Secondo Repubblica, l’avvocata Giulia Bongiorno, che difende l’ex ministro Salvini nel processo per il caso Gregoretti, nel quale è imputato di sequestro di persona per aver ordinato di trattenere a bordo di quella nave i naufraghi che vi erano ospitati, sarà fondata sulla condivisione di quella decisione con il governo intero, composto da Movimento 5 Stelle e Lega, e in particolare con l’allora presidente del consiglio Giuseppe Conte.
A suffragio della tesi, un conferenza stampa del dicembre 2019 in cui Giuseppe Conte ribadiva la posizione del governo, o meglio di quel governo “gialloverde”: «prima i ricollocamenti e poi lo sbarco».
In effetti è difficile negare che tutta la comunicazione governativa, e le conseguenti scelte politiche, di allora, fossero fondati su questo assunto, così come, in generale, l’azione politica gialloverde in tema migratorio fosse rappresentata dai decreti sicurezza a firma Salvini ma condivisi da tutti.
Questa circostanza non esclude certamente la responsabilità di Salvini, ma è chiaro l’obiettivo di allargare il numero degli imputati nel processo, imputazioni che però dovrebbero essere necessariamente confermate dal voto del Parlamento, previa la stessa procedura utilizzata per Salvini. Con tutte le conseguenze del caso, perché se il Parlamento negasse il processo a Conte o ad altri ministri coinvolti, come Toninelli, sostenendo insindacabilmente che si trattava di decisioni “prese per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo”, come recita la norma, allora sarebbe agevole sostenere che è in corso una persecuzione politica mirata, e magari uscire assolti da un’accusa più che fondata.
Tutti colpevoli, nessun colpevole.
Il punto, in diritto, è che l’avvocata Bongiorno ha ragione a metà. Ha ragione quando dice che quelle decisioni furono prese, sostenute e messe in atto dall’intero governo e non solo da Salvini, perché questo è sotto gli occhi di tutti, perché la persecuzione delle ONG, che qualcuno che ancora fa il ministro definì “taxi del mare”, non veniva solo dalla Lega. Ha torto quando sostiene che furono decisioni politiche legittime, perché, semplicemente, nessuna decisione politica può violare i diritti umani fondamentali. Tutto questo dovrebbe farci riflettere.
Prima di tutto sul fatto che il diritto, in questo caso, con queste norme, cioè per reati contestati a un ministro, dipende dalla maggioranza parlamentare e sull’ipocrisia di chi, come il Movimento 5 Stelle, ha votato in un modo opposto in un caso identico, per la nave “Diciotti”, perché era al governo con Salvini.
Poi, però, qualcuno dovrebbe anche fare i conti con il suo passato molto prossimo, senza soluzione di continuità, dal quale non ha mai preso le distanze, per il quale non si è mai scusato, neanche nel firmare le blande modifiche ai decreti sicurezza, che non spostano di una virgola il loro impianto, sostenendo di aver solo adempiuto alle osservazioni del Presidente della Repubblica.
Altri, teoricamente a sinistra, dovrebbero spiegare al Paese, ai loro elettori, ma soprattutto ai naufraghi della Gregoretti, i loro silenzi, e come possano considerare uno statista chi da premier ha firmato i decreti sicurezza e ha posto in essere misure odiose nei confronti di persone inermi, indifese, sopravvissute a un naufragio e a torture, e spiegare anche perché, con la stessa ipocrisia del Movimento 5 Stelle, non prendano atto di questi fatti gravissimi, e ne traggano le dovute conseguenze, solo perché ora sono al governo.
L’unico modo sarebbe quello di mettere tutti i ministri coinvolti di fronte alle loro responsabilità, perché questo dovrebbe accadere in uno Stato di diritto. Spoiler. Non accadrà.
Giuseppe Civati
Giampaolo Coriani