In questo aggiornamento sulla situazione giustizia, partiamo da un dato di fatto.
Dove non si vota per le amministrative, sono state montate le plance per la comunicazione sui referendum ammessi dalla Corte Costituzionale, ma sono vuote.
Si riempiranno, forse, parzialmente con manifesti della Lega, unico soggetto che spinge sul tema, ma resta in attesa perché se venisse approvata la “Riforma Cartabia” la consultazione non si terrebbe, poiché le norme oggetto di quesito verrebbero modificate.
Ma proprio per questo motivo si sta giocando un’altra partita, degna della peggior politica, perché i partiti “referendari”, Lega ma anche Italia Viva, stanno facendo di tutto per ritardare il voto al Senato della riforma, già approvata alla Camera.
E questo non per nobili ragioni in diritto (in ogni caso la riforma travolgerebbe anche le norme eventualmente modificate) ma unicamente per poter eleggere il prossimo Consiglio Superiore della Magistratura con le vecchie norme e non con quelle riformate.
E infatti le plance sono vuote, perché i referendum sono comunque considerati inutili dai partiti ed essendo stati ammessi con il voto di nove consigli regionali (di centrodestra) di fatto non hanno comitati promotori attivi.
Del resto, anche solo per comprendere bene i quesiti, quindi la portata e le conseguenze del voto, ci vogliono un interesse, un’attenzione e competenze che non sono alla portata di tutti i cittadini elettori, a meno che non si scelga il vecchio sistema binario giustizialisti vs garantisti che funzionava così bene durante il berlusconismo.
Non a caso gli avvocati penalisti chiedono di votare SÌ e i magistrati (che in più hanno indetto uno sciopero contro la riforma Cartabia) di votare NO.
Sui quesiti abbiamo già detto, va aggiunto che è venuto meno quello sulla responsabilità civile del magistrato, escluso dalla Corte Costituzionale in quanto manipolativo e portatore di una nuova normativa con la tecnica del ritaglio.
Il paradosso è che in questo caso quasi tutti i quesiti sono legittimi ma nessuno li capisce, mentre quelli sull’eutanasia e sulla cannabis, che le italiane e gli italiani avevano capito benissimo nella sostanza, firmando a milioni, non erano formalmente corretti.
L’aspetto più rilevante, comunque, si ripete, è che quasi tutte le norme che si vogliono modificare (abrogazione sostanziale della legge Severino sull’incandidabilità, formazione delle liste per la candidatura al CSM, giudizio sull’operato dei magistrati, separazione delle carriere) non hanno nessuna incidenza diretta sulla vita dei cittadini, mentre quella residua (limitazione delle misure cautelari) è a sua volta molto residuale (ma inciderà sulla politica perché esclude l’applicabilità delle misure cautelari per le violazioni al finanziamento pubblico ai partiti).
Facile prevedere, quindi, anche in conseguenza del riscaldamento globale che già adesso ci porta temperature ferragostane, la preferenza per una gita al mare per gli elettori che non hanno la concomitanza con le amministrative, senza necessità di inviti.
Che dire, quindi, della “Riforma Cartabia”?
L’aspetto più temuto è la riforma del CSM, come già detto. Quindi non una questione di diritto ma di potere.
Nel merito, il giudizio rimane negativo, anche e soprattutto alla luce dei cambiamenti radicali determinati dai passaggi “politici” che si sono susseguiti al progetto della commissione di tecnici incaricati dalla ministra su precise linee programmatiche che è utile ricordare.
Il lavoro della commissione, presieduta dal presidente emerito della Corte Costituzionale Giorgio Lattanzi, prevedeva un significativo rafforzamento delle alternative al dibattimento (rendendo maggiormente appetibili e convenienti le scelte in materia di riti alternativi), un incentivo a definizioni alternative rispetto al processo (con la creazione – o il rafforzamento – di istituti riparatori, al rafforzamento della messa alla prova, all’istituto della cd. “archiviazione meritata”), un ripensamento della risposta penale all’illecito (con l’elaborazione di un sistema di sanzioni sostitutive largamente sovrapponibile alle odierne misure alternative alla detenzione — affidamento in prova al servizio sociale compreso — da consegnare alle cure del giudice di cognizione, anziché alla magistratura di sorveglianza), una introduzione nel sistema degli istituti di giustizia riparativa, un sistema di disincentivo alla presentazione di impugnazioni puramente dilatorie, un più rigoroso controllo delle forme, dei modi e dei casi di esercizio dell’azione penale, un significativo ripensamento della disciplina della prescrizione originariamente immaginata nel ddl Bonafede.
Dopo i passaggi parlamentari, il risultato è l’affievolimento di alcuni caratteri “premiali” immaginati per i riti alternativi (messa alla prova compresa), la scomparsa di alcuni meccanismi che intendevano favorire, in alternativa al giudizio, il ripristino della legalità violata (la cd. “archiviazione meritata”), la riduzione, in nome di istanze securitarie, delle sanzioni sostitutive alla pena detentiva (non essendo previsto che il giudice di cognizione possa sostituire la pena detentiva con l’affidamento in prova al servizio sociale), l’intervento radicale, e di dubbia legittimità costituzionale, sulla disciplina della prescrizione e sull’esercizio dell’azione penale, di fatto non più obbligatorio ma discrezionale.
Anche di tutto questo abbiamo già scritto, soprattutto sull’improcedibilità dell’azione penale nel caso vengano superati determinati limiti temporali nel processo di appello o nel giudizio di cassazione, e sull’obbligatorietà dell’azione penale, e sulla loro dubbia costituzionalità.
Ecco quello che abbiamo davanti agli occhi, per l’ennesima volta, come ha osservato un autorevole commentatore tecnico (Andrea Natale, magistrato, 24.03.2022 su Questione Giustizia): “Il tutto avviene in un contesto in cui buona parte delle forze politiche che compongono la variegata maggioranza che ha accordato la fiducia al Governo Draghi pare molto attenta a posizionare alcune “bandierine” sul testo dell’emendamento governativo poi approvato dalle due Camere.”
Abbiamo concluso, Vostro Onore.