[vc_row][vc_column][vc_column_text]Tutti snocciolano numeri, dati, percentuali e trend che il giorno dopo possono confermare o smentire quanto detto il giorno prima. Con la speranza che si trasforma in panico, che si trasforma in paura, che ritorna speranza. Fino all’abitudine.
Gli epidemiologi, i medici, gli infermieri, i volontari: tutto il personale medico sanitario ci implora di stare a casa, di chiudere tutto – inclusi i trasporti pubblici – per imporre un rallentamento significativo all’avanzata dell’epidemia, mentre tutti gli altri – lobby degli industriali e degli imprenditori in primis – ci stanno raccontando un’altra storia.
Una narrazione per cui stiamo combattendo una guerra da una trincea immaginaria, in cui noi siamo più forti della pandemia, che questo virus ci piegherà ma non ci spezzerà, e che usciremo da questa situazione sicuramente cambiati, e decisamente cambiati in meglio, grazie al sacrificio di tutti gli eroi che non si fermano per far vivere il Paese.
Una narrazione che ha delle venature patriottiche, dove l’onore sta sopra a tutto, a partire dal buonsenso, che ci imporrebbe, invece, di smetterla di trattare chi lavora negli ospedali come carne da macello: perché con la scusa che sono degli eroi, li stiamo immolando in nome della Nazione, mentre il compito della politica dovrebbe essere proteggerli, tenendo tutti gli altri dentro casa. Chiudendo tutto quello che si può. Perché come abbiamo detto più volte nei giorni passati: prima ci si ferma, prima si riparte.
È notizia di quasi 2 settimane fa che la Commissione UE, per bocca della sua Presidentessa Ursula Von der Leyen, è disposta a dare all’Italia tutto quello che chiede. Ha addirittura scritto una lettera al Ministro Gualtieri garantendo massima flessibilità. Addirittura, parlando di “misure straordinarie, fuori dal Patto” di Stabilità.
Un’occasione irripetibile per un rilancio complessivo dell’economia: perché è proprio nel momento in cui tutti i Paesi Membri attraversano la stessa crisi produttiva e di liquidità che nessuno può permettersi di speculare sui debiti altrui.
E questa è la forza dell’Unione, che ha la capacità di esprimersi come mai prima d’ora per sopperire alla debolezza dei suoi membri se presi singolarmente.
E potrebbe essere anche l’occasione tanto attesa dall’Italia per uscire da una crisi che dura da più di vent’anni.
Ne sarebbe felice Keynes, di questa possibilità irripetibile di aumentare la spesa pubblica e investire in alcuni settori strategici dell’economia che garantiscano un effetto leva del PIL, che altro non è che un elevato ritorno degli investimenti pubblici sul valore totale della produzione. E senza aumentare il deficit, quando ci ricapita?
Per l’Italia è allora arrivato il momento di mettere i soldi in quei settori strategici per ripartire quando l’emergenza sarà superata.
Per potenziare prima di tutto le strutture ospedaliere, ad esempio, ripensando complessivamente il sistema sanitario in un’ottica diffusa per garantire che la prossima volta non ci faremo trovare impreparati. Anche perché la discesa sarà lunga, e i contagi non si fermeranno in un giorno solo, di punto in bianco.
Inoltre, adesso che abbiamo sdoganato il lavoro a distanza, lo Stato dovrebbe dare supporto alle aziende che vogliono continuare, supportando la digitalizzazione e tutte le forme di lavoro agile, le quali portano con sé considerevoli diminuzione delle spese per l’azienda e degli impatti ambientali, a supporto di una vera transizione ecologica.
Si devono poi tutelare tutte le forme contrattuali e i lavoratori atipici, troppo spesso dimenticati e quasi sempre i più colpiti durante le fasi di crisi economica, nel nostro caso una crisi permanente. Potrebbe essere anche l’occasione di prendere atto e porre un freno a tutte le diseguaglianze generate dal moltiplicarsi di tante forme contrattuali privi di tutele.
E si devono inoltre dare garanzie ai lavoratori e alle imprese colpiti dalle conseguenze della pandemia: questo vuol dire risarcimento dei danni economici provocati dalla chiusura delle attività produttive, in modo che possano ripartire una volta superata l’emergenza.
Ovviamente, si dovrà pensare a un piano di distribuzione di queste somme a partire da chi ha chiuso nel rispetto delle norme sanitarie e di buonsenso, per limitare le possibilità di contagio. Potrà aspettare chi ha messo a rischio singoli lavoratori e, a cerchi concentrici, la collettività in generale, in nome di un’accumulazione di ricchezza che non può avere una battuta di arresto neanche di fronte alle camionette dell’esercito che portano le vie le bare da una Bergamo dove non si sa più dove mettere i morti.
Perché non ci salverà il sacrificio di qualcuno, ma quello di tutti o di nessuno. Ci salverà la solidarietà e il rispetto della vita degli altri, che altro non è che un modo di proteggere la nostra, di vita.
Perché è chiaro come il virus azzeri le disuguaglianze, è sempre l’essere umano che ne crea.
Di fronte al Covid-19 siamo proprio tutti uguali.
E sbagliamo, e tanto, tanto quando lasciamo decidere al profitto e a chi agisce in suo nome: perché coloro che pensano ad arricchirsi sempre e comunque dovrebbero essere gli ultimi a prendere qualsiasi decisione.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]