I docenti precari della scuola non ricevono lo stipendio da settembre. Contrariamente a quanto dichiarato dal Ministero su una emissione speciale che avrebbe dovuto aver luogo prima il 13 novembre, poi slittata al 16 e infine prevista per il 20, i docenti sono rimasti con un palmo di naso.
Ad una iniziativa della FLC CGIL NAZIONALE il Direttore Generale delle risorse umane e finanziarie dott. Greco e il Capo Dipartimento per il sistema educativo di Istruzione e di Formazione del MIUR dott.ssa De Pasquale ci hanno confermato che le somme fin qui erogate copriranno fino all’80% degli stipendi dovuti mentre per il mese di novembre si parla chiaramente di incapienza: non ci sono soldi! Il Ministero continua a rimandare di data in data l’ordine per effettuare i pagamenti, cosa tanto più inaccettabile se pensiamo ai soggetti colpiti dal mancato provvedimento. Il diritto ad una (adeguata) retribuzione è garantito dalla Costituzione indipendentemente dalla tipologia di contratto. I precari di certo non possono vivere d’aria, ci sono bollette mutui e affitti da pagare.
Occorre anche ribadire la necessità di superare il sistema attualmente utilizzato per il pagamento delle supplenze, che pur avendo liberato le scuole dal calcolo e da altre incombenze, tuttavia non funziona: non solo tecnicamente (il SIDI è lento e farraginoso oltre che soggetto a defatiganti inefficienze e interruzioni) ma anche come costruzione basata su uno stanziamento cronicamente insufficiente e gravato da lentezze e controlli del MEF improduttivi e penalizzanti.
Sono anni che vi sono ritardi nel pagamento degli stipendi dei supplenti ( rispetto ai quali il Miur attribuiva la responsabilità alle segreterie delle scuole…) ed ora che è stata modificata la procedura siamo nuovamente nella stessa situazione, se non altro è evidente il motivo: la mancata copertura finanziaria.
Intanto, a completare il quadro dei motivi di scontento a cui il sindacato chiede che si dia una risposta immediata, arrivano i tagli ai Centri di assistenza fiscale e ai patronati, previsti dal disegno di legge di stabilità presentato dal Governo e confermati con qualche modifica dalla Commissione bilancio del Senato. A rimetterci saranno soprattutto le fasce più deboli dei cittadini. Gli emendamenti approvati, confermano per i CAF un taglio a regime di 100 milioni, pari al 30% delle attuali entrate, mentre per i patronati il taglio prospettato di 28 milioni è già a regime, e va a sommarsi a quello di 35 milioni già operato nel 2014 (che era stato previsto come definitivo nel quadro di una riforma che il governo non ha portato avanti), per una riduzione complessiva che va oltre il 15% dei bilanci.
Le ripercussioni sulle attività e sul personale saranno notevoli, con pesantissime ricadute sui servizi erogati. I cittadini si rivolgono a CAF e patronati per la dichiarazioni dei redditi, per la compilazione dei modelli ISEE e per molti altri servizi di natura fiscale e contabile: l’85% delle domande di pensione passa attraverso i patronati, per un ammontare complessivo annuo di milioni di pratiche previdenziali o assistenziali che vengono messe fortemente a rischio.
E’ necessario cancellare subito questa misura che, se approvata, danneggerebbe gravemente una rete di servizi diffusi sul territorio, a garanzia di tutti i cittadini e in particolare dei più deboli. I tagli prospettati, infatti, rischiano di compromettere l’importante funzione sociale che da sempre svolgono patronati e i CAF.
I parlamentari della componente AL-Possibile, fedeli all’impegno di “promuovere tutto ciò che non è rappresentato nella politica italiana e, in particolare, le denunce sociali e politiche più importanti”, sono stati investiti della questione perché si adoperino per cancellare questa misura iniqua.