“Chi si crede di essere?”. Dalle pagine di Facebook Pierluigi Bersani lancia una dura critica al ministro Boschi riguardo la sua uscita sui partigiani “veri e finti”.
Bersani si accorge che siamo a una gestione politica “sconsiderata e avventurista”, parla della Riforma del Senato come di una mezza riforma, in nome della quale “si rischia di creare una frattura insanabile nel mondo democratico e costituzionale”. Auspica, in stile bersaniano, “un freno di quelli buoni”, da usare subito.
A ruota, dalle stesse social-pagine, con uno stile più cuperliano, segue, appunto, Gianni Cuperlo, che chiede che vengano lasciati stare partigiani, Ingrao e Berlinguer.
Le dichiarazioni sono più o meno riportate da tutti i giornali, quello che non compare è la valanga di commenti, tutti negativi, che si scatenano in pochi minuti.
Chi critica ferocemente perché è stata attaccata la ministra e la riforma del Segretario del loro Partito, chi li accusa di non essere più credibili, se non addirittura ridicoli, nel continuare a stupirsi e a lanciare gli ennesimi penultimatum.
Va detto che Cuperlo ha passato molto tempo a rispondere, ma con scarsa efficacia. Alla fine della giornata entrambi ne escono a pezzi, attaccati da tutti i fronti, pro e contro il governo.
Mi chiedo perché ridursi così. Come si faccia a pensare che si possa tornare indietro, che il Partito Democratico possa prima o poi tornare sui passi della sua Storia. E, anche se ciò avvenisse in un futuro non certo prossimo, a che prezzo?
Quali altre umiliazione dovranno affrontare le donne e gli uomini che hanno orgogliosamente militato in una storia di sinistra e che oggi si ritrovano a dover far finta di non vedere Verdini raggiante al loro fianco; di distrarsi per non accorgersi che quello che tiene in piedi tutto sono solo patti di potere e di affari e che tutti, politici compresi, sono prestanome di qualcun altro; ad arrampicarsi sugli specchi per non ammettere che dopo i sindacati, i lavoratori, la scuola, la Costituzione, ora è la volta di spaccare e disinnescare l’ANPI, presidio scomodo per chi preferisce non ricordare che l’antifascismo non è qualcosa da relegare al passato e che il fascismo va riconosciuto e combattuto nella sua essenza, anche quando la camicia che si indossa non è nera.
Non si torna indietro ed è triste il destino di chi non vuole ammetterlo, di chi si fa complice con il proprio silenzio, con i dibattiti asfittici e i penultimatum senza conseguenze e che non si senta chiamato dalla Storia di nuovo e, ancora, a Resistere, a prendere parte, a farsi partigiano.