Il referendum abrogativo del 17 aprile 2016 è circondato da una fitta nebbia, sparsa dal Governo con la tacita partecipazione del Presidente della Repubblica. Si tratta di quella nebbia densa di disinteresse, disinformazione e mistificazione che l’esecutivo tenta di sfruttare al fine di favorire, maliziosamente, la prevalenza dell’astensionismo, la quale pare essere agevolata dal fatto che la consultazione sia stata indetta a soli due mesi dal decreto di indizione, senza tra l’altro essere incorporata, come logica economica ed etica civica avrebbero imposto, alle elezioni amministrative che si terranno a giugno, con spregio di quell’agone politico che è l’anima stessa di una democrazia pluralista.
Ai cittadini spetta l’arduo ma quanto mai vitale compito di aprirsi un varco attraverso di essa. Un varco che sia il risultato di quell’impegno, di quella consapevolezza e, soprattutto, di quella partecipazione che sembrano intimorire l’odierno apparato politico. Un varco che permetta di scorgere i fatti e di edificarvi sopra una coscienza critica.
Attraverso quel varco, ad esempio, si potrebbe vedere che la proroga sine die delle concessioni e dei permessi di ricerca già rilasciati entro il limite delle 12 miglia dalla costa non è solo contraddittoria con il divieto che ve ne siano delle nuove entro la stessa zona, ma anche, molto probabilmente, contraria alla normativa europea sulla libera concorrenza. Attraverso quel varco, poi, si potrebbe vedere che le piattaforme interessate dal referendum sono 92 (di cui solo 48 eroganti) e che esse hanno coperto, nel 2015, solo lo 0,9% e il 2,8% del consumo nazionale rispettivamente di petrolio e gas naturale: quantità irrisorie, agevolmente rimpiazzabili dall’ulteriore implementazione di fonti di energia rinnovabile (che già coprono, peraltro, oltre il 17% del fabbisogno energetico primario nazionale). Attraverso quel varco, inoltre, si potrebbe vedere che il referendum non comporterà la chiusura immediata degli impianti di estrazione che si trovano entro le 12 miglia marine: essi, infatti, verranno dismessi gradualmente, alla scadenza delle loro attuali concessioni, le quali termineranno tra il 2016 e il 2034; ciò permette di immaginare agevolmente la possibilità di ricollocare quelle poche migliaia di lavoratori occupati nelle attività estrattive (circa 500, tra addetti diretti e indiretti, per tutte le piattaforme che estraggono greggio interessate dal referendum) attraverso una adeguata politica di valorizzazione delle grandi risorse di energia rinnovabile di cui il nostro paese dispone (e che già occupano un totale di 82.500 addetti). Ed ancora, attraverso quel varco, si potrebbe anche vedere che il gettito fiscale complessivo (e non solo ricavato dalle royalties!) che le attività interessate dal referendum generano è pari a 200–300 milioni di euro annui: insomma all’incirca la cifra che l’esecutivo ha scelto deliberatamente di sprecare per sfavorire la partecipazione degli elettori al voto, indicendo isolatamente e senza adeguato preavviso la consultazione referendaria. E sempre attraverso quel varco, poi, si potrebbero vedere numerose associazioni rappresentative di operatori del settore del turismo e della pesca che si sono schierate per la chiusura degli impianti entro le 12 miglia marine, con la certezza che le tecniche di prospezione del fondale marino comunemente utilizzate (ad es. l’air-gun) danneggiano la fauna ittica diminuendo, di conseguenza, la quantità di pescato. Infine, attraverso quello stesso varco, si potrebbe vedere che i dati sui monitoraggi ambientali relativi a quegli impianti di estrazione non sono pubblici e che anzi il MATTM non li fornisce integralmente nemmeno quando gli sia stata presentata una pubblica istanza: ciò nonostante, da quei pochi dati di cui si dispone, si riesce comunque a rilevare la presenza di sostanze inquinanti oltre gli standard di qualità ambientale, essendo oltre a ciò accertato da alcuni autorevoli studi l’esistenza di relazioni, la cui entità non è però quantificabile, tra la presenza delle piattaforme, il fenomeno della subsidenza e l’attività sismica.
Insomma, attraverso quel varco si può intravedere una via: è la via del SI al referendum abrogativo, la quale conduce a quell’edificio culturale dalla cui cima si può ammirare la straordinaria bellezza di un’Italia che valorizza le proprie risorse ambientali (turismo, pesca ed energie rinnovabili) attraverso un modello economico sostenibile, superando quella coltre di nebbia che è sporca di inerzia e disinteresse, che puzza di appiattimento del pluralismo democratico e di bieca mistificazione. Ma quell’edificio potrà essere davvero elevato solo qualora alle sue fondamenta vi sia un rigoroso senso di responsabilità, civica e ambientale, che si concretizzi nello sforzo quotidiano di ciascuno a diffondere e ad applicare un sincero “eco-pensiero”: solo in tal modo, indipendentemente dall’esito della consultazione referendaria, si potrà contribuire alla salvaguardia globale dell’ambiente in cui viviamo.
Comunque, per approfondire, verificare e integrare le informazioni riportate si invitano i lettori a consultare il Vademecum allegato, che effettua una ricognizione (e una ricostruzione) il più possibile obiettiva dei dati pubblicamente accessibili in merito al referendum abrogativo del 17 aprile 2016.
Filippo Venturi — Comitato Possibile “2 giugno” di Pisa