«Se si perde loro (gli ultimi) la scuola non è più scuola. È un ospedale che cura i sani e respinge i malati», scriveva Don Lorenzo Milani.
Esistono storie che hanno in se la forza di porsi come esempi. Una di queste è quella di Lorenzo Milani (uomo prima ancora che Don) che, dalla sua scuola senza pareti e senza libri, inizia a denunciare il fenomeno della dispersione scolastica come conseguenza di un processo educativo sostanzialmente sbagliato, che prescinde da quelle che sono le condizioni di partenza degli alunni.
Come ben riferisce Michele Gesualdi, suo allievo, per Lorenzo “scuola” era lo strumento per dare la parola agli ultimi perché diventassero più liberi e più eguali, per difendersi meglio e gestire da sovrani l’uso del voto e dello sciopero. Con tenacia e fermezza, andò a cercare uno ad uno tutti i giovani operai e contadini del suo popolo. Entrò nelle loro case e sedette ai loro tavoli per convincerli a partecipare alla sua scuola perché l’interesse dei lavoratori, dei poveri, non era quello di perdere tempo intorno al pallone e alle carte come voleva il padrone, ma di istruirsi per tentare di invertire l’ordine della scala sociale. Era questo l’intento: armare i suoi alunni di possibilità.
Ad oggi, stando agli ultimi dati, l’abbandono scolastico precoce è un fenomeno che interessa il 17,6% dei giovani in Italia, circa 750.000 ragazzi, contro una media europea del 12,8%, raggiungendo peraltro percentuali molto elevate nelle aree metropolitane meridionali, laddove le disparità sociali sono più forti, laddove diritti essenziali sono ripetutamente negati e laddove il tasso di analfabetizzazione è ben al di sopra della media nazionale.
Secondo alcuni studi — come ricorda Giuliana Proietti in un articolo sull’Huffington Post — le cause della dispersione scolastica sono dovute a numerosi fattori. In parte, i ragazzi sono spinti ad evadere dal sistema scolastico per motivazioni individuali; fra queste, i disturbi d’ansia hanno un peso notevole. Il problema è piuttosto diffuso nella fascia di età compresa fra i 15 ed i 18 anni, in particolare fra coloro che hanno problemi nel socializzare o nel parlare in pubblico. Questi ragazzi non sono disinteressati all’istruzione, semplicemente non sono in grado di sostenere gli altissimi livelli di stress che l’ambiente scolastico procura loro.
Ma le cause che determinano l’abbandono scolastico sono principalmente culturali, sociali ed economiche: i ragazzi che provengono da ambienti socialmente svantaggiati e da famiglie con uno scarso livello di istruzione hanno maggiori probabilità di abbandonare la scuola prima di aver completato il percorso di studi. In molti casi sono i genitori stessi a non accompagnare i minori a scuola (a questo riguardo proprio qualche mese fa si è pronunciata la Corte di Cassazione) e le ingenti spese cui le famiglie sono sottoposte per l’istruzione dei propri figli spesso spingono le famiglie stesse a disinteressarsi alla formazione dei ragazzi.
Il trend sembra confermato anche nella nostra città, Napoli, forse una delle realtà più complesse dal punto di vista delle disuguaglianze. Se si dà uno sguardo alla relazione sulla dispersione dell’anno scolastico 2015–16 del Comune di Napoli, si nota come il fenomeno sia ben più accentuato nei quartieri più disagiati: in queste aree, per quanto riguarda la Scuola Primaria, su 326 casi segnalati, 153 bambini sono risultati inadempienti, mentre per quanto riguarda la Scuola Secondaria di I grado, su 801 casi segnalati, ben 336 ragazzi sono risultati inadempienti, con particolare problematicità in municipalità complesse come Miano, Secondigliano, S. Pietro Patierno, Soccavo e Pianura.
Impossibile trascurare i dati del report Tuttoscuola, che mostrano invece come per quanto riguarda la Scuola Secondaria di II grado, la Campania sia la terza Regione in Italia per tasso di abbandono scolastico (31.6%) a causa anche della situazione a dir poco emergenziale del territorio della Città Metropolitana di Napoli, in cui il tasso di abbandono scolastico sfiora addirittura il 36.1%.
Cosa occorre allora? Una buona Riforma scolastica, è questo che occorre. Borse di studio, sostegno alle famiglie, carta dello studente, l’esperienza dei Maestri di Strada e del terzo settore in territori disagiati ed abbandonati, come il rione Sanità a Napoli, dove operano costantemente volontari che recuperano ragazzi dalla strada, queste misure insomma, non sono sufficienti.
E’ necessario che la questione sia posta al centro dell’agenda politica, che non sia più marginale. Giovedí 16 febbraio a Napoli, con Fiorella Esposito, segretaria di FLC CGIL Napoli; Luigi Felaco, Presidente della commissione scuola del Consiglio Comunale di Napoli; Roberto Serpieri, professore del Dipartimento di Scienze Sociali della Federico II; Giulio Cavalli e l’appassionata docente Patrizia Perrone, abbiamo organizzato un primo confronto sul tema, di cui discuteremo anche alla Costituente delle Idee, che si terrà a Roma dal 24 al 26 febbraio.
La domanda da porsi a più di 50 anni di distanza dalla scuola senza pareti di Lorenzo Milani è: qual è la scuola che serve? Traendo dalla riflessione elaborata a Napoli proprio da Giulio Cavalli, ci chiediamo: può esser considerata “scuola” una comunità che permette che anche uno solo dei suoi componenti, venga abbandonato a se stesso e di conseguenza abbandoni la stessa comunità di crescita interpersonale cui appartiene? Può esser considerata “scuola”, quella che non si cura degli ultimi, di quelli che Lorenzo Milani, nella metafora di cui sopra, definiva “malati”?
“Scuola” non è forse il luogo in cui le disuguaglianze diventano ricchezza e stimolo, un luogo che miri a rimuovere quegli ostacoli di ordine economico e sociale che la nostra Costituzione pone come impedimento al pieno sviluppo della persona umana e all’effettiva partecipazione di tutti all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese? “Scuola” non è forse il “luogo” in cui dovrebbe trovare concretezza il principio costituzionale dell’eguaglianza sostanziale? “I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”, recita l’art. 34. Forse è questo il ruolo della scuola: parificare i punti di partenza, abbattere le disuguaglianze. Ed è per questo che non possiamo permetterci di perderne neppure uno, di questi bambini, di questi ragazzi. Perché il punto di partenza della società di quel “domani” che ormai tanti giovani faticano a vedere, è quella comunità inclusiva che non lascia nessuno indietro, che non abbandona ma recupera, perché come direbbe don Lorenzo Milani “I care”, “mi sta a cuore”. Quella comunità chiamata “scuola”, che non ha nulla a che fare con la Buona Scuola.
Giulia Marino
Possibile Napoli, comitato “Gennaro Capuozzo”