Lo scorso gennaio, dopo la visita di Putin in Serbia (17 gennaio), alla facoltà di filosofia di Belgrado l’intero corpo docente firmò una lettera di sostegno alle proteste in corso in quel periodo, riconoscendo “molti segni di dittatura nella condotta del governo”. Un’adesione alla protesta che percorreva tutto il Paese, da parte degli intellettuali, diede maggiore forza e motivazione a quella che era sembrata essenzialmente una lotta per la sopravvivenza. Il bagno di folla per il capo del Cremlino e gli accordi economici firmati rinviarono solamente di pochi giorni la ripartenza più accesa e vigorosa delle proteste, frustrando così il tentativo da parte del presidente Vučić di usare a fini interni la visita. Da un parte l’invocazione di un governo tecnico (previa dimissione dell’esecutivo), dall’ altra la minaccia del Presidente di elezioni anticipate, in mezzo il mondo accademico che iniziò a dissociarsi in modo chiaro dal potere. I cortei coinvolsero le principali città serbe fino alla regione della Vojvodina, dove vennero rivolte, per la prima volta, accuse anche ad RTS (la tv pubblica) colpevole di oscurare la protesta nei notiziari. La lettera di sostegno alla protesta dei docenti di filosofia:
I cittadini serbi hanno perso sul piano politico, economico e delle libertà culturali, che sono alla base delle democrazie europee. Le istituzioni e l’attuazione delle leggi stanno collassando, mentre l’interesse generale è sottomesso agli interessi personali e di partito. Con inutili frequenti elezioni straordinarie e migliaia di emendamenti, il sistema parlamentare è stato trasformato in un’assurdità, mentre la società viene spinta alla violenza politica. Con le persecuzioni sui tabloid, con minacce, detenzioni, processi giudiziari e violenza, si sta cercando di intimidire e umiliare i cittadini serbi. Il governo si rifiuta di dare risposte alle domande della gente, ed i suoi membri insultano tutti coloro che osano esprimere un’opinione diversa. L’attuale governo sta usando la propaganda nel tentativo di nascondere il fatto che la Serbia è una delle economie con la crescita economica più lenta in Europa negli ultimi cinque anni, e che i salari sono inferiori solo in Albania e Macedonia. Insieme agli altri cittadini impegnati nelle proteste, sappiamo molto bene che una Serbia diversa, migliore di quella sistematicamente distrutta dall’attuale governo, è possibile.
A far cessare la protesta è stato il Covid-19 e la proclamazione dello stato di emergenza che si è concluso lo scorso 7 maggio. L’emergenza però continua per la comunità scientifica e per i media. Da quando Vučić, ex ministro dell’informazione del governo Milošević, è al potere (8 anni) la Freedom House ha declassato la Serbia da democrazia a regime ibrido. Al 93-esimo posto per libertà di stampa. L’indipendenza delle istituzioni scientifiche è in pericolo: l’Istituto di Filosofia e Teoria Sociale di Belgrado (IFDT), baluardo del pensiero critico, liberale e di sinistra dei Balcani, già dal ’68 jugoslavo e durante la resistenza al governo Milošević, sta subendo le ingerenze del governo serbo. Proprio per il ruolo storico che l’IFDT ha come centro del pensiero critico e per il sostegno al movimento di protesta contro le tendenze autoritarie e antidemocratiche del governo, partito lo scorso anno e interrotto solo dal virus. A nominare il Consiglio di vigilanza dell’Istituto è stato il governo (nel novero dei nominati diversi politici vicini ai partiti di estrema destra, inclusi esponenti che sostenevano la sospensione dei finanziamenti all’Istituto). Il nuovo Direttore del Consiglio di vigilanza ha esordito minacciando la sospensione degli stipendi, tentando di limitare la libertà del Comitato scientifico, lasciando i giovani ricercatori sospesi fra la Ricerca e la ricerca di un’altra occupazione. L’Istituto per ritrovare l’indipendenza ha bisogno che le richieste contenute nell’appello vengano esaudite: la sostituzione del Consiglio di vigilanza con esperti scientifici, l’elezione di un nuovo direttore e l’impossibilità per il governo di imporre per decreto i rappresentanti dell’IFDT.
Appello alla solidarietà L’Istituto di Filosofia e Teoria Sociale di Belgrado (IFDT) è in pericolo L’Istituto di Filosofia e Teoria Sociale di Belgrado (IFDT), fondato dalle voci della dissidenza jugoslava del 68 e, in seguito, fulcro della resistenza alle politiche del presidente Milošević, è da tempo considerato un pilastro del pensiero critico, liberale e di sinistra nei Balcani. Il professor Zoran Đinđić, primo capo del governo serbo nell’era post-Miloševic (fino al suo assassinio nel 2003), ha lavorato all’Istituto per diversi anni. A causa della suo ruolo storico in quanto centro di dissidenza e critica, e del suo sostegno pubblico al movimento sociale dello scorso anno contro le tendenze autoritarie e antidemocratiche del governo serbo, l’IFDT è stato vittima delle misure repressive dell’attuale governo serbo. Il governo ha recentemente nominato il nuovo Consiglio di vigilanza dell’Istituto, composto da diverse personalità politiche molto controverse, tra cui il presidente del Consiglio, Zoran Avramović, che negli anni Novanta ha ricoperto posizioni di primo piano nel partito di estrema destra di Vojislav Šešelj, condannato dal Tribunale dell’Aia per crimini contro l’umanità. Avramović ha espresso chiaramente il suo punto di vista sull’Istituto quando ha sostenuto la sospensione dei finanziamenti per il Centro regionale dell’IFDT di Novi Sad. Le misure repressive messe in atto dal nuovo Direttore — minacce di sospensione degli stipendi, tentativi di limitare la libertà del Comitato scientifico dell’Istituto, giovani ricercatori sospesi in un limbo, ecc. — costituiscono segnali chiari del destino riservato all’istituto. La democrazia, e in particolare la vita della comunità scientifica e pedagogica, sono sempre più minacciate in Serbia e i media sono sottoposti a un controllo sempre più stringente. L’attuale tentativo di mettere a tacere e forse eliminare un’istituzione accademica autonoma come l’IFDT indebolisce ulteriormente l’opinione pubblica democratica del paese. La libertà di opinione e di pensiero critico in Serbia dipende ora dalla solidarietà europea dei colleghi e degli intellettuali, come già negli anni Ottanta quando Jürgen Habermas, Ernst Bloch, Iring Fetscher, Oskar Negt e Albrecht Wellmer si erano mobilitati per sostenere l’Istituto. Chi avrebbe mai pensato che nel 2020 la filosofia e le scienze sociali in Serbia avrebbero dovuto essere nuovamente protette contro lo Stato? Alla luce di questi sviluppi, noi, firmatari di questo appello, chiediamo l’immediata sostituzione del consiglio di vigilanza dell’IFDT con esperti scientifici, cioè rappresentanti di una cultura scientifica aperta e democratica, e il rispetto dei desideri dei membri dell’Istituto nell’elezione di un nuovo direttore. Il governo della Serbia non dovrebbe essere in grado di imporre per decreto all’IFDT un nuovo direttore. L’Istituto deve ritrovare la sua indipendenza politica e istituzionale.
Qui l’appello in inglese https://ifdt.community/call-for-solidarity/
Qui dove si può firmare per solidarietà https://ifdt.community/call-for-solidarity-sign-here/