[vc_row][vc_column][vc_column_text]Con decreto n. 150 del 7 aprile 2020, i ministri De Micheli, Lamorgese, Di Maio e Speranza, hanno ritenuto di poter escludere dalla definizione di “porto sicuro” (POS, Place Of Safety) i porti italiani, per i salvataggi effettuati da unità navali battenti bandiera straniera effettuati al di fuori dell’area SAR italiana, per tutta la durata dello stato di emergenza sanitaria deliberato il 31 gennaio 2020, quindi a tutto il 31 luglio 2020.
Le motivazioni, indicate nelle premesse, sono confuse e contraddittorie. Non si comprende, infatti, se il provvedimento viene — formalmente: sia chiaro - adottato per tutelare la salute dei naufraghi o dei cittadini italiani.
Prima, infatti, si dice che fornire questi “luoghi sicuri” comprometterebbe la funzionalità delle strutture sanitarie, logistiche e di sicurezza nazionali. Poi però si afferma anche che alle persone soccorse, fra le quali non può escludersi la presenza di soggetti positivi al virus, deve essere assicurata l’assenza di minaccia per la propria vita, il soddisfacimento delle necessità primarie e l’accesso a servizi fondamentali. Poi ancora che è necessario porre in essere ogni misura necessaria per contenere il rispetto delle disposizioni di contenimento legate all’emergenza sanitaria e quindi disporre misure straordinarie per la prevenzione del rischio del contagio (quindi per i cittadini).
Per questo motivo si ritiene, non si capisce in base a quale principio, se non quello millenario dello scaricabarile, che le attività di soccorso da attuarsi nel porto sicuro debbano essere assicurate dal Paese di cui le navi battono bandiera.
Anzitutto il decreto nasce con una clamorosa contraddizione in termini.
Se si premette che è in corso una pandemia (“ritenuto che… la stessa Agenzia sanitaria dell’ONU ha dichiarato che la diffusione del virus SARS-COV‑2, agente responsabile della forma morbosa — ha una diffusione pandemica non potendosi quindi escludere la sua circolazione in nessun continente o regione geografica del mondo”) allora nessun porto è sicuro.
Se tutti i porti sono nella medesima condizione sanitaria, non c’è alcun motivo, secondo le convenzioni internazionali, per negare questo status, tanto meno con decreto, ai propri porti.
E non esiste alcuna giustificazione logica, data la premessa, nel ritenere che i naufraghi debbano essere portati nei porti dei Paesi di cui le navi soccorritrici battono bandiera.
Anche in questo caso c’è una contraddizione in termini: se la nave soccorritrice fosse italiana, i porti diverrebbero automaticamente sicuri dal punto di vista sanitario?
Invece le conseguenze sostanziali del decreto sono molto chiare.
Logica vorrebbe che, alla luce del testo, se esiste pandemia e nessun porto è sicuro per definizione, i naufraghi debbano essere lasciati annegare.
Ma se ciò non è, il porto sicuro è quello più vicino, con le caratteristiche socio-politiche minime, cioè che non sia zona di guerra (le guerre pare stiano proseguendo, nonostante i nostri decreti).
E le conseguenze pratiche delle premesse citate sono la presenza massiccia di persone in un luogo ristretto, la nave, con la quasi matematica certezza del contagio collettivo se solo uno dei naufraghi è positivo al virus, cioè un rischio per quelle persone ben più grave dello sbarcare in un paese dove è in corso la pandemia.
Insomma, la resa totale dal punto di vista politico e culturale al salvinismo, come è già stato scritto.
La sostanza, a mio avviso, è che questo decreto è quanto di più disumano sia mai stato prodotto da un governo italiano dopo le leggi razziali del 1938, con le annesse conseguenze.
Con tutta la buona volontà, non riesco a pensare ad un altro termine di paragone.
E già mi aspetto fior di appelli, da parte di chi sta, in Parlamento e fuori, con i partiti e i gruppi parlamentari di appartenenza dei firmatari, utili solo a lavare coscienze e poltrone con l’amuchina.
Vergogna.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]