Pubblica amministrazione: (forse) non tutto è perduto

PA1Lo sta­to dovreb­be esse­re al ser­vi­zio dei cit­ta­di­ni e faci­li­ta­re l’in­te­ra­zio­ne tra di loro e con le isti­tu­zio­ni. Pur­trop­po, vuoi per la pes­si­ma repu­ta­zio­ne che la clas­se poli­ti­ca si è gua­da­gna­ta pres­so i cit­ta­di­ni, vuoi per la buro­cra­zia che tan­to ci fa dan­na­re, pochi ormai rie­sco­no vede­re lo sta­to come un’en­ti­tà al loro ser­vi­zio. Impos­si­bi­le scor­po­ra­re infat­ti i luo­ghi comu­ni sul­la Pub­bli­ca Ammi­ni­stra­zio­ne dai nostri giu­di­zi, eppu­re anche su que­sto tema Giu­sep­pe Civa­ti nel suo docu­men­to con­gres­sua­le pro­va ad offrir­ci una visio­ne meno super­fi­cia­le, che vada oltre la dife­sa d’uf­fi­cio e la roz­za vena polemica.

Il pro­get­to è ambi­zio­so: “ren­de­re il dipen­den­te pub­bli­co il pro­ta­go­ni­sta di una sto­ria tut­ta da scri­ve­re, che abbia come fina­le una Pub­bli­ca Ammi­ni­stra­zio­ne qua­le eccel­len­za di un siste­ma Pae­se in rilan­cio”. Ma non potreb­be esse­re altri­men­ti visto che stia­mo par­lan­do di un’or­ga­niz­za­zio­ne varie­ga­ta e com­pli­ca­ta che occu­pa 3,3 milio­ni di cittadini.
Da dove par­ti­re? Rico­no­scen­do innan­zi­tut­to che all’in­gres­so nel­la Pub­bli­ca Ammi­ni­stra­zio­ne il dipen­den­te pub­bli­co non è per nul­la infe­rio­re al dipen­den­te pri­va­to per qua­li­fi­che e moti­va­zio­ni, che però crol­la­no in un perio­do che va dai 2 ai 3 anni deter­mi­nan­do un gros­so spre­co di ener­gie e capi­ta­le uma­no. La sto­ria di Valen­ti­na, che con un dot­to­ra­to in inge­gne­ria lavo­ra per la Regio­ne Lom­bar­dia, è infat­ti mol­to diver­sa da quel­la dei miei com­pa­gni di cor­so alla Lon­don School of Eco­no­mics che sono anda­ti a lavo­ra­re per il gover­no ingle­se, loro, con alti e bas­si, sono anco­ra entu­sia­sti di quel­lo che fan­no, Valen­ti­na mol­to meno purtroppo.
Inol­tre biso­gna ammo­der­na­re i mec­ca­ni­smi di sele­zio­ne evi­tan­do i con­cor­so­ni sul­lo sci­bi­le uma­no pri­vi­le­gian­do inve­ce le mate­rie e le com­pe­ten­ze che effet­ti­va­men­te ser­vi­ran­no nel­la man­sio­ne che si vuo­le riem­pi­re. Sem­bra ovvio, eppu­re non è così. Una con­se­guen­za di que­sto reclu­ta­men­to gene­ri­co è anche una man­can­za di cono­scen­za del­le pro­prie risor­se uma­ne, è neces­sa­ria una map­pa­tu­ra del­le com­pe­ten­ze che per­met­ta di indi­vi­dua­re di vol­ta in vol­ta le figu­re neces­sa­rie che sono già in orga­ni­co. La con­se­guen­za sareb­be una gestio­ne inno­va­ti­va del per­so­na­le, con pas­sag­gi (maga­ri solo tem­po­ra­nei e a pro­get­to) da un’am­mi­ni­stra­zio­ne all’altra.

