Prima ci si ferma, prima si riparte

Le Pic­co­le e Medie Impre­se costi­tui­sco­no oltre il 75% del tota­le del­le atti­vi­tà pro­dut­ti­ve sul ter­ri­to­rio nazio­na­le, pari a cir­ca 760mila azien­de. Chi por­ta avan­ti una pic­co­la impre­sa, maga­ri a con­du­zio­ne fami­lia­re — insie­me a lavo­ra­to­ri auto­no­mi e occa­sio­na­li – attra­ver­sa un momen­to mol­to dif­fi­ci­le, e sta mostran­do gran­di pre­oc­cu­pa­zio­ni per come le isti­tu­zio­ni stan­no gesten­do l’emergenza sani­ta­ria lega­ta al Covid-19. Quel­lo che risul­ta ormai chia­ro, è che dob­bia­mo pun­ta­re pri­ma di tut­to a non sovrac­ca­ri­ca­re il Siste­ma Sani­ta­rio Nazio­na­le, già al col­las­so nel­le pro­vin­ce più col­pi­te dall’epidemia, come Ber­ga­mo e Bre­scia ad esem­pio. Ed è anche chia­ro che l’unico modo per non arri­va­re al cedi­men­to del­le strut­tu­re sani­ta­rie è evi­ta­re il pro­pa­gar­si del con­ta­gio e con­te­ne­re il nume­ro dei posi­ti­vi al virus, al momen­to sem­pre in cre­sci­ta nel­le pro­vin­ce mag­gior­men­te col­pi­te. Per fare que­sto, le auto­ri­tà han­no dispo­sto un regi­me di qua­ran­te­na che fa acqua da tut­te le par­ti. La “qua­ran­te­na-pro­ro­ga”, la pos­sia­mo chia­ma­re: un cir­cui­to grot­te­sco in cui il Pre­si­den­te del Con­si­glio ogni gior­no fir­ma un decre­to che inclu­de qual­che limi­ta­zio­ne in più rispet­to a quel­lo fir­ma­to il gior­no pri­ma, ma mai abba­stan­za accu­ra­to per otte­ne­re risul­ta­ti effi­ca­ci in un perio­do di tem­po che con­sen­ti­reb­be di non met­te­re in ginoc­chio le cate­go­rie sopra cita­te. Per­ché allo­ra, for­se, sareb­be meglio un loc­k­do­wn seve­ro ma limi­ta­to nel tem­po, anzi­ché insi­ste­re nel tene­re aper­to quel­lo che – ine­vi­ta­bil­men­te – pri­ma o dopo chiu­de­rà, e maga­ri non a cau­sa del virus. E for­se sareb­be meglio che le impre­se chiu­des­se­ro per rispet­ta­re una qua­ran­te­na di un mese anzi­ché anna­spa­re per 2,3,4 mesi, fino a quan­do la situa­zio­ne non sarà più soste­ni­bi­le dal pun­to di vista eco­no­mi­co. E visto che tut­ti si pre­oc­cu­pa­no di ripar­ti­re, dovrem­mo anche chie­der­ci come, non solo quan­do. È meglio chiu­de­re tut­to il pos­si­bi­le per poco tem­po, con­cen­tran­do così i sacri­fi­ci in un perio­do con­te­nu­to? oppu­re voglia­mo con­ti­nua­re nell’ignavia rischian­do di taglia­re fuo­ri inte­re atti­vi­tà per un perio­do di tem­po più lun­go e – for­se – in modo irre­ver­si­bi­le? Per­ché dopo un mese, con qual­che sol­do da par­te, si pos­so­no anco­ra tene­re in pie­di le cose. Ma più a lun­go dure­rà que­sto stil­li­ci­dio, più i pic­co­li impren­di­to­ri saran­no sopraf­fat­ti, e for­se più di qual­cu­no sarà rima­sto trop­po indie­tro per poter­si per­met­te­re di rico­min­cia­re daccapo. 

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500.000 firme per la cannabis: la politica si è piantata? Noi siamo per piantarla e mobilitarci.

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Corridoi umanitari per chi fugge dall’Afghanistan, senza perdere tempo o fare propaganda

La prio­ri­tà deve esse­re met­te­re al sicu­ro le per­so­ne e non può esse­re mes­sa in discus­sio­ne da rim­pal­li tra pae­si euro­pei. Il dirit­to d’asilo è un dirit­to che in nes­sun caso può esse­re sot­to­po­sto a “vin­co­li quan­ti­ta­ti­vi”. Ser­vo­no cor­ri­doi uma­ni­ta­ri, e cioè vie d’accesso sicu­re, lega­li, tra­spa­ren­ti attra­ver­so cui eva­cua­re più per­so­ne possibili. 

I padroni dicono di no a tutto. E per questo scioperiamo.

La stra­te­gia del capi­ta­li­smo è quel­la di ato­miz­za­re le riven­di­ca­zio­ni, met­ter­ci gli uni con­tro gli altri, indi­vi­dua­re un nemi­co invi­si­bi­le su cui svia­re l’attenzione, sosti­tui­re la lot­ta col­let­ti­va con tan­te lot­te indi­vi­dua­li che, pro­prio per que­sto, sono più debo­li e più faci­li da met­te­re a tacere.
Ma la gran­de par­te­ci­pa­zio­ne allo scio­pe­ro del 13 dicem­bre dimo­stra che la dimen­sio­ne col­let­ti­va del­la nostra lot­ta, del­le nostre riven­di­ca­zio­ni, non è perduta.