#antifa: come fare a pezzi la narrazione fascista

Una guida per rispondere ad alcune parole e luoghi comuni che circolano con insistenza e che si rivelano infondati, strumentali, propagandistici. Argomenti di destra - estrema, a volte - che vanno a comporre una vera e propria narrazione sessista, discriminatoria e razzista, che in molti casi sa di apologia e di propaganda fascista e come tale viene rivendicata.

[vc_row][vc_column][vc_column_text css=”.vc_custom_1505916610565{margin-top: 20px !important;}”][/vc_column_text][vc_column_text]Una gui­da per rispon­de­re ad alcu­ne paro­le e luo­ghi comu­ni che cir­co­la­no con insi­sten­za e che si rive­la­no infon­da­ti, stru­men­ta­li, pro­pa­gan­di­sti­ci. Argo­men­ti di destra — estre­ma, a vol­te — che van­no a com­por­re una vera e pro­pria nar­ra­zio­ne ses­si­sta, discri­mi­na­to­ria e raz­zi­sta, che in mol­ti casi sa di apo­lo­gia e di pro­pa­gan­da fasci­sta e come tale vie­ne rivendicata.

Non rispon­dia­mo alla vio­len­za con la violenza.

Rispon­dia­mo con fer­mez­za al ses­si­smo e al raz­zi­smo e al fasci­smo che ritor­na e che la poli­ti­ca (e non solo: pen­sia­mo alle col­pe del­la fin­ta infor­ma­zio­ne) ripren­de sen­za curar­si del­le conseguenze.

Non attac­chia­mo le per­so­ne, ma le ban­die­re sba­glia­te che han­no deci­so di por­ta­re, come spie­ga bene Emc­ke in “Con­tro l’odio”, un libro che dovreb­be­ro tut­ti leg­ge­re pri­ma di ‘com­men­ta­re’.

Non accet­tia­mo l’arroganza, pre­fe­ria­mo la spie­ga­zio­ne.

Esse­re cor­ret­ti è giu­sto, esse­re buo­ni pure, esse­re stron­zi pro­prio no. Per­ché gli stron­zi fan­no male a tut­ti ma, soli­ta­men­te, fan­no più male alle per­so­ne più fra­gi­li. L’essenza dell’essere stron­zi, in fon­do, non è altro che questa.

Una let­te­ra, una paro­la, una spie­ga­zio­ne. Con que­ste sche­de di faci­le con­sul­ta­zio­ne si può rispon­de­re a que­sta nar­ra­zio­ne tos­si­ca con un sem­pli­ce link, che spie­ga inven­zio­ni, distor­sio­ni e provocazioni.

Per evi­ta­re di cade­re nel­la trap­po­la di rima­ne­re avvi­ta­ti in discus­sio­ni che die­tro al velo del­la pre­sun­ta razio­na­li­tà nascon­do­no le più bece­re ideo­lo­gie, acco­mu­na­te da un trat­to distin­ti­vo: dare la col­pa, pren­der­se­la con le mino­ran­ze, che sia­no pre­sun­te (le don­ne), rea­li (gli immi­gra­ti, gli omo­ses­sua­li) o che sia­no quel­le con­tro cui la sto­ria si è sem­pre acca­ni­ta (gli ebrei, che non man­ca­no mai).

#anti­fa sta per anti­fa­sci­sta, ma anche per #anti­fa­ke e #anti­fa­na­ti­smo. Alcu­ni pos­so­no soste­ne­re posi­zio­ni fasci­ste, sen­za saper­lo e nem­me­no ren­der­se­ne con­to. Ma non è una buo­na ragio­ne per giustificarli.

Un lavo­ro cul­tu­ra­le, svol­to con toni misu­ra­ti ma irre­pren­si­bi­li, e con un meto­do rigo­ro­so dal pun­to di vista scien­ti­fi­co. E sen­za paura.

Comin­cia­mo con la K di Kaler­gi e del suo pre­sun­to pia­no, con la I di Inva­sio­ne e con la G di Gen­der. Tre argo­men­ti che si ten­go­no ine­vi­ta­bil­men­te assieme.

[LEGGI “G COME GENDER”]

[LEGGI “I COME INVASIONE”]

[LEGGI “K COME KALERGI”]

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