Un tuffo nel passato, un cammino a ritroso che ci porta tra l’inizio del Novecento e gli anni ’80 con una sortita nell’epoca del berlusconismo. Il cambiamento sta assumendo la forma di una passeggiata nella storia. Il sovranismo fa infatti rima con protezionismo, in ossequio allo slogan “prima gli italiani”, anche se si parla di prodotti. Così tutto quel che viene dall’estero deve essere osteggiato. A costo di mettere i dazi, perno del protezionismo. Sul fronte interno, invece, la ricerca del consenso facile porta dritti a solleticare la pancia del Paese. E ideare un bel po’ di misura a favore di evasione, con la promessa troneggiante del vecchio caro condono, su cui cucire addosso un nuovo abito. Dotato di un marchio accattivante, come “pace fiscale”. Ma che tolta l’etichetta si scopre per quello che è: un condono.
La politica del governo Lega 5 Stelle è tutta spinta sulla ricerca dell’applausometro come metro di giudizio. Con il rischio di danneggiare l’economia dietro trovate apparentemente pop. Mentre infuria la battaglia mediatica salviniana sulla pelle dei migranti, è iniziata una guerra vera: quella commerciale. Il presidente statunitense, Donald Trump, l’ha dichiarata a tutti. Europa compresa. La risposta muscolare dell’Ue è stata inevitabile ma l’Italia rischia di pagare un prezzo salatissimo. Il saldo commerciale (la differenza tra esportazioni e importazioni) si è chiuso con un +51,6 miliardi di euro nel 2016. E nei mesi successivi il trend è proseguito a favore dell’export capace di trainare la ripresa, rispondendo in parte alla persistente debolezza della domanda interna. Insomma, l’apertura commerciale fa bene all’economia italiana: sta dando un bel po’ di ossigeno puro. Per questo la notizia delle barriere protezionistiche è preoccupante. La tutela del Made in Italy passa infatti dalla possibilità di esportare il Made in Italy con i benefici annessi in termini di ripresa e il tentativo di contrastare la disoccupazione. Invece si preferisce abbaiare alla luna del “riso asiatico”, senza sedere ai tavoli internazionali per valorizzare davvero il riso italiano e portarlo sempre di più oltre i confini nazionali. Come dire: si preferisce far finta di voler fronteggiare a mani nude corazzate mondiali. Un concetto se non preistorico, almeno paragonabile all’inizio dello scorso Secolo.
Ma dagli albori del Novecento agli anni ’80, il salto sembra meno lungo di quanto si pensasse, specie se si discute di soldi pubblici. In nome dell’applausometro, l’esecutivo Lega 5 Stelle sta già spuntando le armi da usare per combattere l’evasione. Il M5S, pur di evitare malumori, sta predisponendo lo slittamento della fatturazione elettronica per i benzinai. Gli alfieri della digitalizzazione, almeno negli slogan, di fronte alla possibilità di fare qualcosa di digitale, con i vantaggi annessi, preferiscono arretrare. Evitando uno sciopero che sarebbe disdicevole per un governo attento a sbandierare la propria popolarità. La strategia, del resto, convola a nozze con il prossimo passo in materia fiscale: il condono; che non ha nulla di “pacifico”, se non l’etichetta diversa per allontanare l’ombra del Maestro dei Condoni, Silvio Berlusconi. Rispetto alla rottamazione delle cartelle di renziana memoria, infatti, è previsto un meccanismo proprio del condono: saldare una parte del debito a copertura del “tutto”, mettendo sullo stesso piano le vittime delle ingiustizie (perché ci sono, eccome) e i disonesti che non pagano, perché tanto sanno che prima o poi arriva una sanatoria. In questo modo dall’inizio del Novecento si balza agli indimenticabili e indimenticati anni Ottanta. Che Berlusconi ha cercato di far rivivere, trovando nel governo Lega 5 Stelle un inatteso, si fa per dire, erede.