Abbiamo camminato insieme per anni con sulle labbra il grido “i diritti quando non sono di tutti si chiamano privilegi”. L’abbiamo gridato ai Pride infinite volte rivolgendoci alle persone eterosessuali e a tutti coloro che avremmo voluto avere al fianco. Senza se, senza ma, senza però.
Cosa avreste detto se la legge sulle unioni civili avesse riconosciuto le relazioni amorose tra donne ma non quelle tra uomini? Una discriminazione di genere tradotta in un urlo che avrebbe superato il muro del suono. Oggi sta accadendo questo. Con l’approvazione del ddl Cirinnà le coppie senza figli superano la frontiera, mentre i figli di altri rimangono impigliati sui cancelli ai confini della legalità.
La tesi del “passo intermedio” è fragile nello sguardo di chi sa perfettamente che il contesto europeo e le pressioni dei Paesi oltreoceano avrebbero presto costretto ad un passaggio legislativo più inclusivo. Sono lì al cancello, in fila sui palchi, nelle foto sui giornali i nostri piccoli a cui un genitore è negato, privati di un asse ereditario, degli alimenti in caso di separazione, della dignità dei loro affetti. Sono nelle sale d’attesa degli ospedali dove uno dei loro genitori non è ammesso, sono nelle favole censurate e tra i lavoretti “tradizionali” chini sui loro piccoli. banchi. Sono nella delega quotidiana della madre o del padre sociale che li aspettano fuori di scuola, sono lì con gli occhi increduli fermati alle dogane negli aereoporti. Tra tutte queste immagini il ricordo del vostro urlo ha perso voce: “i diritti quando non sono di tutti si chiamano privilegi”. Privilegi non diritti.