Negli ulti­mi anni il bloc­co del­le assun­zio­ni, che è sta­to con­si­de­ra­to ine­vi­ta­bi­le per il risa­na­men­to del­le finan­ze pub­bli­che, ha ulte­rior­men­te aggra­va­to le con­di­zio­ni del­la già inef­fi­cien­te mac­chi­na pub­bli­ca che ha visto un invec­chia­men­to del pro­prio per­so­na­le che pone la Pub­bli­ca Ammi­ni­stra­zio­ne in posi­zio­ne di ancor mag­gior ina­de­gua­tez­za. Ad esem­pio, nell’università il ricam­bio fino a pochi mesi fa pre­ve­de­va che potes­se entra­re in orga­ni­co un nuo­vo docen­te quan­do cin­que se ne anda­va­no in pen­sio­ne: il risul­ta­to è che nei pros­si­mi anni i nostri stu­den­ti saran­no affi­da­ti a meno per­so­na­le, con meno com­pe­ten­ze e in gra­do di rea­liz­za­re meno innovazione.
È poi inne­ga­bi­le che i gan­gli del­l’e­nor­me mac­chi­na ammi­ni­stra­ti­va del­lo sta­to sia­no la cul­la idea­le per i fami­ge­ra­ti “fan­nul­lo­ni” ma sareb­be inge­ne­ro­so non sot­to­li­nea­re come ci sia chi lavo­ra nono­stan­te penu­ria di stru­men­ti, l’ir­ri­le­van­za degli sti­mo­li pro­fes­sio­na­li, la fati­scen­za del­le sedi, l’inadeguatezza degli sti­pen­di spin­to solo da moti­va­zio­ne intrin­se­ca. Il pro­ble­ma è che l’attuale gestio­ne dell’amministrazione anzi­ché soste­ne­re gli intra­pren­den­ti, favo­ri­sce chi non fa nul­la. Biso­gna quin­di cam­bia­re meto­di di gestio­ne del per­so­na­le , cam­bia­re gli sche­mi orga­niz­za­ti­vi e ave­re il corag­gio di valo­riz­za­re impe­gno e per­for­man­ce sia in ter­mi­ni eco­no­mi­ci che di pro­gres­sio­ne di car­rie­ra. Ad esem­pio dob­bia­mo sem­pli­fi­ca­re enor­me­men­te le pro­ce­du­re d’acquisto: oggi per acqui­sta­re un bene che vale 100 euro è neces­sa­rio pro­dur­re un lavo­ro buro­cra­ti­co che supe­ra il valo­re del bene acqui­sta­to. Chi svi­lup­pa un pro­get­to inno­va­ti­vo deve esse­re mag­gior­men­te respon­sa­bi­liz­za­to: deve ave­re mag­gio­re auto­no­mia di gestio­ne, mag­gio­re rico­no­sci­men­to quan­do il pro­get­to ha suc­ces­so ed even­tual­men­te esse­re pena­liz­za­to in caso di evi­den­ti erro­ri di gestio­ne. Non ci è più per­mes­so ambi­re ad ave­re un’am­mi­ni­stra­zio­ne che pos­sa alme­no esse­re com­pa­ra­ta con il civil ser­vi­ce ingle­se o l’admi­stra­tion d’ol­tral­pe e poi non accet­ta­re che l’im­pe­gno e il rag­giun­gi­men­to degli obiet­ti­vi (sia indi­vi­dua­li che di grup­po) deb­ba­no rice­ve­re un riconoscimento.

Pur­trop­po con l’av­ven­to del­le poli­ti­che di risa­na­men­to del debi­to pub­bli­co (tagli linea­ri e bloc­co degli sti­pen­di) i dipen­den­ti pub­bli­ci han­no cono­sciu­to solo il basto­ne, ovve­ro solo metà di una famo­sa teo­ria eco­no­mi­ca degli incen­ti­vi, for­se qual­che caro­ta tire­reb­be su il morale.

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