Il 13 novembre il tribunale di Torino ha esaminato la richiesta di ricorso di Maria Edgarda “Eddi” Marcucci contro il provvedimento che le è stato assegnato nel marzo di quest’anno, che la definisce come “socialmente pericolosa” e la sottopone alla “sorveglianza speciale”.
Una misura che le impone il ritiro di passaporto e patente, mentre la sua carta di identità è stata invalidata per l’espatrio. Eddi non può partecipare o intervenire a eventi e manifestazioni pubbliche, non può lasciare la sua abitazione tra le 21 e le 7 del mattino, né frequentare locali pubblici dopo le 18. Inoltre deve sempre portare con sé il libretto rosso, la “Carta precettiva” su cui vengono annotati i suoi spostamenti.
Una misura preventiva: questo significa che non c’è nessun reato che venga contestato a Eddi. Due anni di sorveglianza speciale a fronte, ripetiamo, di nessun reato.
Qual è quindi il problema, come siamo arrivati a questo punto?
Nel 2017, Eddi è partita per la Siria, per unirsi all’Unità di protezione delle donne (Ypj), impegnata nella difesa della società curda dall’Isis.
Ve lo ricordate l’Isis? Eravamo tutti d’accordo che combatterlo fosse una cosa buona.
Già, eravamo. Le foto delle “eroiche donne curde che resistono alla barbarie” sono passate di bacheca in bacheca, con didascalie che sottolineavano morbosamente quanto fossero giovani e belle, e spesso come ora fossero “tutte morte”, e comunque quanto rischino per mano dei terroristi fanatici contro cui imbracciano le armi. Ci siamo commossi e inorgogliti alla notizia che si cantasse “Bella ciao” a Kobane.
Poi, però (c’è quasi sempre un però) è successo che in Siria non c’erano solo i curdi, a combattere per i curdi. È successo che sono partite, dall’Italia e da tutto il mondo, persone che pensano che quella resistenza ci riguardi tutte e tutti. Che il modello di società che è sotto attacco possa aiutarci a trovare una strada migliore anche per noi, e che in ogni caso nel frattempo vada difeso, fianco a fianco con le donne e gli uomini che lo hanno realizzato.
Qualcuno di loro non è tornato, come Lorenzo “Orso” Orsetti. Qualcuno, invece, lo ha fatto. E ha scoperto che in realtà siamo tutti contro l’Isis, ma non così. Così non va bene. Così è “socialmente pericoloso”. Soprattutto se sei un o una attivista anche in Italia, soprattutto se pensi di continuare a fare attivismo, contro le ingiustizie, le disuguaglianze, lo sfruttamento. Soprattutto, a quanto pare, se sei donna, e il tuo insistere non deve sembrare compatibile con il ruolo che ti ha assegnato una società che conserva gelosamente nel suo sistema giudiziario l’idea fascista di “sorveglianza speciale”.
Questo è quello che è successo a Eddi.
Nei prossimi giorni sapremo se il suo ricorso verrà accolto. Nel frattempo, sono già passati mesi. Non si tratta di raddrizzare un torto: per quello è già troppo tardi. Si tratta di non continuare in un’ingiustizia e, per tutti e tutte noi, di scegliere di non voltarci dall’altra parte.
Vi chiediamo di farlo insieme a Eddi, insieme a noi: facciamoci sentire, insistiamo, continuiamo a dire in tutte le sedi possibili
#iostoconeddi
#iostoconchicombattelisis
#eddilibera