Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) alla missione 6, quella relativa alla Salute, riserva 15,63 mld (7 mld per le reti di prossimità, strutture e telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale e 8,63 mld per innovazione, ricerca e digitalizzazione del SSN) a cui si aggiungono 1,71 mld dei fondi React EU e i 2,89 mld di fondo complementare. Il PNRR prevede la riforma dei servizi sanitari di prossimità, da definire entro il 2022, che rivoluzionerà il sistema sanitario italiano: rappresenta di fatto la bocciatura di buona parte dei sistemi sanitari delle nostre regioni (in primis la Lombardia) incapaci di reggere l’ondata pandemica a causa della scarsa connessione fra territorio e ospedale. Una rivoluzione copernicana che prevede un nuovo assetto istituzionale e organizzativo, oltre a standard omogenei per l’assistenza territoriale. L’organizzazione ospedalocentrica dovrà lasciare spazio ad una impostazione dove il paziente è al centro e la casa diventa il primo luogo di cura, l’esatto opposto di quanto fatto fino ad ora. Negli ultimi anni si è assistito ad un colossale arretramento dell’offerta di assistenza domiciliare per anziani, per i malati cronici e i pazienti fragili a causa dei piani di rientro regionali, già di per sè scarsa dove c’era. Allo stesso tempo venivano chiusi i piccoli ospedali, spesso a bassa attività clinica, ridotti i posti letto, lasciando intere popolazioni senza alternative che quella di rivolgersi ai grandi ospedali senza per giunta la possibilità di accesso ad altra diagnosi col risultato di affollare i Pronto Soccorsi. L’epidemia ha messo a nudo le fragilità di un SSN già sottofinanziato (rispetto alla media dei Paesi UE) rendendo evidente la necessità di una organizzazione sanitaria diffusa sul territorio. Una rete di prossimità che faccia da filtro e permetta di riservare agli ospedali la cura dei più gravi. In Lombardia è stato più eclatante a causa del gran numero di contagiati, ma un sistema sanitario che basa la propria missione solo sulle eccellenze dei grandi ospedali trascurando il tessuto connettivo della salute rappresentato da una forte e organizzata medicina territoriale è un sistema destinato a fallire (alla luce delle proiezioni per l’immediato futuro, legato all’invecchiamento della popolazione, di cittadini over 65 con patologie croniche da prendere in carico) e qui prova a metterci una toppa il PNRR: grazie alla telemedicina si potrebbero ridurre i ricoveri inappropriati o, peggio, tardivi, e i re-ricoveri, decongestionando i Pronto Soccorsi e i reparti di degenza. Si destinano 2 mld per 1288 Case della Comunità da costruire (ex novo oppure adattando edifici già esistenti) entro il 2026 (sic!), 4 mld per il potenziamento dei servizi domiciliari per le malattie croniche, per 602 centrali operative territoriali che in ogni distretto che coordinino i servizi domiciliari, 1 mld per 381 Ospedali di Comunità (dove si eseguono interventi di medio-bassa intensità, per la degenza breve e che servano da struttura intermedia fra gli ospedali e le Case delle Comunità). Una rivoluzione che si dovrà confrontare con le resistenze dei governi regionali e una riforma i cui contorni restano ancora molto vaghi sulle competenze: l’effettiva esigibilità dei LEA su tutto il territorio nazionale che il PNRR enuncia, per superare la frammentazione, il divario strutturale dei diversi sistemi sanitari regionali, come si può tradurre se non in una centralizzazione degli strumenti di programmazione, gestione e controllo, che infatti il Piano prevede ”uniformi in ogni territorio”? Per quanto riguarda l’aggiornamento tecnologico & digitale del SSN vengono stanziati 7,36 mld, di questi 4,05 serviranno all’adeguamento e sostituzione delle apparecchiature mediche