La risposta breve è: perché la nuova legge sulle unioni civili introduce un istituto giuridico che sancisce per legge una discriminazione che finora era solamente nei fatti.
Entriamo più nel dettaglio.
La legge Cirinnà «istituisce l’unione civile tra persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione», si legge al primo comma. E fin qui tutto abbastanza bene, nel senso che da sempre siamo sostenitori del matrimonio egualitario, perché le parole sono importanti, come diceva quel tale.
Ma se la sostanza resta la stessa — vi chiederete voi — perché non essere favorevoli?
Perché il risultato a cui approderà questa legge è un istituto giuridico ad hoc, volutamente studiato per non dare pari dignità alle unioni tra persone dello stesso sesso. Tra gli elementi che configurano questa discriminazione troviamo, oltre alla questione terminologica di cui sopra:
- L’impossibilità per le coppie dello stesso sesso — e per i single — di ricorrere all’adozione (fattispecie esclusa sin dal principio del percorso parlamentare);
- L’esclusione della stepchild adoption, prevista nella versione originale. Una norma di assoluta civiltà, che consiste nell’adozione del figliastro da parte del nuovo compagno o della nuova compagna. Una mancanza che — è bene sottolinearlo — ricade direttamente sulla pelle dei bambini, e già superata dalla stessa giurisprudenza italiana;
- La mancanza dell’obbligo di fedeltà: previsto nella versione originale e stralciato col maxiemendamento, per — come spiega Michela Marzano — «sottolineare il fatto che l’amore omosessuale è per “natura” promiscuo, meno profondo di quello eterosessuale, e quindi di serie “b”»;
- L’esclusione a più riprese — quasi a voler ribadire — del concetto di famiglia, anche all’interno del testo, ad esempio laddove si dice che le parti sono tenute «a contribuire ai bisogni comuni», non ai bisogni della famiglia e nemmeno ai bisogni dell’unione;
Ricapitolando. Si è partiti con un testo che già rappresentava un compromesso, perché escludeva in partenza la piena comparazione al matrimonio, tanto che anche Monica Cirinnà era d’accordo con questa lettura:
Il disegno di legge, nella versione attuale, è già ricavato da un compromesso. In aula ci sarà spazio solo per limature e migliorie.
E insieme a lei furono tantissimi (ma davvero tantissimi) gli esponenti del Partito Democratico a tracciare la linea della discriminazione sulla stepchild adoption. Che non sia una battaglia estemporanea ma che va al nocciolo della questione lo dimostra anche un commento di Ivan Scalfarotto (tra i più governisti tra i governisti) del dicembre 2015:
E così la pensavano anche il senatore Sergio Lo Giudice, che si soffermò giustamente e lungamente sui diritti dei bambini, e la stessa Monica Cirinnà, che arrivò al punto di minacciare di lasciare la politica.
Da quel compromesso, rispetto al quale «altre mediazioni potrebbero favorire discriminazioni» (sempre Monica Cirinnà), si è scesi ancora di più al ribasso, perciò, aggiungendo lo smacco del mancato obbligo di fedeltà, con un unico fine: creare un istituto che sancisse una differenza naturale con l’amore eterosessuale.
Ecco perché il risultato ottenuto oggi amplia, è vero, la sfera dei diritti, ma ad un costo gravissimo, e cioè l’accettazione di «una situazione di minorità. Di discriminazione». Gli omosessuali saranno «Ghettizzati nel recinto “per omosessuali” delle coppie di fatto mentre il grande spazio del matrimonio rimane privilegio degli eterosessuali», come ha scritto in maniera precisa Andrea Pertici.
Non è un caso che la legge in oggetto sia l’ultima e allo stesso tempo la più arretrata d’Europa.
Ed ecco perché la scelta di non votare a favore del provvedimento, per evitare di sancire per legge una discriminazione. Ma di non votare neppure contro, per non impedire questo piccolo e traballante passo in avanti.
Ecco perché la scelta di tenere il punto fermo sui diritti, sui quali non si può e non si deve mai contrattare al ribasso, perché nel momento in cui si accetta di sancire per legge una discriminazione si innesca un moto acceleratorio che rischia di travolgere tutto e tutti. La nostra scelte è quella di mantenere viva la tensione per il riconoscimento pieno di tutti i diritti, a tutti.
Ha scritto Giuseppe Civati:
Non potremo approvarla né salutarla con un voto favorevole. Altri, tra Senato e Camera, sono passati da un voto contrario a un voto favorevole. A noi sembra più rigoroso ribadire le nostre ragioni e insistere. Temiamo infatti che dopo l’approvazione il sistema si chiuda di nuovo e che i necessari miglioramenti siano rinviati ancora per molto tempo, con il rischio di tenerci per molti anni una legge che non riconosce pienamente i diritti di tutte e tutti.
E’ un compito scomodo, che si presta a facili banalizzazioni e ad ancora più facili strumentalizzazioni.
Ma continueremo in ciò che è giusto.