Sei lavoratrici su dieci hanno retribuzioni orarie sotto la mediana. Questo è il freddo dato statistico divulgato dall’ISTAT lo scorso dicembre.
Non capita la stessa cosa con gli uomini. Fra di essi, quelli che ricevono una retribuzione inferiore alla mediana sono solo il 44%. Il dato è relativo all’anno 2016, ultimo della rilevazione. Restringendo il campo d’analisi soltanto ai nuovi rapporti lavorativi, quelli che coinvolgono donne hanno una retribuzione oraria sempre inferiore rispetto a tutti gli altri nuovi contratti stipulati nell’arco dell’anno. Non è un caso, è il divario retributivo di genere.
«Per le donne, la distribuzione delle retribuzione orarie è orientata verso livelli retributivi bassi», è scritto nel rapporto. È questa una condizione non sanabile? La pietra dura sulla quale sono scritte le statistiche ufficiali può essere scalfita, ma dipende da noi.
Il divario retributivo tra donne e uomini non è solo generato da paghe orarie più basse ma da una serie di fattori ampiamente noti (meno ore di lavoro retribuite, minore tasso di occupazione) e che le discipline sociali hanno attentamente indagato nel corso degli anni, producendo costantemente pubblicazioni scientifiche dettagliate, non ultime quelle emesse dalla Commissione europea che ha collocato la lotta al Gender Pay Gap ai primi posti della sua azione politica.
Vogliamo dedicare questo Primo maggio alla giusta paga delle donne! 1st of May, Equal Pay!
Ogni anno la Commissione celebra la Giornata Europea della Parità Retributiva (il 3 novembre) con una assidua attività informativa rivolta ai cittadini degli Stati membri al fine di renderli consapevoli delle influenze di genere nella retribuzione, nei guadagni e nei diritti pensionistici. L’European Equal Pay Day richiama l’attenzione sulle dimensioni e sull’inerzia del divario retributivo di genere, nonché sulle cause che lo determinano. Il Piano d’azione, avviato nel novembre 2017, giunge quest’anno alla verifica dei fatti. La prima delle otto principali linee di intervento contiene la raccomandazione sulla trasparenza salariale, volta a promuovere nei paesi membri una serie di misure concrete per migliorare la trasparenza delle retribuzioni.
Noi lo avevamo proposto nella scorsa legislatura, tramite un disegno di legge molto semplice e che però comporta un sforzo significativo di trasparenza da parte di tutte le aziende: rendere manifesto il divario esistente nelle retribuzioni tra donna e uomo.
In questo senso, l’opera della Commissione è stata meno incisiva mancando del tutto gli obiettivi, ovvero le promesse modifiche alla Direttiva 2006/54/CE sul principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, nel senso di rendere vincolanti il diritto dei lavoratori a richiedere informazioni sui livelli salariali e la previsione di sanzioni minime in caso di violazione del principio della parità retributiva.
Una successiva proposta di direttiva - COM(2012)614 — riguardava il miglioramento dell’equilibrio di genere fra gli amministratori delle società quotate in borsa e stabiliva l’obiettivo quantitativo del 40% di soggetti appartenenti al sesso sotto-rappresentato da raggiungere entro il 2020 (entro il 2018 nel caso di imprese pubbliche). È stata adottata in prima lettura dal Parlamento Europeo ma è rimasta bloccata in Consiglio dal veto di diversi Paesi membri dell’Unione.
Viceversa, sulla proposta di Direttiva — COM(2017)253 — relativa all’equilibrio dell’attività professionale con la vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza, è tuttora in corso il negoziato fra Parlamento UE e il Consiglio: l’urgenza di questo intervento, necessario a riportare in equilibrio il divario di genere nei livelli di occupazione (ogni anno in Italia circa 20mila donne rinunciano al proprio posto di lavoro per l’impossibilità di trovare sostegno alla genitorialità) è stata recepita dalla Commissione, che l’ha posta fra le misure prioritarie del 2019, ma evidentemente non dal Consiglio, che continua a essere campo in cui i governi praticano molto efficacemente l’ostruzionismo.
In Italia, questo approccio è stato confermato assestando un colpo letale ai congedi di paternità, lasciati per anni allo stato ‘sperimentale’ e cancellati dalla Legge di Bilancio 2019, che non prevede il rifinanziamento del fondo per sostenere l’astensione dei padri dal lavoro alla nascita dei figli.
Per questa ragione vogliamo rilanciare! Ispirati alla recente legge adottata in Islanda, vogliamo alzare il livello e proporre un nuovo testo legislativo che evolva da una semplice volontarietà della singola azienda verso un vero e proprio obbligo di legge del disvelamento del divario retributivo di genere (gender pay gap disclosure) per società, aziende pubbliche e private con più di 25 dipendenti, certificando pubblicamente la pari retribuzione di uomini e donne a parità di mansioni lavorative.
Facciamo nostra la proposta della Commissione europea di una direttiva sul miglioramento dell’equilibrio di genere tra gli amministratori non esecutivi delle società quotate nelle borse — comunemente nota come proposta “Women on Boards” — e nei livelli direzionali delle aziende pubbliche.
È infine necessario revisionare le norme che disciplinano i permessi e i congedi a tutela della maternità e della paternità in modo da consentire ad entrambi i genitori di fare domanda di congedo parentale o di astensione facoltativa per lo stesso periodo o per periodi diversi in modo da potersi assistere l’un l’altra nella cura, alla nascita dei propri figli.