Presidente Draghi, in questo momento così drammatico, chi si occupa delle fragilità?
In queste ore si stanno moltiplicando, giustamente, gli appelli per anticipare le vaccinazioni ai “soggetti fragili”, intendendo come tali non solo le persone a rischio a causa del dato anagrafico, ma anche quelle a rischio per gravi condizioni patologiche.
Sono considerazioni ineccepibili, tanto più di fronte allo sconcertante dato diffuso ieri dal Corriere della Sera, che vede i soggetti più a rischio essere ad oggi tra quelli meno vaccinati.
Ma c’è un’altra fragilità che non si sta tenendo in adeguata considerazione e per la quale non c’è alcun vaccino. Ed è quella che si sta diffondendo sempre più frequentemente dentro le case, nelle famiglie, nella mente delle persone.
La fragilità personale e umana che sta mietendo silenziosamente tante vittime e tanto dolore.
La mancanza di lavoro, di prospettiva, di socialità, di spazi.
I motivi sono i più diversi e spesso intrecciati tra loro.
Cosa succede nelle case, non lo sappiamo. Non lo raccontano i DPCM.
Ma un’idea possiamo farcela.
I medici, per esempio, ci raccontano che per la prima volta nella storia, i reparti di neuropsichiatria pediatrica sono pieni di bambini e adolescenti che hanno tentato il suicidio e atti di autolesionismo.
Il costante bollettino di guerra sui femminicidi ci racconta le violenze crescenti, di case che in lockdown sono diventate carceri e poi, sempre più spesso, bracci della morte.
L’aumento di consumi di alcool e di psicofarmaci ci racconta molto, senza bisogno di dichiarazioni.
Non aiuta certo la cultura di un Paese (dove la cultura fatica a sopravvivere), che ritiene ancora il disagio psichico qualcosa di cui vergognarsi, da nominare sottovoce, da colpevolizzare.
La retorica del “ se vuoi, puoi farcela”, viene letta e vissuta al contrario: se non ce la fai, la colpa è tua, che evidentemente non lo vuoi abbastanza.
E invece a volte non ce la fai. E non ne hai alcuna colpa. E hai bisogno che qualcuno si occupi di te.
Ma chi si occupa delle fragilità, mentre tutta l’attenzione è rivolta altrove?
Dove si va quando non è un virus quello che ti sta divorando?
Quando i servizi sociali non arrivano o non sono adeguati?
Quando su di te fanno affidamento, altre, troppe, persone e sai che se crolli tu viene giù tutto?
Quando non sai dare un nome a quello che provi?
Quando davanti vedi solo un muro?
Quando sei solo o troppo stretto, quando ti manca l’aria, quando c’è troppo buio?
Quando sei troppo piccolo, o troppo spaventato, o troppo debole per chiedere aiuto?
E a chi, chiederlo, poi?
Dove sono i paladini della Famiglia, che si fanno sentire solo quando sei un embrione o, agonizzante, in fin di vita?
Dove sono quelli che dovrebbero lottare contro i privilegi di classe e non vedono che il supporto psicologico è un inaccettabile privilegio riservato solo a chi può permetterselo?
Se è sacrosanto occuparsi dell’emergenza sanitaria e di quella economica, stiamo drammaticamente sottovalutando quella sociale, con conseguenze ogni giorno più devastanti.
Tutto si tiene insieme e tutto dovrebbe essere affrontato con la stessa attenzione e sollecitudine.
Vorrei tanto, Presidente Draghi, che, nel continuo rumore di fondo di una politica sempre meno all’altezza della situazione, si elevasse forte questo diffuso, ingabbiato, grido di dolore e che fosse ascoltato con più nettezza. E che, senza più indugi, salisse in cima alle priorità del suo Governo la garanzia di sostegno a ogni forma di fragilità e la costruzione di una forte e articolata rete di sostegno psicologico e psichiatrico.
Gratuito, organizzato, accessibile a tutte e tutti. Per tutte le età.
È ogni giorno più necessario e urgente, quanto la somministrazione dei vaccini.