Tanti si lamentano, pensando perfino di non votare, perché la campagna per il referendum sulle trivellazioni in mare del 17 aprile è stata piena di semplificazioni, distorsioni, esagerazioni da una parte e dall’altra.
Proviamo quindi a fare chiarezza su uno dei punti più controversi, sfruttato a proprio vantaggio da entrambe le parti in appoggio alla propria tesi: la possibilità di trivellare ancora e di costruire ulteriori piattaforme entro le 12 miglia dalla costa.
Uno degli argomenti più usati proprio dalla campagna per il “no” (o, peggio, per l’astensione) è che il referendum sia sostanzialmente “inutile”: il divieto di nuove perforazioni già esiste e la norma da abrogare riguarda solo le concessioni già assegnate. Pertanto la consultazione riguarda solo gli impianti già attivi, e ogni nuova piattaforma è già, allo stato attuale, impossibile da costruire.
Peccato che la realtà non sia proprio questa. Se è vero che non si possono chiedere nuove concessioni, resta comunque la possibilità per le aziende titolari della concessione di aprire tutti gli impianti previsti dal piano di sviluppo di giacimento e sue modificazioni (l’interpretazione trova conferma nel parere del Consiglio di stato al Governo nel 2011).
Ma questa non è solo una possibilità teorica: nel rinnovo della concessione a Edison nel Canale di Sicilia, avvenuto il 13 novembre scorso, è autorizzata la costruzione un nuovo impianto con ben 12 pozzi (impianto Vega B). La vittoria del “sì” al referendum fermerebbe la costruzione di questo nuovo impianto, come sostiene anche Enzo Di Salvatore nel suo articolo su rinnovabili.it.
Ciò accadrebbe grazie al significato normativo e giuridico dell’abrogazione: il quesito inizialmente riguardava, oltre alle concessioni, anche tutti gli iter preparatori e le autorizzazioni; la Corte di Cassazione lo ha limitato dopo che il governo (bontà sua) ha bloccato le concessioni future e le autorizzazioni in corso, ma l’efficacia del quesito dovrebbe investire anche la nuova piattaforma e le nuove trivellazioni Edison, in quanto abrogate dal testo originale.
Altrimenti, l’ostacolo (quasi) invalicabile alla realizzazione della piattaforma sarà proprio la ragione che spinge le grandi multinazionali dell’energia fossile a trivellare i nostri fondali: il profitto. Grazie all’anticipo della scadenza della concessione al 2022 (rispetto alla durata indefinita attuale) causato dalla vittoria del “sì” con il raggiungimento del quorum, l’apertura di nuovi pozzi per il breve periodo rimasto diventerebbe pesantemente antieconomico, bloccando di fatto le trivelle nel Canale di Sicilia.
Quindi, oltre ad essere un forte voto di indirizzo politico, un segnale fondamentale per lo sviluppo di una nuova politica energetica trasparente, democratica e verde, il voto del prossimo 17 Aprile avrà degli effetti estremamente concreti, in uno dei mari più belli d’Italia.
Tommaso Sacconi e Giovanni Forti