[vc_row][vc_column][vc_column_text]A oltre un anno dall’entrata in vigore del primo decreto Salvini in materia di sicurezza e immigrazione, è il caso di fare un bilancio. Ci aiuta, in questo, il report curato dalla Fondazione Migrantes dedicato al diritto d’asilo che, grazie al contributo di studiosi ed esperti in materia, ha cominciato a mettere in fila risultati e conseguenze di un anno di governo giallo-verde. Da questo report sono tratti i passaggi citati in questo articolo oltre che la maggior parte dei dati e delle informazioni.
L’avvocato Livio Neri si concentra, in particolare, sull’abrogazione della cosiddetta “protezione umanitaria”, una forma di protezione che ha avuto una sua prima formulazione nel 1993, quando il Legislatore, con la ratifica dell’accordo di Schengen, ha previsto che «non possa rifiutarsi un permesso di soggiorno quando ricorrano “seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano”». A partire da questo punto fermo, passo dopo passo, grazie a successivi interventi normativi e giurisprudenziali, si è giunti a una definizione molto in linea col dettato costituzionale, dando “copertura” alle persone che non avrebbero diritto allo status di rifugiato o alla protezione sussidiaria, ma che comunque versano in gravi condizioni psico-fisiche o soffrono di gravi patologie, o che provengono da paesi non sicuri o colpiti da gravi calamità naturali, o comunque per le quali non esistono le condizioni per un ritorno in patria sicuro. D’altra parte risulta quantomeno assurdo che lo Stato si obblighi a fare qualcosa che “è già obbligato” a fare dalla Costituzione o dal diritto internazionale, ma tant’è: la protezione umanitaria ha permesso di chiudere il cerchio.
La protezione umanitaria dava molto fastidio a Matteo Salvini poiché, coprendo questa ampia casistica, ha garantito un permesso di soggiorno a molte persone in stato di necessità, che l’ex ministro era solito definire “falsi profughi” o “finti rifugiati”. E così il suo primo decreto ha sostituito la «definizione aperta dei motivi umanitari (riempita di significato da due decenni di giurisprudenza e dottrina) con un’elencazione tassativi di motivi» per il rilascio di permessi “speciali”, che non “coprono” tutte le fattispecie coperte precedentemente dalla protezione umanitaria. «Diversi (e inferiori) diritti», scrive Neri. «Inferiore è in quasi tutti i casi la durata degli stessi e — soprattutto — in alcune ipotesi è preclusa la conversione». Per dirla con una battuta, si è preferito premiare con un permesso ad hoc l’eroe (cioè colui che si distingue per atti di particolare valore civile) piuttosto che il cittadino (cioè colui che ha compiuto un percorso che gli ha permesso, nel rispetto delle differenze, di far parte della nostra comunità). Anche per queste ragioni, i nuovi immigrati a rischio di irregolarità determinatisi tra giugno 2018 e giugno 2019 sono circa 71mila (dati ISPI).
Il secondo capitolo della nostra analisi non può che riguardare il sistema di accoglienza, anch’esso duramente colpito dal decreto. Partiamo da un dato: nel settembre 2019 le persone ospitate nel sistema di accoglienza sono tornate sotto la soglia delle 100mila unità per la prima volta dal 2015. Quel che non è cambiato e che non cambia mai è che il 75% di queste persone è ospitata nei cosiddetti Cas, Centri di accoglienza straordinaria, che hanno assunto una totale e strutturale ordinarietà e predominanza nel sistema, nonostante i loro enormi limiti. Il resto del sistema, grazie all’intervento di Salvini, si concentra nel “nuovo” Siproimi, Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati, che ha sostituito il vecchio “Sprar”, Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati. La prima differenza, forse la più importante, si deduce dal nome: mentre lo Sprar accoglieva tanto i titolari di protezione che i richiedenti asilo (per quanto possibile, data la limitatezza dei posti), il Siproimi accoglie solamente persone già titolari di protezione, e solamente di protezione “internazionale”, escludendo quindi i titolari dei nuovi permessi “speciali” citati in precedenza. Una differenza fondamentale, dato che l’accoglienza nel Siproimi risulta, scrive Gianfranco Schiavone, «spogliata proprio della sua valenza di protezione ovvero di un sistema di azioni di presa in carico della persona che accompagna il procedimento di riconoscimento dello status di rifugiato o di altro status di protezione». A farne le spese per prime, continua Schiavone, sono «quei rifugiati, molto spesso donne, che sono stati oggetto di trafficking a scopo di sfruttamento sessuale o per altre finalità», dato che negli Sprar erano state maturate competenze adeguate per la presa in carico della persona sin dai primi passi.
