[vc_row][vc_column][vc_column_text]Tripudio di tabelle, sinfonia di Pantone: le 140 pagine del Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD) sono piombate su di noi nel 2015, facendo morire d’invidia quelle — ammettiamolo, generalmente tristi — dei nostri PEC e delle nostre griglie di valutazione.
Perché invece è bello, graficamente, il PNSD: graficamente e concettualmente. Da animatore digitale appena nominata, alla presentazione del Piano alle Officine Golinelli a Bologna nel dicembre del 2015 ricordo di aver perfino provato un fremito di entusiasmo. Aule innovative, piattaforme di apprendimento, editoria digitale erano le aree dove si concentrava il mio interesse, dove pensavo che si sarebbe potuto lavorare con profitto per dare un nuovo slancio alla scuola italiana. In questi anni è stato in effetti fatto molto per portare la scuola in una nuova dimensione; restano però alcuni malesseri a cui occorrerebbe porre mano. Ad una lettura attenta del Piano non può sfuggire un disagio di fondo dietro lo slancio innovatore, la sensazione che si stesse quasi camminando sulle uova per quanto riguarda alcuni aspetti della sua realizzazione pratica: d’altronde, è noto che uno dei mali principali del nostro sistema educativo è la cronica mancanza di fondi.
Sono state tante le azioni (o meglio, le Azioni) che si sono succedute nel tempo e hanno via via interessato varie scuole della penisola, come l’installazione del wi-fi, le Classi 2.0 e via dicendo, ma ad oggi non sembra che abbiano costruito cambiamenti fondamentali, profondi, organici nel modo di pensare la didattica e permane la sensazione generale che la strada sia ancora lunga. Troppo, in verità, e come sempre con troppo poco e non per tutti. Finanziamenti a macchia di leopardo hanno interessato singole classi o anche intere scuole con proposte didattiche davvero nuove e di ottimo livello, ma per magari esaurirsi con il trasferimento di un docente o con l’esaurimento dei fondi ottenuti — uno dei motivi per cui nei PON siamo tenuti ad esempio ad indicare la possibilità di sopravvivenza di un progetto nel tempo e le modalità con cui questo risultato deve essere ottenuto. PON a parte, l’innovazione costa e la coperta è sempre troppo corta, e in alcuni casi proprio nel PNSD è stato chiesto molto per una contropartita che non si può che considerare insufficiente.
Un esempio di queste nozze con i fichi secchi è l’istituzione della figura dell’Animatore Digitale, appellativo quanto mai sciagurato per un ruolo invece dichiaratamente importante e strategico. Spesso e volentieri, purtroppo, questa posizione chiave si è tradotta in modalità attuative che attraversano l’arco completo da appassionato volontariato (adepti delle nuove tecnologie col sacro fuoco dell’amore per il digitale) a mugugnante riottosità (docenti a cui è toccato ricoprire un ruolo che non desideravano). Uno dei punti più oscuri del PNSD è stato proprio voler creare una figura obbligatoria che da un lato era stata ideata pensando alle tante esperienze positive che moltissimi insegnanti già “digitali” da anni portavano avanti nelle scuole, ma che dall’altro, al contrario ad esempio delle funzioni strumentali, non otteneva alcuna copertura finanziaria o riconoscimento giuridico. Ad essere brutalmente sinceri, nessun riconoscimento tout court; ed in molti casi ci sono AD che lavorano senza retribuzione, o senza almeno un parziale distacco, o anche ignorati o percepiti da molti colleghi come un fastidio, voci che gridano nel deserto.
Vaghi segnali giunti in passato dalle istituzioni sono rimasti ad oggi lettera morta. Ricordo che nel novembre 2016, all’evento organizzato a Genova presso la fiera ABCD, la dottoressa Bianconi del MIUR, rispondendo ad una domanda del pubblico, aveva assicurato che era allo studio “un nuovo inquadramento giuridico e stipendiale per gli AD”: evidentemente la voglia di studiare è finita, perché su questo fronte ancora non risulta si sia mosso nulla. Per la maggior parte, gli AD sono persone preparate e capaci, un valido punto di partenza per la promozione del digitale a scuola sia per competenza che per entusiasmo ed in questo il Piano ha individuato un’ottima opportunità di sviluppo “sul campo” per il digitale nella scuola; però in troppi casi, come si è detto, l’AD si è trovato sulle spalle un notevole carico di lavoro a fronte di poco o nulla.
Comunque sia, il PNSD è frutto di persone che evidentemente nel digitale credono, e questo entusiasmo emerge chiaramente leggendo il testo (meno nelle tabelle, ovviamente, ma quelle sono belle, basta quello). Ci sono parole bellissime, concetti e proposte assolutamente da provare a mettere in pratica. Ce ne sono di meno belle come “stakeholders”, che richiama fredde sale riunioni di rapaci multinazionali, ma tant’è. Colpisce profondamente questo auspicio della centralità non delle tecnologie, ma della dimensione “epistemologica e culturale” della scuola e chiude con queste parole: “La buona scuola esiste già, in tutta italia. Ma lo Stato deve adesso fare in modo che questo patrimonio diventi sempre più diffuso e ordinario. Per far sì che nessuno studente resti indietro.” E, aggiungerei, nessun docente: la formazione digitale degli insegnanti è indispensabile non perché sia indispensabile usare la tecnologia in classe — non lo è affatto, nulla sostuisce un dialogo educativo efficace — ma per trovare modi diversi e nuovi di veicolare agli studenti le nostre conoscenze e competenze ed aiutarli a farle proprie, aiutarli a imparare non solo con un metodo, ma con il migliore metodo possibile per ciascuno di loro. In questo, le nuove tecnologie sono sicuramente uno strumento estremamente pratico, flessibile ed accattivante sia per diversificare il modo in cui noi docenti veicoliamo i nostri contenuti che per permettere agli studenti di sperimentare modi diversi di apprendere, trovando strade personali (e, di conseguenza, più efficaci) di migliorare lo studio e raggiungere positivamente gli obiettivi didattici. Più divertimento, meno stress, più risultati: il digitale, dentro e fuori dalla classe, è un motore importante per un cambiamento ormai indispensabile.
Aspettiamo quindi di vedere cosa vorrà fare ora lo Stato per valorizzare il lavoro di tantissimi di noi nella comunità educativa digitale, AD, docenti, studenti, per non spegnere l’entusiasmo e la voglia di fare che sono la base positiva del PNSD e che rispecchiano le stesse qualità dei suoi ideatori e contributori, e soprattutto del complesso di esperienze a cui essi hanno fatto riferimento. Chiediamo allo Stato di non darci (solo) fichi secchi, ma aule comode, luminose e accoglienti, calde d’inverno e fresche d’estate (in fondo stiamo parlando di utopie, mettiamoci anche questa); strumenti che funzionano, tempi flessibili, di metterci insomma nelle condizioni di avere il tempo e l’agio di poter essere artefici di questo importante cambiamento di paradigma senza essere i cocker con la lingua di fuori che siamo ora, sempre in affanno come dopo una lunga corsa che sembra non finire mai.
Pamela Gallio
per il Comitato Scuola di Possibile
Siete AD soddisfatti o riottosi? Siete docenti digiuni di tecnologia e felici di esserlo? Siete apocalittici o integrati? Vorremmo ascoltare le vostre esperienze di docenti digitali e non: scriveteci all’indirizzo scuola@possibile.cvacan[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]