­ba­liz­za­zio­ne sre­go­la­ta. Que­sta rispo­sta non è quel­la dei muri di Trump, ma non può nem­me­no esse­re la con­ti­nui­tà con gli erro­ri già fat­ti, e con un model­lo di svi­lup­po e di com­mer­cio che ha con­tri­bui­to a pro­dur­re i disa­stri e le dise­gua­glian­ze attua­li. Peral­tro, non è che sen­za il CETA si fer­mi il com­mer­cio inter­na­zio­na­le. Si pote­va e dove­va nego­zia­re meglio, e con mag­gior tra­spa­ren­za e coin­vol­gi­men­to del Par­la­men­to, di tut­ti gli sta­ke­hol­ders e dei cit­ta­di­ni sin da principio.

In una valu­ta­zio­ne il più pos­si­bi­le obiet­ti­va dei pro e dei con­tro, non ho rin­ve­nu­to nel CETA  garan­zie suf­fi­cien­ti sul­la tute­la dei nostri stan­dard. I rischi a mio avvi­so più gra­vi con­te­nu­ti nell’accordo sono tre: il pri­mo riguar­da la scel­ta del meto­do di una “lista nega­ti­va” per quan­to riguar­da i ser­vi­zi com­pre­si nell’accordo (al di fuo­ri di quel­li spe­ci­fi­ca­ta­men­te men­zio­na­ti, gli altri sono da rite­ner­si tut­ti com­pre­si, con rischi evi­den­ti). Il secon­do riguar­da il nodo del “prin­ci­pio di pre­cau­zio­ne”, san­ci­to all’art. 191 del TFUE, e mes­so a rischio nel con­fron­to con un model­lo com­ple­ta­men­te diver­so come quel­lo cana­de­se (ed anche ame­ri­ca­no). Essen­zial­men­te le par­ti han­no con­cor­da­to che a pre­va­le­re in sede di appli­ca­zio­ne dell’accordo sarà il prin­ci­pio di pre­cau­zio­ne così come inter­pre­ta­to tra le par­ti, anzi­ché quel­lo con­te­nu­to nei Trat­ta­ti UE, secon­do cui basta un ragio­ne­vo­le rischio con­nes­so ad un cer­to pro­dot­to, anche sen­za cer­tez­za scien­ti­fi­ca del­la sua peri­co­lo­si­tà, affin­ché l’UE agi­sca a tute­la dei cit­ta­di­ni. Que­sto è un pun­to dav­ve­ro pericoloso.

E il ter­zo, e per me diri­men­te, riguar­da il con­tro­ver­so mec­ca­ni­smo di tute­la degli inve­sti­men­ti, il cosid­det­to “ICS”. La crea­zio­ne stes­sa di una sor­ta di cor­te spe­cia­le, cui le mul­ti­na­zio­na­li pos­sa­no rivol­ger­si nel caso in cui si rite­nes­se­ro lese da nor­ma­ti­ve appro­va­te dagli Sta­ti mem­bri a tute­la del­la salu­te, dell’ambiente, del lavo­ro dei cit­ta­di­ni euro­pei, chia­ma in cau­sa il deli­ca­to tema del­la sovra­ni­tà. Il pre­sup­po­sto alla base di que­sto tipo di stru­men­to di tute­la degli inve­sti­men­ti è infat­ti inac­cet­ta­bi­le: che i siste­mi giu­di­zia­ri degli Sta­ti mem­bri dell’UE e del Cana­da non sia­no suf­fi­cien­te­men­te affi­da­bi­li e soli­di. La giu­sti­zia è ugua­le per tut­ti, e non si vede per­ché crea­re cor­sie pre­fe­ren­zia­li per le gran­di azien­de, a secon­da del fatturato.

Gli effet­ti del­la glo­ba­liz­za­zio­ne van­no senz’altro rego­la­ti — ed anzi è già mol­to tar­di — ma come si deci­de di rego­lar­li fa mol­ta dif­fe­ren­za, e con accor­di come que­sto si rego­la­no male. Nel dibat­ti­to coi col­le­ghi ho sen­ti­to spes­so dire che il CETA sareb­be l’accordo “più pro­gres­si­sta” che è pos­si­bi­le rag­giun­ge­re, e che se l’UE non fos­se in gra­do di fir­ma­re que­sto accor­do con un part­ner “ami­co” come il Cana­da, tan­to var­reb­be rinun­cia­re alle com­pe­ten­ze comu­ni­ta­rie sul com­mer­cio inter­na­zio­na­le. Non sono affat­to d’accordo: pro­prio per­ché l’UE può riven­di­ca­re stan­dard altis­si­mi, frut­to di decen­ni di bat­ta­glie, in tema di tute­la dell’ambiente, del­la salu­te e del lavo­ro, stan­dard che peral­tro sono più in linea con la nuo­va Agen­da del­lo Svi­lup­po Soste­ni­bi­le al 2030 appro­va­ta dall’ONU nel set­tem­bre 2015, biso­gne­reb­be seder­si al tavo­lo coi part­ner com­mer­cia­li con ambi­zio­ni deci­sa­men­te più alte, e non come se fos­se un mero con­trat­to tra due par­ti con inte­res­si diver­si, alla ricer­ca di un com­pro­mes­so accet­ta­bi­le. Quan­do in gio­co c’è il futu­ro del­le nuo­ve gene­ra­zio­ni, di chi ver­rà dopo di noi, l’unico com­pro­mes­so accet­ta­bi­le è il meglio.

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