Ieri Romano Prodi ha dichiarato che la la campagna referendaria è “una rissa più dura di quella del confronto tra Hillary Clinton e Donald Trump” aggiungendo che non prenderà posizione nemmeno “sotto tortura”. Di Bersani e Speranza, insieme alla cosiddetta “sinistra del PD”, ne leggiamo praticamente tutti i giorni: a loro la riforma così com’è non piace, dicono, forse voterebbero “no” al referendum ma non sanno dirci cosa voteranno, lasciando intendere che c’è spazio per una trattativa. Su cosa vorrebbero trattare in realtà si è capito ancora meno. Giuliano Pisapia, sempre messianico nelle interviste, si dilunga per dirci che non ci dice cosa voterà. Da altre parti, qui a sinistra, fuori dal PD ogni tanto si scorge qualche incertezza sulle posizioni del “no” dove incertezza in realtà è un eufemismo per non scrivere imbarazzo e un poco di viltà: le posizioni referendarie più disparate compaiono negli articoli di indiscrezioni parlamentari ma non vengono smentite. In compenso le leggono tutti.
Stessa cosa sull’ultima renziata del ponte sullo Stretto: evidentemente è bastata una notte per portare consiglio e oggi in molti si scoprono favorevoli a ciò che hanno sempre combattuto. Dicono che è di sinistra creare lavoro e verrebbe voglia di citare Loredana Lipperini e Giovanni Arduino che nel loro ultimo libro (Schiavi di un dio minore, UTET) scrivono che se “è di sinistra creare lavoro, non parlarne, dunque i faraoni erano di sinistra”. Ma, anche sulla questione del Ponte di Messina, a pesare sono i silenzi. Tanti, troppi e ormai tristemente preventivabili.
C’è in Italia, di questi tempi, il consolidamento del nuovo grande partito del “nì”. Una coalizione bipartisan che galleggia dentro e fuori il Parlamento e che coinvolgi intellettuali, uomini di spettacolo, ex girotondi e un pezzo di ex cittadinanza rumorosa attiva. Attenzione, non sono quelli che concordano con il governo e con le sue riforme: quelli tengono (più o meno coerentemente con la loro storia) una posizione politica e la esprimono. Questi invece, i professionisti del non prendere posizione, ciondolano aspettando di vedere la piega che prenderà il Paese: lucrano sul tempo e sulle energie (degli altri) spacciando l’esitazione per saggezza. Intervengono ampollosi riuscendo a non dire nulla mentre si scrollano la responsabilità di stare in campo.
È obbligatorio prendere una posizione? No, certo che no. Ma è obbligatorio prendersene la responsabilità politica. Anche del non decidere, se necessario. E conviene ricordarsene, segnarsene i nomi perché in questo Paese in cui ritorna tutto (e soprattutto in cui resuscitano le pulsioni peggiori del berlusconismo) poi almeno non vorremmo prendere lezioni da maestri fannulloni. La prossima ramanzina dei santini della sinistra che è stata e che non decide almeno evitatecela. Almeno quella.
Noi intanto non cadiamo nella tentazione di inseguire il frastuono delle promesse e delle sparate. Continuiamo a essere seri e, possibilmente, ad essere abbastanza intelligenti da nutrire continuamente dubbi, anche ad alta voce. I chilometri che stiamo percorrendo in giro per l’Italia con il nostro Tour Ricostituente sono un patrimonio politico che abbiamo il dovere di investire. E rivendicare.
Proviamo a essere dappertutto. Casa per casa, nei paesi minuscoli come nei capoluoghi. Abbiamo costituzionalisti commessi viaggiatori che rendono potabile ciò che parrebbe difficile; compagni che allestiscono tavoli, dispiegano bandiere, sistemano l’acqua e distribuiscono volantini; seminiamo incontri e dibattiti con l’impegno di restare nel merito e ci confrontiamo con quelli che (quegli altri) non invitano. Il nostro Tour Ricostitutente, insieme all’attività parlamentare e alla polvere di costruire un movimento, sono risultati inimmaginabili fino a qualche mese fa. E, senza proclami, lo facciamo grazie ai nostri elettori e alle vostre donazioni. Per questo vi invitiamo a sostenerci con una donazione o acquistando un nostro gadget.
Grazie a chi condivide con noi la sfida costituzionale.