Qualche sera fa, dopo cena, un tam tam ha percorso i profili facebook di molti miei “amici”.
In tanti si erano ritrovati, a loro insaputa, “seguaci” (o “fans” come si dice in gergo) di una pagina denominata “Perché SI”, che sosteneva palesemente le ragioni del Si al referendum costituzionale.
Ora, se non siete particolarmente esperti di Facebook, dovete sapere che oltre al profilo individuale si possono aprire pagine sui più svariati argomenti.
Per essere informati sulla pagina, ricevendo i relativi aggiornamenti, bisogna cliccare materialmente “mi piace”, con una sorta di dichiarazione di volontà.
Una volta che l’utente ha cliccato, il suo nome compare nell’elenco dei “seguaci” o “fans”, quindi di una comunità che viene associata al nome ed eventualmente allo scopo della pagina stessa.
Quando si accede ad una pagina della quale non si è “seguaci”, compare in un riquadro il numero ed il nome dei nostri “amici” che hanno deciso di mettere il loro like ed essere quindi associati alla pagina.
La particolarità consisteva nel fatto che la pagina aveva più di 80.000 seguaci (difficili da raggiungere con una nuova pagina) e che tantissimi (quasi tutti i miei contatti) fra quelli che ne risultavano seguaci mai avevano materialmente cliccato il loro “like” alla pagina (ci arrivo dopo) ed avevano subito provveduto a cliccare l’opzione “annulla il mi piace”.
Nel giro di un’ora la pagina era sparita e tutti avevamo pensato che l’iniziativa fosse stata abbandonata.
Invece oggi la pagina è tornata online.
Ora, potrebbe essere accaduto che un utente, amministratore di una pagina di argomento diverso, abbia chiesto a Facebook di cambiare il nome alla sua pagina, così “trasportando” migliaia di altri ignari utenti in un enorme gruppo di appoggio al referendum costituzionale.
È un comportamento astrattamente legittimo, pensiamo a una pagina dedicata ad un’associazione che cambia denominazione, e che quindi aggiorna questa sua finestra mediatica con il nuovo nome.
Si sa anche che una pagina con molti seguaci possa essere appetibile commercialmente, che esiste un vero e proprio mercato in tal senso e che alcuni abbiano venduto la qualità di amministratore a soggetti terzi che usano poi la pagina per scopi pubblicitari.
Nel caso che ci riguarda, però, al di là dell’aspetto economico (che non interessa) esiste un enorme problema legato alla privacy e, temo, al codice penale, che potrebbe coinvolgere anche la piattaforma.
Una persona politicamente impegnata, che si spende in questa campagna referendaria anche in quanto iscritta (come me ad esempio) ad un partito politico e che magari aveva messo “like” a una pagina diversa, si ritrova ad essere pubblicamente identificata come sostenitore del Sì.
Non che essere sostenitore del Sì sia il male assoluto in sé, per carità, ma credo non sia così inverosimile ipotizzare astrattamente il reato di diffamazione, che, ricordo, ai sensi dell’art. 595 codice penale, è commesso da chi, comunicando con più persone, danneggi l’altrui reputazione.
Il reato è aggravato se commesso a mezzo stampa, e la giurisprudenza pacificamente applica l’aggravante alla diffamazione a mezzo social network.
La diffamazione non sarebbe, sempre astrattamente, legata al semplice sostegno al Sì, ma alla lesione della reputazione del soggetto in questione che vedrebbe esposta, in ipotesi con un artifizio tecnico, una sua incoerenza politica in pubblico, oltre che a rappresentare astrattamente un illecito sostegno alle ragioni di una parte, posto che alcuni utenti potrebbero essere portati a pensare che, votando in un certo modo, voterebbero come il loro “amico” che magari stimano tanto.
Io non so se ci si renda conto, sempre in astratto, della gravità di questo fatto e delle sue implicazioni.
Non essendo stato arruolato fra i fans, non posso provvedere ad alcuna denuncia, e neppure alla segnalazione alla piattaforma oppure al Garante della Privacy.
Ma non escludo che qualcuno lo faccia.
Anzi, astrattamente, un pochino mi piacerebbe vedere, una volta tanto, come diceva Jannacci, l’effetto che fa (per pura curiosità giuridica, eh).