Ma cosa succede nei Cas? È necessaria una premessa: «il riferimento per stabilire una adeguata assistenza ai richiedenti» asilo è «secondo la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, il livello di assistenza che lo Stato assicura ai propri cittadini — scrive Schiavone — affinché appunto possano godere di un livello di vita adeguato e non solo un generico e insufficiente sussidio che non consenta di vivere una vita dignitosa». Viene perciò escluso che, qualora l’accoglienza sia fornitura in strutture, si possa derogare agli standard igienici e abitativi. Servizi di accoglienza e relativi standard sono entrati a far parte delle Linee Guida adottate dall’amministrazione centrale dello Stato per l’organizzazione dello Sprar. Il Ministero ha deciso di cassarle, gettando alle ortiche «oltre un decennio di propri atti amministrativi volti a stabilire standard di servizi» per l’accoglienza. Il nuovo schema di capitolato per la fornitura di beni e servizi, infatti, segna una drastica riduzione dei costi medi da riconoscere per la gestione dei centri, nonché «l’eliminazione di alcuni servizi, e specificamente di tutti i servizi volti a sostenere l’inclusione sociale dei beneficiari» e «l’assenza di previsioni mirate a garantire una assistenza adeguata delle situazioni vulnerabili». Per fare qualche esempio, i servizi previsti per i richiedenti asilo sono stati così modulati:
- Per l’accoglienza “diffusa” si prevede un operatore ogni 50 ospiti, assolutamente insufficiente per garantire la presa in carico delle situazioni vulnerabili, che potrà fare poco altro che il guardiano;
- Si prevede un monte ore estremamente basso per la figura dell’assistente sociale (6 ore alla settimana per strutture fino a 50 posti, 8 ore fino a 150 posti), che dovrà farsi carico anche delle situazioni vulnerabili;
- Non è prevista la figura dello psicologo;
- Estrema genericità per quanto riguarda i minori e completa assenza di voci di spesa per attività ludiche ed educative;
- Monte ore estremamente basso per il servizio di mediazione linguistico-culturale (10 ore per 50 persone, 12 ore fino a 150 persone);
- 60 centesimi di euro al giorno per le spese di trasporto, ovvero meno di un biglietto di sola andata per qualsiasi mezzo pubblico;
- Non è più previsto che l’ente gestore assicuri almeno 10 ore settimanali di lingua italiana;
- Il costo delle strutture è quantificato in 3,93 euro al giorno, comprensivo di tutti gli oneri, quali affitti, utenze, manutenzione, allestimento — mentre il costo medio indicato dall’Istat è di 12 euro.
Valga un dato: in passato, i beneficiari di progetti Sprar hanno visto accolta la domanda di protezione in Tribunale, in primo o secondo grado, rispettivamente nel 50 o nel 70 percento dei casi, contro une media generale del 26 e del 39 percento (fonte: Questione giustizia). Chi seguiva un percorso all’interno dello Sprar aveva probabilità molto maggiori di vedersi riconoscere una forma di protezione rispetto a chi è stato accolto in un Cas, il che configura una palese discriminazione.
Appare evidente che il disegno dell’allora ministro Salvini si sta compiendo, grazie a una mossa che aggredisce l’accoglienza su due fronti. Da un lato, l’aver relegato i richiedenti asilo in strutture inadeguate, dove non possono evidentemente essere erogati servizi che corrispondano a una presa in carico della persona, mina alla base le possibilità che questa persona — oltre a vedersi tutelata dal punto di vista delle eventuali vulnerabilità — sia in grado di potersi vedere riconosciuta una forma di protezione. Dall’altro lato, queste stesse forme di protezione sono state separate in un nucleo che prevede diritti solidi, a partire dall’accesso al Siproimi, corrispondenti con lo status di rifugiato e con la protezione internazionale, e in un nucleo estremamente debole e precario, costituito dai vari permessi “speciali”. E se nell’allucinazione di Matteo Salvini questa mossa a tenaglia avrebbe dovuto essere compensata da un aumento vertiginoso dei rimpatri, beh, questo non è avvenuto. Se nel 2016 sono stati eseguiti 5817 rimpatri forzati, e nel 2017 ne sono stati eseguiti 6514, in tutto il 2018 ne sono stati eseguiti 6820, mentre dal primo gennaio 2019 al 22 settembre 2019 il numero è pari a 5044.
Il punto di caduta è un allargamento dello spazio grigio dell’irregolarità, che costringe centinaia di migliaia di persone a vivere in condizioni disumane e ad accettare ricatti indegni, amplificando, peraltro, la nostra percezione di insicurezza.
[FIRMA PER ABOLIRE I DECRETI SICUREZZA]
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