L’indifendibile ministra della Difesa, Roberta Pinotti, ha spiegato ieri alcuni dei punti fondamentali della strategia di gestione dei flussi migratori proposta dal governo, focalizzandosi in particolare su quanto di sua competenza e sul contributo che può portare alla causa il proprio dicastero.
La prima questione toccata è la Libia, principale paese di transito per raggiungere le coste italiane, tanto che — stando ai dati UNHCR — è dalla Libia che si registrano poco meno del 90% delle partenze. Le prime nazionalità dichiarate allo sbarco sono Nigeria, Eritrea, Guinea, Costa d’Avorio, Gambia, Senegal, Mali, Sudan, Bangladesh e Somalia, a testimonianza del fatto che la Libia funziona da catalizzatore delle rotte migratorie, dal Gambia al Bangladesh, appunto. Ora, la Libia è uno paese in cui manca un vero e proprio esercizio del potere statuale, dato che vive da tempo una grave crisi istituzionale, ed è a questo problema che Pinotti riconduce le ragioni delle partenze: «è proprio per questo che la Libia è il varco dal quale passano tutti i migranti», dice. Il ragionamento di fondo è chiaro: il governo libico non riesce a controllare efficacemente le frontiere e quindi non riesce a impedire ai profughi e ai migranti di proseguire i propri percorsi verso l’Europa. Ecco perché, prosegue Pinotti, «l’Italia, assieme all’Unione Europea, ha addestrato la Guardia Costiera libica», ed ecco perché crede che siano necessari «accordi, sia sul piano del controlli dei confini interni sia sul piano di un controllo coordinato del mare, e quindi da dove partono i barconi e i gommoni carichi di migranti, sfruttati dagli scafisti».
Ci sono tante cose sbagliate e tante cose pericolose in questo ragionamento, che alimenta un processo di esternalizzazione della nostra frontiera, affidando alla Libia, in questo caso, il controllo dei flussi. Supponiamo che la Libia dovesse riuscire a bloccare le partenze: quale risultato otterremmo? In primo luogo, alcuni migranti e alcuni scafisti cercheranno comunque di forzare i controlli e il loro destino sarà ancora una volta affidato al mare. La maggioranza dei migranti, invece, rimarrà bloccata in un paese senza istituzioni stabili e che non ha firmato al Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati. Come risultato avremo persone che, secondo il diritto internazionale, hanno diritto all’asilo ma alle quali questo diritto verrà negato, e non solo: il passato della Libia ci racconta, di migranti imprigionati, di torture e di morti. Non solo negheremo un diritto, perciò, ma rischieremmo addirittura di sottoporre queste persone a condizioni che configurano elementi per chiedere ed ottenere l’asilo in un altro paese: un doppio paradosso. Ecco perché parlare di accordi con la Libia per il controllo della frontiera è pericoloso. E’ invece sbagliato parlarne, inoltre, nel momento in cui non si parla, allo stesso tempo, dell’apertura di canali umanitari, perché è questa la ragione — spiegatelo alla Ministra — per le quali il “mercato” è in mano agli scafisti: se ci fossero vie d’accesso sicure per chiedere asilo in Europa avremmo già sconfitto gli scafisti.
La seconda questione toccata dalla Ministra riguarda l’impiego dell’esercito in Italia. Per fare cosa? Per garantire l’ordine pubblico, in particolare «anche per controllare laddove una presenza significativa di immigrati potrebbe essere problematica per l’ordine pubblico». E così torniamo alla proposta governativa di riaprire i CIE, che sono esattamente strutture nelle quali si concentra una «presenza significativa di immigrati», tanto che il Corriere sintetizza efficacemente la proposta di Pinotti in «uso dell’esercito per monitorare e gestire i CIE». A parte la già accertata inutilità dei CIE nel processo di rimpatrio, viene da chiedersi secondo quale logica perversa il governo voglia creare centri in cui si concentrano molti migranti, per poi dire che potrebbero configurare «una problematica per l’ordine pubblico» e quindi mandare l’esercito. Davvero: ma che senso ha? Create problemi apposta per poi risolverli “brillantemente”?
Ci fa piacere, comunque, che la ministra Pinotti si occupi di questioni migratorie. Ci farebbe ancora più piacere se, ad esempio, ci aiutasse a combattere le cause che stanno alla base della fuga delle persone dalle proprie case. Tra queste c’è la guerra. La guerra in Siria, sicuramente. Ma anche la guerra in Yemen, paese devastato dai bombardamenti delle forze armate saudite, con le quali l’Italia gode di un rapporto privilegiato, come dimostrano i dati sull’export di armi in partenza dall’Italia. Cara ministra Pinotti, lei che è di casa a Riad, potrebbe prima aiutarci in questo senso: che ne pensa?
Stefano Catone
Giuseppe Civati