[vc_row][vc_column][vc_column_text]«Sono le comunità locali che hanno risorse umane da mettere in campo per l’accoglienza». Questa volta, insieme a Giuseppe Civati, siamo a Breno, in Valcamonica, una di quelle valli dove raramente la sinistra riesce a toccare la palla. Eppure è da anni che, grazie al lavoro di sindaci, volontari e operatori è stato creato un sistema di accoglienza che, come tanti altri in Italia, dovrebbe essere studiato e replicato in tutte le valli della nostra penisola. I principi, in fondo, sono semplici:
- tante ore di insegnamento della lingua, in classi ridotte, spesso aperte a chiunque voglia partecipare;
- no strutture collettive, solo appartamenti, così che la presenza degli ospiti sia velocemente metallizzata, mentre invece i grandi centri vengono inevitabilmente definiti “problemi” e sono quindi il miglior modo per non creare relazioni;
- inclusione sociale attraverso il lavoro;
I risultati, tanto a Breno quanto nel vicentino dove saremo il giorno successivo, sono sorprendenti. Si va da un terzo alla metà di inserimenti lavorativi (per quanto precari: la precarietà non fa discriminazioni) al termine del percorso di inclusione. Risultati straordinari, che spesso vengono affiancati da percorsi di accompagnamento verso la piena autonomia, non finanziati direttamente dallo Stato, ma da risorse degli enti gestori.
«Il primo scoglio che ci mette di fronte il decreto Salvini — ci raccontano gli operatori — riguarda alcune protezioni umanitarie che sono in scadenza: non abbiamo idea di che fine potranno fare queste persone». C’è molta preoccupazione, da parte di tutti. La “polverizzazione” della protezione umanitaria (sostituita da altre protezioni che rischiano di essere un gran pasticcio) così come lo stravolgimento dello Sprar con l’esclusione dei richiedenti asilo sono gli argomenti di maggiore preoccupazione, come raccontiamo anche ne «Il capitale disumano». «Le uniche emergenze stanno nell’accesso al sistema, nel fare richiesta d’asilo, e nell’uscita dal sistema, soprattutto per i soggetti vulnerabili». Di questo il decreto non si preoccupa, ma si occupa, nella maniera peggiore. «Eppure — ci spiegano — se qualcuno teme un “problema sicurezza” legato all’immigrazione il modo per risolverlo dovrebbe essere la piena conoscenza degli ospiti, non la loro reclusione e marginalizzazione in centri di grande dimensione».
Franco Balzi è diventato sindaco di Santorso (Vicenza) quattro anni fa. La mattina del suo insediamento, bevendo un caffè al bar, ha ricevuto la notizia: un albergo oramai in disuso era diventato da poche ore un Cas, con decine di ospiti all’interno, senza che il prefetto facesse nemmeno una telefonata. Franco ne capisce da subito tutte le criticità e si attiva, insieme ad alcuni funzionari comunali, per coinvolgere i comuni limitrofi, fino alla firma di un protocollo operativo e all’adesione allo Sprar. Ora Franco rivendica senza alcun timore tutto il suo lavoro, tanto dal punto di vista culturale quanto amministrativo. «Non so come andranno le elezioni l’anno prossimo — ci confessa -, ma quel che so è che abbiamo lavorato bene, abbiamo fatto le scelte giuste per tutti».
Alcuni di questi alberghi li ho visitati due anni fa insieme a IlPost. Nella testa e nella propaganda di Salvini erano alberghi di lusso, a quattro stelle e con piscina. La realtà era ben diversa: la pacchia non era quella dei richiedenti asilo, ma dei gestori.
L’Hotel Domus Adele, di Vicenza, era un due stelle che ha cominciato ad accogliere migranti nel 2011 quando gli affari andavano male e funziona come centro di primo arrivo per i richiedenti asilo; l’Hotel Il Canova di Sandrigo, in provincia di Vicenza, è stato un quattro stelle, poi ha chiuso per diversi problemi anche strutturali che non lo rendevano utilizzabile come un quattro stelle, è stata avviata una procedura fallimentare e dopo qualche anno è stato rilevato e gestito da una società che oggi ci ospita 102 migranti (tra loro una decina di bambini): non c’è alcuna piscina e c’è il wifi.
Anche in Valcamonica le cose non sono andate molto diversamente: l’emergenza nord Africa del 2011, un albergo in montagna, il protagonismo di alcuni sindaci. Mentre c’era chi speculava politicamente su questo tipo di accoglienza, grazie anche all’immobilismo del governo, alcuni enti locali — governati da amministratori più sensibili e lungimiranti — hanno fatto molto negli scorsi anni. Alle volte per ragioni puramente amministrative («meglio uno Sprar che un Cas»), alle volte per ragioni umanitarie, alle volte per un mix delle due componenti: non importa, perché quel che importa è governare i processi, è assumersi la responsabilità di farlo.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]