QUADERNI

Solo adot­tan­do solu­zio­ni win win che coniu­ghi­no con­tra­sto al cata­cli­sma cli­ma­ti­co, ridu­zio­ne del­l’in­qui­na­men­to atmo­sfe­ri­co, equi­tà socia­le e inve­sti­men­ti per la tran­si­zio­ne a eco­no­mie a bas­sa esn­tro­pia potre­mo sopravvivere. 
Voglia­mo pre­sen­tar­ci da soli alle pros­si­me ele­zio­ni? No, non neces­sa­ria­men­te. Sia­mo dispo­sti a dia­lo­ga­re con tut­ti, ma voglia­mo far­lo con una base pro­gram­ma­ti­ca chia­ra e con l’ap­pog­gio di chi la sostie­ne. Ed è per que­sto che, duran­te il Poli­ti­camp appe­na con­clu­so­si a Seni­gal­lia, abbia­mo deci­so di lan­cia­re «Fir­ma­men­to» un pro­get­to che guar­da alle pros­si­me ele­zio­ni poli­ti­che e che lo fa a par­ti­re da set­te pun­ti stra­te­gi­ci, fon­da­men­ta­li per sal­va­re il Pia­ne­ta, in tut­ti i sensi. 
«La Libia non è un por­to sicu­ro», quin­di è neces­sa­rio «ogni sfor­zo per­ché ven­ga evi­ta­to che le per­so­ne sal­va­te nel Medi­ter­ra­neo sia­no fat­te sbar­ca­re in Libia». A dir­lo, que­sta vol­ta, sono le Nazio­ni Uni­te, attra­ver­so la fir­ma con­giun­ta di Unh­cr (Alto com­mis­sa­ria­to per i rifu­gia­ti) e Iom (Orga­niz­za­zio­ne inter­na­zio­na­le per le migrazioni). 
Sia­mo da sem­pre schie­ra­te e schie­ra­ti a favo­re dei dirit­ti, a soste­gno di quel “pat­to socia­le” che vede ogni cit­ta­di­no rice­ve­re le stes­se tute­le e la stes­sa pro­te­zio­ne dal­le vio­len­ze, non solo fisi­che, a dife­sa del­le mino­ran­ze e del­le diver­si­tà, che neces­si­ta­no di un’attenzione particolare. 
Solo trent’anni fa festeg­gia­va­mo la cadu­ta del Muro di Ber­li­no e, pochi anni dopo, la pro­gres­si­va cadu­ta del­le fron­tie­re inter­ne all’Ue. A qual­cu­no tut­to ciò non va bene ed è incre­di­bi­le che tro­vi le sue miglio­ri spon­de nei nazio­na­li­sti dei pae­si euro­pei, pron­ti a sven­der­si e a sven­de­re noi stes­si per il loro pote­re per­so­na­le. E pron­ti a espor­ci ai rischi che il nazio­na­li­smo por­ta con sé e che ine­vi­ta­bil­men­te esplo­do­no in manie­ra vio­len­ta: non da un gior­no all’altro, però. Il segre­to è che alla vio­len­za ci si deve abituare. 
La dichia­ra­zio­ne di emer­gen­za cli­ma­ti­ca ser­ve a pla­sma­re poli­ti­che vol­te a miti­ga­re i cam­bia­men­ti cli­ma­ti­ci in atto, ridu­cen­do i rischi che que­sti com­por­ta­no: innal­za­men­to del livel­lo del mare, deser­ti­fi­ca­zio­ne, feno­me­ni meteo­ro­lo­gi­ci estre­mi, guer­re, migra­zio­ni di mas­sa, care­stie, estin­zio­ne di nume­ro­se spe­cie vege­ta­li e animali.