Prosegue la nostra rassegna #primadeldiluvio, quello vero. I precedenti contributi sono disponibili qui.
Le nostre città dovranno contemporaneamente adattarsi ad un clima che cambia, attrezzandosi per gestire le sempre più intense onde di calore e “bombe d’acqua”, e diventare più “leggere”, meno energivore, prestando una forte attenzione alla chiusura dei cicli di acqua, rifiuti, materiali.
Oltre alla sfida climatica, si impone infatti il passaggio ad un’economia sempre più circolare.
Dall’inizio del prossimo decennio non solo tutti i nuovi edifici dovranno essere a consumo energetico “quasi zero”, ma andranno definite politiche per stimolare la riqualificazione spinta degli edifici esistenti, con riduzioni dei consumi fossili del 60–80%. Si tratta in sostanza, di recuperare il nostro “shale gas”, ottenibile riducendo significativamente i consumi di metano del nostro inefficiente patrimonio edilizio.
Gli sforzi si dovranno concentrare dunque sulla rigenerazione delle città ridisegnando i principi di uno sviluppo urbanistico senza crescita.
Ogni anno viene riqualificata una superficie pari all’1% del parco edilizio, con miglioramenti energetici dell’ordine del 15–25%, generalmente su singoli appartamenti. La nuova fase, invece, impone un’accelerazione sul numero di interventi, che dovranno più che raddoppiare, e sulla loro incisività, passando alla “deep renovation” di interi edifici.
Per raggiungere obiettivi così ambiziosi servono soluzioni innovative sia sul lato della domanda che su quello dell’offerta.
Sul primo versante, occorrono nuove forme di incentivazione. Nella Legge di Stabilità 2016 si è aperto un primo spiraglio in questa direzione. Una norma, però che dovrebbe essere notevolmente migliorata (un emendamento che rafforzava la cessione del credito e l’incisività delle riqualificazioni era stato presentato, in accordo con il Governo, al Senato).
Anche sul versante dell’offerta sono necessari cambiamenti in grado di ridurre i costi e, in prospettiva, di rendere sempre meno necessarie le forme di incentivazione.
La rivoluzione digitale consentirà di passare all’industrializzazione dei processi, il che implicherà un’aggregazione e una qualificazione delle attuali attività spesso frantumate. La possibilità di ridurre tempi e costi rappresenterà una formidabile spinta a ridefinire le modalità organizzative.
Per capire la radicalità dei cambiamenti possibili, in Europa si sono sviluppati programmi basati sull’industrializzazione delle ristrutturazioni che hanno consentito di eseguire i lavori in soli dieci giorni con un taglio del 40% dei costi e garantendo l’obiettivo “net zero energy”.
La rivoluzione digitale non solo faciliterà le riqualificazioni con l’industrializzazione e in futuro con forme di robotizzazione e stampa 3D. Gli edifici saranno sempre più “connessi” sia per ottimizzare i consumi interni che per dialogare con la rete elettrica grazie a programmi Demand Response in grado di gestire la domanda a fronte di un’offerta sempre più dominata da fonti rinnovabili intermittenti. E i veicoli elettrici diventeranno anche elementi di un sofisticato sistema distribuito di accumulo. Queste trasformazioni potranno rappresentare una straordinaria occasione di riqualificazione di interi quartieri e incideranno sullo sviluppo di nuove forme di mobilità urbana.
Gianni Silvestrini