E così a Ferragosto, nell’indifferenza generale ma non casuale, lo Stato italiano vende Giulio Regeni all’Egitto di Al-Sisi.
Lo scambio consiste nel ritorno al Cairo del nostro Ambasciatore, il fine è l’oblio, il mezzo la ragion di Stato.
Uno Stato cattivo, nel senso etimologico del termine, perché prigioniero di interessi che sovrastano la vita e la morte di un giovane ricercatore italiano, che cancellano le tracce delle torture, che caricano la molla del carillon degli orrori e dei depistaggi.
Rabbia e indignazione non sono più sufficienti, perché lo Stato ha abdicato al dovere della verità.
La stessa democrazia versa in cattivo stato se si piega e si traveste del suo simulacro avvizzito in nome di una innominabile ragion di stato.
Lo ha detto con sfrontata e indecente precisione il Ministro Alfano: “In qualità di rappresentante della Repubblica italiana, l’Ambasciatore Cantini curerà gli interessi nazionali in Egitto e la nostra importante comunità in quel Paese”.
È vero, Alfano ha anche detto che “L’impegno del Governo italiano rimane quello di fare chiarezza sulla tragica scomparsa di Giulio, inviando al Cairo un autorevole interlocutore che avrà il compito di contribuire, tramite i contatti con le autorità egiziane, al rafforzamento della cooperazione giudiziaria e, di conseguenza, alla ricerca della verità.”
Ma si tratta di una inaccettabile e oscena mistificazione: la cooperazione giudiziaria la fanno le Procure, l’Ambasciatore ritorna esattamente e solamente a “curare gli interessi nazionali in Egitto.”
Quali interessi? Interessi più importanti della verità per Giulio, per la sua famiglia, per ognuno di noi?
Hanno appena agito e provano già a minimizzare, normalizzare, millantare.
Ma nulla cancellerà lo sporco di un’azione ignobile e il cattivo odore delle stanze chiuse dove si è decisa.
Pianificando tempi e luoghi, immagini e parole come una banda di ladri di democrazia.