[vc_row][vc_column][vc_column_text]di Stefano Artusi
Quest’estate al Giffoni Film Festival c’era un giurato d’eccezione: Pepper. Chi sarà mai questo Pepper, vi starete chiedendo. Pepper è un robot umanoide progettato dalla SoftBank Robotics. Qualche giorno prima, sempre in luglio, all’Accademia dei Lincei si teneva il convegno dedicato alla «decisione robotica» nel campo giuridico, alla presenza di Giovanni Legnini (vicepresidente Csm), Giovanni Mammone e Filippo Patroni Griffi. Il progetto (coordinato da Natalino Irti, che dura da circa tre anni) mira ad unire le competenze giuridiche, matematiche-finanziarie e ingegneristiche per affidare ad un software, dotato di IA, attività «giudicante». Dei robot giudicanti in grado di risolvere le controversie di carattere seriale e ripetitivo, per abbassare i costi del sistema giudiziario e ridurre l’arretrato che grava sul funzionamento dei tribunali.
Dopo il boom digitale, stanno arrivando la quarta, la quinta e la sesta rivoluzione industriale tutte insieme (robots, IA, big data e IoT) e stanno investendo ogni settore lavorativo conosciuto. Quando si parla di lavoro, si deve prescindere dai temi locali (aperture festive, tipologie contrattuali, ecc.) e si deve pensare al futuro del lavoro, sapendo che si tratta solo di una rincorsa ai sempre più veloci mutamenti in campo tecnologico.
Come la politica italiana abbia bisogno di un dibattito di respiro europeo, nel lavoro è grande la necessità di globalizzare il dibattito e farne una battaglia per garantire un’occupazione dignitosa a tutti e la giustizia sociale.
Per questo nell’agosto del 2017 l’ILO (l’organizzazione internazionale del lavoro) ha istituito una Commissione globale sul Futuro del Lavoro. Il suo direttore generale, Guy Ryder, si è così pronunciato:
“È fondamentale affrontare queste sfide con la convinzione che il futuro del lavoro non è già stato deciso. Il futuro dobbiamo crearlo noi, secondo i valori e la direzione che scegliamo, attraverso le politiche che progettiamo e implementiamo”.
Alla conferenza del 2019 verrà presentata una relazione frutto del lavoro di governi, associazioni sindacali e imprese nei dialoghi nazionali tessuti dalla Commissione in 110 Paesi. La globalizzazione, soprattutto negli ultimi vent’anni, ha contribuito a creare due categorie nell’occidente, i vincitori (una minoranza) e gli sconfitti della globalizzazione e, più in generale, ha fatto concentrare enormi ricchezze nelle mani di poche persone in tutto il mondo. Le conseguenze, oltre che socio-economiche, sono state politiche e hanno colpito indistintamente i paesi, a prescindere dalla forma di governo, con gli effetti che ben conosciamo e abbiamo potuto esperire sia in Europa che negli USA.
È così difficile immaginare che le nuove tecnologie possano essere utilizzate per migliorare la vita di milioni di persone, per costruire società sostenibili e che si possano creare nuovi lavori con condizioni migliori per tutti? La politica dovrebbe discuterne, dovrebbe adoperarsi perché il futuro non sia peggiori degli orrori umani conosciuti in passato: guerre, sfruttamento, fame.
Questa nuova consapevolezza sta nascendo nella Silicon Valley, dove i lavoratori, nonostante la crescita esponenziale delle Big Tech, vedono i loro diritti diminuire, le condizioni farsi sempre più precarie. Rischiano di essere sostituiti dai robots che hanno contribuito a sviluppare. Guardiamo, ad esempio, all’IA nei call center (http://www.giustapaga.it/
Google vendeva questa invenzione come aiuto per i clienti e i consumatori tacendo sul fatto che Duplex sarebbe stato presto impiegato in altri settori per abbassare i costi, per sostituire chi il suo lavoro lo fa in cambio di più denaro, più tempo, più diritti: le persone.
Lo studio McKinsey “Harnessing automation for a future that works”, stima che circa il 50% degli impieghi in tutti i settori produttivi e di servizi, in tutto il mondo, rischiano di essere rimpiazzati dai robots (automazione, IA, ecc) nel giro di due, massimo quattro decenni. Il fenomeno colpirà i paese a prescindere dal livello di sviluppo: negli USA sono a rischio il 46% dei lavori, in Germania il 48%, in Cina e India più del 51%. Le stime parlano di un totale di un miliardo e duecento milioni di posti di lavoro a rischio.
Tutto questo sta accadendo in tempo reale, perché ogni impresa è interessata a ridurre i costi e migliorare i servizi. O2 (azienda di telefonia inglese) ha annunciato all’inizio dell’anno che ha intenzione di investire nella IA proprio per questi due motivi.
Un studio di Accenture afferma che il 79% delle banche si sta preparando ad affrontare la rivoluzione che l’IA porterà nel settore finanziario, nel modo di ottenre informazioni e nel rapporto coi clienti.
Si tratta di cambiamenti epocali, se pensiamo che si possano autogovernare — alla luce di come si è autogovernata ‘bene’ la globalizzazione negli ultimi vent’anni — lasciandone lo sviluppo in mano ad oligarchie e causando un ulteriore aggravamento della concentrazione della ricchezza — ci sbagliamo di grosso. Il futuro del lavoro, o il lavoro del futuro, è un tema cruciale che non può restare fuori dal dibattito politico comune: ci riguarda tutti.
In Italia manca un Commissione sul futuro del lavoro (c’è nel Regno Unito), un luogo dove si cerchi di accompagnare per mano la rivoluzione tecnologica e che faccia convergere gli interessi dell’umanità con lo sviluppo tecnologico.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]