obsolete (una necessità anche prima del Covid) e altri 1,64 mld (di cui 1 mld già avviato) di adeguamento sismico e ammodernamento del patrimonio immobiliare (altra urgenza non legata alla pandemia). Ci sarà un rafforzamento dei posti letto di T.I. (+3500) e T.Semi-intensiva (+4.225) per 1,41 mld già avviato dal DL.104/2020 (cd. Decreto Agosto) che adeguava il fabbisogno sanitario standard. Per la formazione si puntano ad investire 1,26 mld per ridurre l’imbuto formativo di accesso alla specializzazione (differenza fra laureati in medicina e posti di specializzazione disponibili). Un capitolo interessante riguarda poi il Fascicolo Sanitario Elettronio (FSE) sul quale si investiranno 1,38 mld (0,57mld sono già avviati con la tessera sanitaria elettronica) per digitalizzare le informazioni cliniche dei cittadini sulle quali effettuare analisi dei dati per migliorare le prestazioni dei servizi sanitari e predire le necessità di cura in ogni territorio. Già si è detto sui quaderni (nelle precedenti puntate sul PNRR) sulla mancanza di specificazione e sull’aleatorietà dei tempi di realizzazione. Va inoltre detto che una riforma di tale portata richiede tempi e investimenti molto maggiori: i 20,23 mld fra fondo complementare, React EU e NextGenUE da impiegare in 5 anni sono poco meno del 17% del fabbisogno sanitario annuo (arrivato a 121,37 mld a seguito dell’ultima manovra (L. 178/2020)), davvero molto pochi per pensare di riuscire a trasformare un sistema frammentato e diseguale. Abbiamo assistito ai virtuosismi regionali frutto non tanto di riorganizzazione ma di compressione della spesa, ora non sarà semplice evitare che continui il conflitto fra l’interesse dei cittadini ad essere curati e i disavanzi sanitari delle regioni. Nel Regno Unito, dove causa Brexit non avranno a che fare col Recovery Fund, il Lancet Medical Journal e la London School of Economics hanno stimato in 102 mld di sterline i fondi necessari nella prossima decade per risollevare il sistema sanitario britannico (NHS) dalla pandemia, una vera e propria ‘call to action’ per aumentare il budget annuale dai 185 mld del 2021 a 288 nel 2031. Un’ulteriore dimostrazione che le risorse destinate dal PNRR al SSN sono poca cosa e che neanche il Mes sarebbe sufficiente per risollevarlo dalla pandemia. Nel Piano nulla si dice dei 37 mld tagliati nell’ultimo decennio, dei 10.000 posti letto in meno (ridotti del 40% rispetto al 1997) e dei 42.800 dipendenti a tempo indeterminato in meno (pubblicazione dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio per il 2019 Lo Stato della Sanità in Italia: “Il blocco del turnover è stata infatti la principale modalità̀ di contenimento della spesa sanitaria degli ultimi anni”). Niente neanche a proposito delle strutture private accreditate (che valgono il 23,3% dei posti letto di degenza ordinaria, in Puglia il 40%, in Lombardia il 38%) e del disinvestimento nella sanità pubblica, come dice il rapporto UPB di cui sopra : “La contrazione delle risorse ha favorito solo in parte miglioramenti dell’efficienza e una efficace riorganizzazione dell’offerta. Ne sono derivate conseguenze sull’accesso fisico ed economico, soprattutto nel periodo della crisi, e uno spostamento di domanda verso il mercato privato”. Nessuna riflessione su quello che ci ricorda il Rapporto Gimbe 2019 :“Considerando che i fondi sanitari sono garantiti da una quota consistente di denaro pubblico sotto forma di spesa fiscale, e che buona parte di questa alimenta business privati, questo sistema di fatto si sostituisce al pubblico e spiana la strada alla privatizzazione”. Infine nessuna menzione neanche per il Titolo V della Costituzione e della devoluzione che tante disuguaglianze ha portato nel SSN, le stesse che il Piano dovrebbe/vorrebbe eliminare.